14 marzo 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 14 marzo 2007


Ultima chiamata ai cattolici in libera uscita

di DREYFUS

Papa Ratzinger insiste. Non inventa niente di nuovo. Nuova però è la determinazione. Il non voler cambiare discorso. Ieri è uscita la sua "esortazione" sull'Eucarestia intitolata "Sacramentum caritatis". Parla della messa e della liturgia. Insomma di Gesù, dello stupore che suscita. Lo piazza là, sempre là, fortissimamente là: al centro della vita comune degli uomini, dunque c'entra con le leggi, la famiglia, l'educazione. Con più forza di sempre, in questa esortazione prende di mezzo i politici, il loro dovere di non disobbedire sul punto delle leggi contro natura se vogliono definirsi cattolici. Soprattutto chiede ai vescovi di non mollare mai. Ci torniamo dopo sul contenuto di questo richiamo. Bisognerebbe chiedersi tutti però perché Benedetto XVI abbia questa costanza. Come una costante fisica. Lancia l'allarme su questi "principi non negoziabili" appena può, cioè ogni giorno. Ieri lo ha fatto anche attraverso la chiara presentazione che di queste posizioni ha svolto il cardinal Angelo Scola in Vaticano. Qui vorremmo porre questa osservazione. Com'è possibile che un governo italiano si regga non tanto sull'autonomia sacrosantamente laica dal Vaticano, quanto proprio sulla sua opposizione alla Chiesa cattolica e al Papa? Si può tranquillamente dire che non è più Berlusconi il collante del centrosinistra e neanche Bush: ma Joseph Ratzinger. Ci sono Mastella e la Binetti a distanziarsi, ma gli altri hanno ritrovato il motivo di essere uniti nel dire no al richiamo papale sulla famiglia. Ci sono diverse sfumature e motivazioni, ovvio. Si va dai "cattolici adulti" che rivendicano una migliore comprensione del cristianesimo (Bindi, Prodi) a chi partecipa a manifestazioni dove la gente si trucca da Papa o da vescovo per ridicolizzare quello che, piaccia o no, è un simbolo centrale del cattolicesimo: il papato e la devozione al successore di Pietro, "dolce Cristo in terra" come diceva Caterina da Siena, sono ciò che distingue la fede del tipo romano e italiano. Non passa neanche per l'anticamera del cervello a queste persone che i cattolici, magari non tutti, ma mia mamma sì, possano offendersi. Qui prescindo dai contenuti del discorso ratzingeriano sul tema. Secondo me, ha ragione il Grande Bavarese, e non c'è bisogno di essere fedeli o papisti per riconoscerlo: ma lasciamo perdere il merito del giudizio. Limitiamoci alla constatazione fattuale. Quando Roberto Calderoli indossò una maglietta dove si raffigurava senza alcuna cattiveria Maometto, fu costretto alle dimissioni da ministro. Si sostenne avesse ingiuriato l'Islam. E anche se Calderoli non voleva offendere, e alla fine si riconobbe non esserci nulla di male nel rappresentare il Profeta, però una sensibilità altrui che era stata ferita. I musulmani minacciavano sfracelli e li fecero pure: per gli incidenti di Bengasi in Libia fu chiamato a risponderne il leghista. Cercò di spiegarsi con il mondo arabo, niente da fare; con il mondo italiano, peggio che peggio. Dovette lasciare il ministero. In questi giorni l'Osservatore romano, organo ufficioso della Santa Sede, si permette di criticare la sfilata di piazza Farnese pro unioni omosessuali, dove si sono esibite «discutibili mascherate e carnascialate va- rie». Magari non è così, magari c'è un eccesso di sensibilità da parte del Vaticano, e truccarsi da Papa e da vescovo non è discutibile e non è carnevalesco. Ma non è che i sentimenti di questa parte in fondo cospicua del popolo italiano meritino un po' di considerazione? Non diciamo come quelli dei musulmani, non bisogna esagerare, nessuno di noi poveri fedeli del Papa di Roma osa paragonare quest'ultimo al mullah Omar o all'imam di Milano. Quelli sono dei giganti, Ratzinger è un pischello rispetto a loro, ne siamo consapevoli. Ma un minimo di diritto di replica vale anche per noi minus habens, o no? Tutti i quotidiani e i Tg hanno mostrato le mitrie episcopali con slogan da sberle, e non si dà il diritto di mostrare un certo disappunto a chi non concorda? Figuriamoci. Prodi neanche si sogna di chiedere le dimissioni ai tre ministri che hanno condiviso le esibizioni dal palco. Anzi, i quotidiani ufficiali dei Ds e di Rifondazione comunista scrivono in prima pagina: «Dico, il Vaticano passa agli insulti» (L'Unità), «Il Vaticano insulta» (Liberazione). Dopo il discorso di Ratisbona (settembre 2006), in cui il Papa condannò la diffusione della fede con la violenza, si diede persino ragione, su quei giornali, agli islamici. Un titolo: «Scuse dal Papa, ma non basta». Insomma, se Ratzinger si facesse imam o almeno ulema o mullah sarebbe trattato meglio. Qui, tanto perché uno legga il testo integrale e si faccia da solo un'opinione, ecco quanto ha scritto il Papa nella sua esortazione "Sacramentum caritatis". Capitolo 83. «È importante rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cat tolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentir si particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana». Coscienza, responsabilità, libertà. Queste sono le parole-chiave del ragionare papale. Chi è il violento?

Libero, 14 marzo 2007


«Allarme per salvare l’identità cristiana»

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Professor Garelli, il discorso di Benedetto XVI è un giro di vite nuovo o un ribadire principi?

«Questa esortazione del Papa raccoglie il lavoro del Sinodo dei vescovi, significa che raccoglie anche le loro preoccupazioni. E poi il discorso non va visto come un qualche cosa rivolto all’Italia, ma a tutto il mondo. Complessivamente è un richiamo ai principi fondamentali della Chiesa, con l’intento di sottolineare le cose importanti». All’intervista risponde l’esperto di cattolicesimo Franco Garelli.

Lei parla di preoccupazioni. Quali?

«Il Papa, e anche i vescovi, temono che i cattolici perdano la loro identità, temono che la Chiesa sulla spinta della modernità perda la spiritualità e l’autenticità dei valori fondamentali. Il discorso è rivolto all’interno, per esempio quando si parla del valore del celibato dei sacerdoti, e all’esterno quando si parla della centralità della vita e della famiglia, valori non negoziabili».

E’ stato confermato il divieto dell’eucarestia ai divorziati. Ma la Chiesa non è anche amore, perdono e carità?

«Certamente, e questo il Papa lo ha ricordato nella sua enciclica. Però le sue caratteristiche sono quelle di un Papa teologo e “normativo”. Il matrimonio è sacro e non si tocca. E poi Ratzinger teme la porosità dei confini della Chiesa, teme che i cattolici facciano riferimento agli “stati d’animo personali” più che alla dottrina. Il gregge sta scappando e c’è un problema di identità, ecco l’esortazione a mostrare coerenza e i valori in cui si crede».

Papa Ratzinger ha anche fatto un richiamo alla liturgia più tradizionale, rispolvera il latino e i canti gregoriani.

«La Chiesa si è accorta che sta perdendo sacramentalità e primato del divino. Silenzio, meditazione, preghiera, sono mescolati a troppe cose. Forse avvicinano all’assoluto più i canti gregoriani che le chitarre. Del resto anche Wojtyla aveva detto: più vangelo e meno chitarre».

Il Messaggero, 14 marzo 2007


Più latino e canto gregoriano la "nuova" Messa di Ratzinger

di Redazione

Roma - «L’esortazione è un importante contributo all’applicazione del Concilio. Non intende mettere in ombra la riforma liturgica di Paolo VI, ma riequilibrare il rito nelle sue dimensioni fondamentali, quella orizzontale dell’assemblea eucaristica con quella verticale, derivata dal suo significato divino più profondo». Così il cardinale Scola ha sintetizzato il significato del più lungo documento pubblicato fino ad oggi da Benedetto XVI, l’esortazione Sacramentum caritatis, che «con significative novità dottrinali» e «almeno cinquanta elementi di novità pratiche e pastorali» intende rilanciare la liturgia cattolica a partire dalla centralità dell’eucaristia.

Si tratta di un’evidente correzione di rotta, frutto del lavoro del sinodo ma anche di cinquant’anni di riflessione dello stesso Ratzinger. Due elementi sui quali c’era stata qualche attesa sono la comunione ai divorziati risposati (che si continua a negare specificando però che essi appartengono alla Chiesa) e il celibato dei preti. Su quest’ultimo punto il Pontefice è chiarissimo: «rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo», per questo ne viene confermato «l’obbligo».

Per quanto riguarda il rito vero e proprio, Benedetto XVI spiega che il sacerdote deve evitare «tutto ciò che può dare la sensazione di un proprio inopportuno protagonismo». Il Papa quindi ribadisce che «le bellezza della liturgia è parte del mistero pasquale» e «non è un fattore decorativo» ma «l’elemento costitutivo dell’azione liturgica». Si parla quindi della partecipazione attiva dei fedeli, uno degli obiettivi della riforma conciliare, precisando però che «il primo modo» in cui questa «si favorisce» è «la celebrazione adeguata del rito stesso», che deve scaturire «dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti». Spetta al vescovo «salvaguardare la concorde unità delle celebrazioni nella sua diocesi». Parole importanti, dato che non sono infrequenti forme di creatività che talvolta sconcertano i fedeli.

Benedetto XVI parla poi dei canti: «Davvero, in liturgia non possiamo dire che un canto vale l’altro. A tale proposito – spiega – occorre evitare la generica improvvisazione o l’introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia». Il canto, insomma, «deve corrispondere al senso del mistero celebrato». Basta, dunque, a preghiere salmodiate con le note dei Beatles, o ritmi che non si confanno ai testi. «Infine desidero – aggiunge il Papa – che venga adeguatamente valorizzato il canto gregoriano». Lo hanno chiesto i padri sinodali, lo aveva stabilito, inascoltato, il Concilio.

Nel documento si spiega inoltre che l’omelia non deve essere «generica o astratta», e che bisogna evitare eccessi al momento della processione all’offertorio e allo scambio del segno di pace. Ratzinger ribadisce inoltre l’importanza della devozione e dell’adorazione eucaristica, sottolineando «l’importanza dell’inginocchiarsi» di fronte all’ostia consacrata e invita a un’adeguata catechesi al riguardo.

Significativi, infine, gli accenni all’uso della lingua latina. Il Papa chiede che sia utilizzata nelle celebrazioni internazionali e che «i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano». Inoltre, «non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia».

L’ottica del documento è quella che Benedetto XVI aveva spiegato alla Curia alla vigilia del Natale 2005: interpretare il Concilio come una riforma nella continuità della tradizione, non come una rottura totale col passato. In questo senso si colloca la decisione di pubblicare un Motu proprio, atteso nei giorni precedenti la Pasqua, con il quale sarà liberalizzato l’uso dell’antico messale preconciliare di San Pio V.

Il Giornale, 14 marzo 2007


L’IMPORTANZA DI ESSERE UN VESCOVO
Con Bagnasco la Conferenza episcopale sarà più plurale e dialogante, lasciando al Papa le decisioni dottrinali e politiche. Le affinità con il cardinale Siri

di Gianni Baget Bozzo

Ci sono delle affinità nel cursus honorum del cardinale Giuseppe Siri e dell’arcivescovo Angelo Bagnasco. La loro carriera ecclesiastica fu rapidissima e sorprendente. Siri divenne vescovo ausiliare di Genova nell’aprile del ‘44 e arcivescovo due anni dopo. Bagnasco in meno di un anno arcivescovo di Genova e presidente della Cei. In ambedue le carriere vi era la necessità d’un provvedimento d’eccezione. Nel ‘46 occorreva nominare a Genova ancora divisa dalla guerra civile una personalità capace nei rapporti con la Resistenza, gestendo anche quelli con il regime d’occupazione: Siri era stato grande in questa capacità organizzativa, giungendo a provvedere al rifornimento alimentare alla città. E l’abilità a trattare con neofascisti e con partigiani, con tedeschi e con alleati fu il titolo per divenire arcivescovo, a meno di quarant’anni.

Ordinario militare nei giorni di Nassiriya

Anche Bagnasco ha avuto un preludio bellico: primo tra i cappellani militari della Repubblica, si trovò a gestire un corpo di spedizione italiano in Kosovo, Iraq, Afghanistan. Quelle prove hanno costituito la base d’una rapida carriera. Essere l’Ordinario militare nei giorni di Nassiriya comporta nervi saldi, capacità d’intuizione e decisione. Ma vi era anche nella situazione che ha condotto Bagnasco sia alla cattedra di San Siro sia alla presidenza della Conferenza episcopale: uno stallo si era verificato nell’episcopato italiano. La presidenza quasi ventennale di Camillo Ruini va sicuramente iscritta negli annali. Ha gestito il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, ha dovuto assistere alla fine della Dc (un tramonto inglorioso sotto i colpi della magistratura milanese), fronteggiare il rischio che la Chiesa italiana passasse all’«opzione per i poveri» e alla linea della denuncia sociale come contenuto del messaggio spirituale della Chiesa al Paese. Perché il cardinal Martini a Milano dava a questa linea la sua benedizione e il centro di don Dossetti a Bologna forniva le armi appuntite per la «Chiesa dei poveri» e il depauperamento del primato romano. Ruini agì con una strategia chiara ma con un approccio tattico puntuale, sapendo d’avere dalla sua il Papa, ma non la componente vocale della Cei, certo di non poter contare sui mezzi culturali dei padri paolini allocati a sinistra.

Il Concilio Vaticano II come continuità

Il risultato è stato un passaggio guidato dottrinalmente dal cardinale Ratzinger, che ha fatto della famiglia, del sesso e della vita il punto decisivo dell’identità cattolica anche in politica. Ma, così facendo, Ruini s’era comportato più come un commissario papale alla Cei che non come un presidente. Bisognava mantenere la continuità dottrinale con una gestione che non facesse più del presidente Cei il centro visibile della politica ecclesiastica in Italia. Occorreva un fedele ratzingeriano, ben deciso a dare a un Papa ben deciso il suo supporto, ma lasciando una spazio maggiore ai vescovi. Bagnasco appartenente a coloro che credono al Vaticano II come continuo ai concili del passato non come rottura della tradizione, è parso la soluzione adatta. Ciò vorrà dire che le decisioni dottrinali importanti e quelle politiche più impegnative verranno prese o dal Papa o dal Segretario di Stato. La Cei diventerà un organo più plurale e dialogante di quello che non sia stato durante la grande gestione dello straordinario successo di Ruini. Anche se Bagnasco riceverà il cappello del prossimo concistoro, è un vescovo e non un cardinale, figura istituzionalmente legata alla Santa Sede, a prendere la guida dei vescovi italiani. Ruini rimane cardinale vicario di Roma a garanzia che la continuità non sarà solo perfetta per l’orientamento delle persone ma anche per la presenza assicurata di un cardinale che ha fatto storia.

La Stampa, 14 marzo 2007


Lo zar russo da papa Ratzinger
Tra Russia e Vaticano è disgelo

di ROBERTO LIVI

ROMA Le prime due visite in Vaticano, con papa Wojtyla nel 2000 e nel 2003, aveva insistito a parlare russo, per ribadire la sua ”fedeltà“ alla Chiesa ortodossa della Madre Russia. Ieri, invece, Vladimir Putin ha deciso di «dare un segno di amicizia»: nel suo primo incontro con Benedetto XVI ha colloquiato per più di venti minuti col Papa in tedesco. Una lingua che lo zar del Cremlino ha imparato quando era ufficiale del Kgb a Berlino-Est.
Non è stato l’unico segnale dell’importanza di una visita che manifesta una decisa volontà di ”disgelo“ da entrambe le parti. A Putin fa gioco mostrare all’Occidente come la Santa Sede non rinunci a tessere rapporti di amicizia e collaborazione con lui - i due infatti hanno parlato di «questioni internazionali d’attualità e dei problemi dell’estremismo e dell’intolleranza». Da parte sua, il presidente russo potrebbe giocare un ruolo, se non decisivo quanto meno significativo, per un avvicinamento tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa. Un tema che sta nel profondo del cuore di papa Ratzinger.
«Le porgo un cordiale benvenuto in Vaticano». Così il Papa, parlando in tedesco, ha accolto il presidente russo nella sala del Tronetto in Vaticano. Tra i due c'è stata quindi una stretta di mano «lunga e cordiale» e uno scambio di doni. Lo zar russo ha regalato all’ospite un’icona di San Nicola Taumaturgo, il Potefice ha ricambiato con una stampa seicentesca di Roma realizzata da due artisti tedeschi.
L’incontro - ha sottolineato il comunicato della Santa Sede - è avvenuto «in un clima molto positivo» ha permesso di rilevare i cordiali rapporti esistenti fra la Santa Sede e la Federazione Russa», e «la volontà reciproca di svilupparli ulteriormente». Putin non ha voluto emulare i due suoi predecessori - Mikhail Gorbaciov e Boris Elzin - invitando il Pontefice a Mosca. Né poteva farlo. Il presidente - come afferma il Patriarcato di Mosca - «è un fedele ortodosso»; inoltre ha dedicato il suo secondo mandato a ricostruire la potenza, ma anche l’identità, della Russia. Ed entrambi gli scopi non possono prescindere dal salvaguardare l’autorità della Chiesa ortodossa. Solo il Patriarca, Alessio II ha l’autorità per aprire le porte di Mosca al Pontefice romano. L’assenza ieri di un alto esponente religioso - si era parlato del metropolita Kirill, ”ministro degli esteri” del Patriarcato - nella delegazione russa che accompagnava Putin, significa che il vertice ortodosso non smette la sua ”diffidenza” nei confronti dell’«attivismo» della Chiesa cattolica in Russia. Ma il comunicato della Santa Sede ha menzionato che il Papa e Putin hanno toccato anche le problematiche relative «alle relazioni tra chiese cattolica e chiesa ortodossa». Il che potrebbe confermare le voci - diffuse da varie fonti - secondo le quali Putin potrebbe incoraggiare il patriarca Alessio II a discutere il contenzioso direttamente con papa Ratzinger in un incontro in ”campo neutro”, a Vienna o a Budapest.

Il Messaggero, 14 marzo 2007


LA REAZIONE DEL PROF. CECCANTI, uno del "padri" dei DICO

PAPA: CECCANTI, MA QUANTI CRITICI LO HANNO LETTO SUL SERIO?

(ASCA) - Roma, 13 mar - Positivo giudizio della esortazione apostolica di Benedetto XVI 'Sacramentum caritatis' da parte del professore Stefano Ceccanti che si chiede se i commentatori, specie quelli critici, abbiano letto veramente il lungo testo del papa. ''Leggendo dal sito ufficiale www.vatican.va il testo dell'esortazione post-sinodale 'Sacramentum caritatis' devo dire che, almeno per la parte che riguarda le responsabili in ambito sociale e politico, la catena di reazioni, sia positive sia negative, che si sta sviluppando sembra prescindere dal contenuto, schiacciando il tutto su polemiche italiane contingenti''. ''I passaggi chiave rilevanti -prosegue Ceccanti- sono tre, strettamente connessi tra loro. Il paragrafo 79, 'Eucarestia e fedeli laici', e' un invito pressante ad essere 'testimoni riconoscibili nel proprio ambiente di lavoro e nella societa' tutta'; la premessa di tutto e' quindi l'invito alla coerenza personale. Il paragrafo 83, identifica poi in senso ampio i valori non negoziabili, non li restringe a un'elencazione tassativa, ma ricomprendende 'la promozione del bene comune in tutte le sue forme'. Pertanto non ha la finalita' di proporre un elenco di divieti, di leggi da non fare, di sanzioni canoniche. E' un'esortazione del tutto in positivo 'a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondanti nella natura umana'. La preoccupazione e' l'inazione, il peccato di omissione, non quella di frenare o di vietare''. ''Infine i paragrafi 89 e seguenti, sulle implicazioni sociali del Mistero eucaristico, invitano -sottolinea Ceccanti- ad aprirsi 'al dialogo e all'impegno per la giustizia' con 'la volonta' di trasformare anche le strutture ingiuste per ristabilire il rispetto della dignita' dell'uomo'. Vi e' un crescendo di toni nelle ultime righe del paragrafo 89 (''denunciare le circostanze che sono in contrasto con la dignita' dell'uomo, per il quale Cristo ha versato il suo sangue, affermando cosi' l'alto valore di ogni singola persona'') che ricordano quelli del pensatore personalista Emmanuel Mounier quando invitava a dissociare l''ordine cristiano' dal 'disordine stabilito'. Per di piu' e' chiara la distinzione tra 'il compito proprio della Chiesa' e la 'responsabilita' politica e sociale' che spetta al 'cristiano laico' (par. 91), attraverso il cui impegno la Chiesa puo' riuscire a non 'restare ai margini della lotta per la giustizia'''. ''Non si puo' pertanto francamente affermare -conclude Ceccanti- che da questo testo possano derivare minacce alla laicita' dello Stato, all'autonomia dei laici cattolici impegnati in politica ne' un sostegno a forme di conservatorismo politico e sociale''.


PAPA/ CECCANTI: RICHIAMO IN POSITIVO, MEDIA DEFORMANO SUE PAROLE
"Testo dell'esortazione post-sinodale diverso da interpretazioni"

Roma, 14 mar. (Apcom) - Le parole di Benedetto XVI nell'esortazione post-sinodale sono un "richiamo in positivo" e le interpretazioni fornite dai media contengono "due deformazioni", secondo il costituzionalista Stefano Ceccanti. "Il richiamo è in positivo ed è chiara la distinzione di ruoli e di responsabilità tra politici e vescovi", spiega. "L'esortazione post-sinodale mediata dai media appare sensibilmente diversa dal suo testo autentico".

In particolare, aggiunge, "il testo vero chiede ai responsabili politici di 'presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana'. Il testo riscritto dai media, con tanto di titoli, sarebbe invece 'non votate leggi contro natura'. Quali conseguenze nel contesto italiano? Se fosse vero il testo dei media, il dibattito si concentrerebbe sulle leggi che sta facendo il centrosinistra. Il punto chiave è però che la formulazione positiva condanna anche l'inazione. Pertanto su quegli stessi temi, dalla famiglia alla promozione sociale del bene comune in tutte le sue forme, vanno anche considerate le mancanze delle maggioranza precedenti. Non basta non aver agito contro quei valori, bisogna anche aver realizzato in positivo delle politiche".

Quindi, prosegue Ceccanti, "la seconda differenza sta tra la percezione dei media secondo i quali i politici cattolici sulla base dell'esortazione avrebbero una sorta di mandato imperativo da parte dei vescovi che li esporrebbe a sanzioni canoniche e il testo vero che conferma la distinzione di ruoli e di responsabilità: 'I politici e i legislatori cattolici... devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata' mentre i vescovi hanno la 'loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato'. L'intervista di mons. Bruno Forte sul 'Corriere della Sera' chiarisce senza ombra di dubbio che quella distinzione sfocia in un richiamo esigente alla coscienza dei responsabili politici e non in una sostituzione di ruoli e nell'imposizione di sanzioni".


CRITICA ALLE "INTERPRETAZIONI DI PARTE" DI CORRIERE E REPUBBLICA

(ASCA) - Roma, 14 mar - ''I contenuti del Vangelo sono quelli e sui principi non si possono fare sconti. Ma anche lo stile e' importante. Dobbiamo saper parlare anche alle persone che sono lontane dalla Chiesa. Va fatto uno sforzo''. Sono alcune delle parole dette dal cardinale Dionigi Tettamanzi, in Terra Santa dove si trova con 1300 pellegrini milanesi per celebrare i suoi 50 anni di messa e gli 80 anni del cardinale Martini. Le sue parle riportate in particolare da Repubblica e Corriere della Sera vengono riferite nel contesto della presentazione del documento del papa sull'Eucaristia che hanno colpito l'opinione pubblica specialmente nel paragrafo dove si invitano i politici e i legislatori cattolici a non approvare leggi che tocchino valori non negoziabili come la famiglia fondata sul matrimonio, la difesa della vita, il bene comune. Gli stessi quotidiani da un lato riconoscono che il documento del Papa si rivolge alla chiesa intera e non solo alla situazione italiana, ma poi con un disinvolto passaggio logico sostengono che con quiesto testo Benedetto XVI alimenta la battaglia anti-Dico. Il Corriere in particolare rileva in una nota politica che ora e' caduta la maschera: dietro Ruini e la sua intransigenza c'era lo stesso Benedetto XVI.Un altro vescovo, mons.Bruno Forte, presidente della commissione Cei per la dottrina della fede ribadisce che devono essere i parlamentari cattolici a decidere se fare o meno la comunione dopo le scelte legislative approvate nell'aula parlamentare. L'esortazione apostolica - egli precisa - non entra nel merito specifico e non coarta la liberta' di coscienza rettamente illuminata.

Clicca qui per l'articolo del Corriere citato.

Vedi anche:

Rassegna stampa del 14 marzo 2007 sull'incontro fra il Papa e Putin

Rassegna stampa del 14 marzo 2007 sull'Esortazione Apostolica "Sacramentum Caritatis"

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