7 marzo 2007
Rassegna stampa del 7 marzo 2007
"I credenti difendano vita, famiglia e valori"
il documento
"Serve più coraggio, non sempre la scelta del male minore è accettabile"
Pubblichiamo il testo dell´intervento del segretario di Stato vaticano ieri alla presentazione del libro di Luigi Bobba "Il posto dei cattolici"
Una celebre massima di Chesterton dice: «Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». In un´ottica del tutto diversa, Voltaire ha affermato: «Non sono d´accordo con le tue idee, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa esprimerle». Anche per queste ragioni, è importante confrontarci sul posto dei Cattolici in politica. Come evitare che il loro impegno si svuoti e che il suo obiettivo divenga un ritornello che non incide più nella vita?
E´ giusto che i Cattolici impegnati in politica seguano la propria coscienza. Essa, però, non è un assoluto, posto al di sopra della verità e dell´errore, del bene e del male; anzi, la sua intima natura postula il rispetto di quei valori che non sono negoziabili, proprio perché corrispondono a verità obiettive, universali ed uguali per tutti. Perciò un vivo senso dell´etica è la dimensione fondamentale e irrinunciabile del cristiano. In tal modo l´attività sociale si potrà svolgere nel rispetto della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, e saranno evitate tutte le strumentalizzazioni che rendono l´uomo «miseramente schiavo del più forte. E il più forte può assumere nomi diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass media». Solo a queste precise condizioni il desiderio di giustizia e di pace che sta nel cuore di ogni uomo potrà diventare realtà, e gli uomini da «sudditi» si trasformeranno in veri e propri «cittadini».
Non è da dimenticare la lezione di Charles Péguy: «La democrazia o sarà morale o non sarà democrazia». Di fronte al senso di disagio e all´impressione crescente di declino politico-sociale che ci avvolge, occorre non solo una testimonianza personale, ma una più ampia azione collettiva per la ricostruzione di un costume di vita improntato al rispetto delle leggi, inteso non solo a reprimere i comportamenti devianti, ma a promuovere la pratica dell´onestà; a individuare e dettare le regole più giuste di convivenza; a interiorizzarle nella coscienza come modelli condivisi ed osservati, non per timore del castigo, ma per il loro intrinseco e positivo valore. Mi riferisco, per esempio, alla tutela della vita, dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale, e alla promozione della struttura naturale della famiglia, come unione fra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, che va promossa e sostenuta prioritariamente, riconoscendone la peculiarità e l´insostituibile ruolo sociale, di fronte a forme di unioni radicalmente diverse e destabilizzanti. Ma rammento anche la realizzazione dei valori umani ed evangelici della libertà e della giustizia, la promozione della pace sociale e l´attenzione ai più deboli. E´ questa una connotazione storica del politico cristiano, come avverte il Salmista per il re dell´antico Israele: «Egli libererà il povero che invoca e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri».
In questo senso la Chiesa ed i cristiani si fanno «compagni di strada» con quanti cercano di realizzare il bene possibile. Un´attività politica che ledesse tali valori, non risulterebbe buona per nessuno. Sarebbe pertanto sbagliato giustificarla in nome della propria coscienza o della cosiddetta laicità, lasciando quasi credere che tale comportamento sia prova di maturità civile e, alla fine, motivo di merito. So bene che spesso, in politica, si sceglie la strada possibile, anziché quella migliore.
D´altro canto, ci vuole il coraggio di non imboccare tutte le strade teoricamente percorribili. Altrimenti, detti valori vengono oscurati e non sono più lievito nella società complessa. E´ proprio in questa prospettiva che la Chiesa illumina le coscienze nell´ambito del dibattito pubblico. Ciò, per il credente non costituisce un´indebita ingerenza, ma un aiuto a sviluppare una coscienza informata, formata e, perciò stesso, più libera! Ed è in questo stesso orizzonte che, non soltanto i Cattolici impegnati in politica, ma tutte le persone di buona volontà, possono superare la logica dell´utile e dell´immediato, la tendenza a massimizzare i propri interessi, nonché il pragmatismo, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, quale inevitabile accettazione di un presunto male minore.
I cattolici in politica non sono la longa manus della Santa Sede. A loro spetta di «configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini, secondo le rispettive competenze, e sotto la propria responsabilità». Riprendendo la massima di Chesterton, mi auguro che il volume del senatore Bobba favorisca anche la consapevolezza che i Cattolici debbono aiutare la società a «non credere a tutto»; sono cioè chiamati ad alimentare il corpo sociale di quei valori etici, di cui la comunità politica ha assolutamente bisogno, che non può produrre da sé, ma che sono indispensabili per una sana democrazia.
Repubblica, 7 marzo 2007
"Politici cattolici, no ai compromessi"
Bertone: sull´etica niente libertà di coscienza. E Bagnasco succede a Ruini
MARCO POLITI
ROMA - La proclamazione del nuovo presidente della Cei, l´arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, avverrà oggi a mezzogiorno. Ma prima ancora che possa insediarsi, irrompe nell´arena italiana il cardinale Bertone, Segretario di Stato vaticano, per benedire i teodem e spiegare ai leader dell´Ulivo Amato e Rutelli che la Chiesa ha il diritto di illuminare le coscienze nell´ambito pubblico, che vi sono valori «non negoziabili, perché corrispondono a verità obiettive, universali e uguali per tutti» (vedi la famiglia) e che i cattolici hanno il compito di portare alla società «valori etici», di cui la comunità politica ha «assolutamente bisogno».
Ci sono gesti che illuminano una svolta politica più di un manifesto. In tre mosse, nell´arco di poche settimane, il cardinale Bertone ha fatto capire che dopo la lunga leadership di Ruini alla Cei lo scettro dei rapporti politici con l´Italia passa nuovamente alla segreteria di Stato. Su suo consiglio papa Ratzinger ha incoraggiato Mastella per la sua opposizione ai Dico, su sua decisione Cossiga è stato ammonito a non sbeffeggiare più i teodem, e con la mossa di ieri ha già prefigurato la linea di quella "Nota pastorale" sulle unioni civili, che la Cei sta elaborando.
Doveva essere, ieri a palazzo Giustiniani, una tranquilla presentazione del libro del senatore Luigi Bobba, animatore della pattuglia teodem nella Margherita. Titolo: "Il posto dei cattolici". Presenti il vicepremier Rutelli, il ministro Amato, lo storico Riccardi, il presidente delle Acli Olivero. Moderatore Vespa. L´arrivo di Bertone non era ufficialmente programmato. Il porporato arriva, invece, a sorpresa per dare un primo segnale. I cattolici democratici della Margherita hanno cercato con il recente appello dei 60 di mettere nell´angolo le spinte clericali dei teodem? Ed ecco che il numero 2 del Vaticano viene apposta per dare il suo placet alla loro linea. Paola Binetti in platea assiste radiosa.
Ma il cardinale non applaude solamente alla presentazione del libro. Prende anche la parola e dal leggio, come da un pulpito, tiene sorridendo e con assoluta disinvoltura una lezione politica indirizzata ai deputati cattolici e agli uomini di governo in genere. I punti sono semplici. Inutile (per i «cattolici adulti») rivendicare libertà di coscienza. «La coscienza non è un assoluto», non è al di sopra del bene e del male, della verità e dell´errore. Quando la Chiesa illumina le coscienze, questo per i cattolici non è «indebita ingerenza» (frecciata ai firmatari dell´appello di Alberigo). Certo i politici cattolici non sono la longa manus né della Santa Sede né della Cei. Però non possono dimenticare mai l´esistenza di «valori non negoziabili», che tutti devono osservare. Quindi l´avvertimento a tutto il ceto politico: «Un´attività politica che ledesse tali valori, non risulterebbe buona per nessuno». Nessun parlamentare cattolico deve credere di poterla giustificare, invocando la propria coscienza o la «cosiddetta laicità» e nemmeno il male minore. Su questo punto il cardinale - «parlo con la mia abituale franchezza» - ha picchiato forte. Guai al «pragmatismo, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, quale inevitabile accettazione di un presunto male minore».
E ora, può avvenire il cambio della guardia alla Cei.
L´arcivescovo sessantaquattrenne Angelo Bagnasco si pone in continuità con la linea tracciata dal cardinale Ruini ed è in consonanza con papa Ratzinger. Ma è chiaro che Bagnasco darà un´impronta sua alla guida della conferenza episcopale. Certamente sarà chiamato a muoversi con uno stile meno autocratico di Ruini, perché questo si aspetta la maggioranza dei vescovi italiani. Dai primi suoi interventi è chiaro che gli sta a cuore una forte accentuazione dell´identità cattolica dell´Italia, la difesa attiva dei valori cristiani e la capacità dei credenti di farsi «sentire» nella società contemporanea.
Con lui la presidenza dell´episcopato torna in una diocesi e non si trova più a contatto fisico - nella stessa Roma - con la Curia e il Papa come è stato negli ultimi sedici anni. E´ un fatto significativo. Bagnasco resterà a Genova come altri presidenti in passato sono rimasti a Bologna (Poma) e a Torino (Ballestrero).
Anche se la Segreteria di Stato vaticana riprenderà in mano le relazioni propriamente politiche con lo Stato italiano, il nuovo presidente della Cei dovrà misurarsi - di fronte alla società italiana - con questioni di primaria importanza: il tema dell´eutanasia e del testamento biologico, il tema delle unioni civili, il tema della pillola abortiva nonché tutta la materia delle tecnologie genetiche. Un altro argomento su cui l´episcopato continuerà certamente ad esercitare pressione è quello dei finanziamenti alle scuole cattoliche.
Repubblica, 7 marzo 2007
Noto una sorta di complimento di Politi al Papa per la scelta di Bagnasco...mi stupisco!
ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DEL «TEODEM» BOBBA
“Non condizioniamo i politici cattolici”
MARIA GRAZIA BRUZZONE
ROMA
Alla vigilia nel giorno in cui finisce l’era Ruini e comincia l’era Bagnasco, il cardinal Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano interviene a sorpresa a palazzo Giustiniani alla presentazione del libro di Luigi Bobba. E non solo, in margine, conferma ufficialmente l’avvicendamento dell’inflessibile e coriaceo cardinal Camillo Ruini con l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco alla presidenza della Conferenza episcopale italiana, ponendo fine alle indiscrezioni. Ma, a fianco dei ministri Giuliano Amato e Francesco Rutelli, tende una mano ai teodem, di cui l’ex presidente delle Acli Bobba è forse il più autorevole rappresentante. E però lo fa evitando qualsiasi contrapposizione con la Chiesa. Anzi, lo fa con parole di apertura, sottolinenando il rapporto fra valori e politica e il ruolo dei laici cattolici «che non sono la longa manus della Santa sede e nemmeno della Cei». Con un tono dialogante che forse segnala, se non una rivoluzione, un cambio di toni da parte dei vertici del Vaticano. Il tutto scegliendo una forma di comunicazione piuttosto inedita da parte delle alte gerarchie ecclesiastiche come la presentazione di un libro. Sia pure significativo come «Il posto dei cattolici», che dei teodem è il manifesto, e il cui autore, Bobba, è amico di vecchia data del cardinal Bertone.
La presenza del Segretario di Stato è un chiaro messaggio dell’attenzione che la Santa sede vuole offrire al ruolo dei cattolici impegnati in politica. Cattolici che, sottolinea subito Bertone, «è giusto che seguano la propria coscienza», soprattutto in riferimento a quei «valori non negoziabili, perché corrispondono a verità obiettive, universali, uguali per tutti». Di qui il richiamo a «un vivo senso dell’etica, dimensione fondamentale e irrinunciabile del cristiano». E il richiamo al «rispetto della persona umana e dei suoi diritti fondamentali», evitando le «strumentalizzazioni che rendono l’uomo miseramente schiavo del più forte»: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass media. Un discorso ad ampio raggio, che invoca una «democrazia morale».
Così, di fronte al crescente declino politico-sociale, il Segretario di Stato invoca non solo «una testimonianza personale» ma un’«ampia azione collettiva per la ricostruzione di un costume di vita improntato al rispetto delle leggi» che «promuova la pratica dell’onestà» e «individui e detti regole giuste di convivenza». E qui, il riferimento è alla «tutela della vita, dal concepimento fino alla morte naturale», «alla promozione della struttura naturale della famiglia, come unione fra uomo e donna fondata sul matrimonio», ma anche «alla realizzazione dei valori evangelici della libertà, della giustizia, della pace sociale, dell’attenzione ai più deboli». Quanto al ruolo della Chiesa, «illumina le coscienze nell’ambito del dibattito pubblico» e ciò per il credente «non è un’indebita ingerenza ma un aiuto a sviluppare la coscenza informata, formata e perciò più libera».
Bertone accenna anche al partito democratico. «Ero amico di Donat Cattin ai tempi della terza fase. Non so se il Partito democratico rappresenti la Quarta fase...», tesi sostenuta da Bobba nel suo libro. E sul Pd e sui rapporti fra laici e cattolici finiscono per girare anche gli interventi di Amato (che delinea un Pd in cui accordi sui temi etici non siano affidati solo alla libertà di coscienza, ma una reciproca consapevolezza del limite) e Rutelli (che cita De Gasperi e Togliatti e difende la laicità, come «acquisizione da portare nel Pd»), davanti ai quali, forse non a caso, Bertone ha usato i suoi toni concilianti.
La Stampa, 7 marzo 2007
Franco Garelli
LA CEI DI BAGNASCO (E BERTONE)
Si è dunque risolto il rebus della successione del cardinale Ruini alla presidenza della Cei, con la nomina da parte del Papa - che avverrà oggi - di monsignor Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova. Quella italiana è la più grande conferenza episcopale nazionale, con circa 250 vescovi attivi sul territorio e altrettanti che ricoprono incarichi nella curia vaticana o già collocati in pensione. I vescovi italiani rappresentano un terzo di tutti i vescovi cattolici d’Europa (e l’11 per cento dell’insieme di tutti i vescovi del globo) e proprio il gran peso che essi esercitano nell’episcopato del mondo si riflette sull’importanza di chi è chiamato a guidarli.
Non si è trattato per il Papa di una scelta facile, sia per la statura intellettuale e per la capacità di governo «politico» del porporato da sostituire, sia per i particolari rapporti Chiesa-Stato che si stanno vivendo nel nostro Paese, al cui esito guardano molti governi ed episcopati stranieri.
Alla fine la scelta è caduta su Bagnasco, che appartiene al clero di Genova, dove si è formato, che sul filo di lana ha vinto - magari senza alcuna sua intenzione - una concorrenza molto numerosa. La carriera di questo prelato ha avuto un’accelerazione improvvisa negli ultimi anni. Vescovo di Pesaro nel 1998, nel 2003 è diventato Ordinario militare d’Italia, ruolo che ha ricoperto fino al 2006, in un periodo non facile per le nostre forze armate impegnate in varie missioni all’estero e purtroppo denso di funerali di Stato. Poi è stato chiamato lo scorso anno a guidare la diocesi di Genova, in sostituzione del cardinale Bertone, diventato Segretario di Stato Vaticano. Ora è il nuovo presidente della Cei, ruolo che Bagnasco assolverà pur rimanendo titolare della diocesi genovese.
Del cardinale Bertone, monsignor Bagnasco ha ereditato la cattedra episcopale ma non lo stile. Troppo esuberante quello di Bertone per essere emulato da una figura che tutti descrivono come fine e riservata, interprete di un ministero molto «ordinario» e per ciò stesso vicino alla gente. Come giovane prete a Genova, molti lo ricordano per le sue qualità spirituali e per le tante ore passate in confessionale, nella chiesa dei padri Dehoniani della città. Dunque, un sacerdote dedito all’attività pastorale, attento ai valori dello spirito, in linea con l’impronta formativa data ai suoi seminaristi dal cardinale Siri, nei lunghi anni in cui egli ha retto la Chiesa genovese.
Il carattere mite e costruttivo di monsignor Bagnasco è emerso anche negli altri incarichi che è stato chiamato a ricoprire. Chi l’ha seguito di più, gli riconosce di aver dato prova in varie circostanze di un sano realismo istituzionale, cui si accompagna la propensione al dialogo e l'assenza di interventismo politico. Da molti anni è presidente del quotidiano cattolico Avvenire, ruolo che ha sempre interpretato in modo sobrio, nonostante le molte tensioni identitarie che coinvolgono di questi tempi la presenza dei cattolici nel Paese. Anche come «vescovo delle stellette», come cappellano d’Italia, poteva essere al centro di non poche polemiche, in una stagione in cui non solo nella sinistra radicale, ma anche in molti gruppi cattolici di base, cresce l’insofferenza per l’impegno in aree di guerra e di conflitto.
Proprio il fatto di essere un uomo di mediazione può essere stato la ragione che ha convinto il Papa a orientarsi su una figura ecclesiale, che fino a poco tempo fa non rientrava assolutamente nei pronostici.
Per molti mesi, come si sa, il nome più accreditato era quello del cardinale Scola, patriarca di Venezia, dotato di due forti assi nella manica: quello di aver familiarità con il Papa, per una conoscenza di lungo corso; e l’essere un uomo di ampia cultura, forse il più adatto per continuare quel progetto culturale con cui il cardinale Ruini ha dato ai cattolici italiani quell’unità che avevano perso con la fine del partito cristiano. Sennonché Scola, legato a Comunione e Liberazione, non sembra esprimere il sentimento prevalente nell’episcopato italiano, che continua a riconoscersi più nello stile dell’Azione cattolica che in movimenti dalla presenza più aggressiva. Da questo punto di vista, monsignor Bagnasco esprime indubbiamente un maggior collegamento con la base dei vescovi e del cattolicesimo italiano.
Oltre a ciò, in questa nomina sembra aver giocato un ruolo rilevante il cardinale Bertone, che già aveva voluto Bagnasco come suo successore a Genova. Con questa scelta, il Segretario di Stato Vaticano conferma il suo coinvolgimento nelle dinamiche della Chiesa italiana e la sua volontà di seguire a fondo lo sviluppo dei rapporti tra Stato e Chiesa nel Paese. Ma la figura del nuovo presidente dei Vescovi è anche vicina al cardinale Ruini, di cui - come già è emerso nelle dichiarazioni di questi giorni - continuerà la politica e l’impegno della Chiesa sui temi della vita e della famiglia. Non lontano da entrambi, Bagnasco rappresenta dunque una soluzione di mediazione e di compromesso.
C’è da segnalare, infine, il ruolo centrale che sta avendo la diocesi di Genova, diventata improvvisamente il trampolino di lancio dei vescovi che contano nella Chiesa, italiana e non. Dopo anni di stagnazione, la città si è ridestata non soltanto da un punto di vista urbanistico e produttivo, ma anche ecclesiale. In pochi anni, a Genova, si sono succeduti sia il cardinale Tettamanzi (poi andato a Milano a sostituire il cardinale Martini), sia il cardinale Bertone, approdato in Segreteria di Stato. Genova sembra portare bene - in termini di carriera ecclesiastica - anche al nuovo vescovo, da poco subentrato a Bertone e che oggi diventa Presidente dei vescovi d’Italia. Chi ha ambizioni di carriera, in tutti i campi, è avvertito. Prendere la residenza a Genova può essere oggi di buon auspicio.
La Stampa, 7 marzo 2007
Ruini, il personaggio
Don Camillo, uomo della riconquista post-dc
Dal referendum alle battaglie per la famiglia, così ha rivoluzionato la Chiesa nella seconda Repubblica
ROMA — Nella storia politica italiana, fitta di rivoluzionari mancati, al momento dell’addio Camillo Ruini (Sassuolo, 1931) imprime il segno di una rivoluzione riuscita. Che l’ha portato a rafforzare l’influenza dei cattolici nonostante la morte della Dc. L’ha portato a riprendere l’offensiva dei valori nonostante la secolarizzazione del Paese, a imporre nell’agenda del confronto parlamentare e intellettuale i temi della vita e della bioetica, a stravincere un referendum trent’anni dopo la disastrosa sconfitta del divorzio, a innovare la linea sulla missione in Iraq nell’ora più drammatica; in una parola, a ripristinare la coscienza identitaria della Chiesa italiana, e modificarne profondamente — nel bene o nel male, a seconda dei punti di vista—il rapporto con lo Stato e la società.
Nessuno dei suoi predecessori era stato tanto amato e criticato, blandito e temuto, al punto da diventare un personaggio centrale della politica, guadagnarsi in conclave il ruolo di grande elettore di Ratzinger, respingere numerose richieste di incontro da parte di segretari di partito (cui preferiva mandare appunto il segretario della Cei Betori), ispirare l’invettiva di una brava attrice di Rai3 (Eminenz!), portare in Senato una scienziata dell’Opus Dei affezionata alle mortificazioni, essere visto ora come un baluardo ora come un bersaglio come ha spiegato lui stesso domenica scorsa al Corriere: «Meglio criticati che irrilevanti ». Una missione condotta con uno stile molto personale: schivo ma costretto a un ruolo pubblico, taciturno ma deciso a non lasciarsi mai zittire, Ruini non ha ceduto alla tentazione della vanità e alla scorciatoia della vetrina televisiva.
Pur avendo a disposizione una Rai non certo ostile, ha scelto per la sua battaglia culturale gli strumenti più tradizionali del libro, delle riviste, dei giornali. Di qui, ad esempio, la scelta di rilanciare Avvenire, affidato al pupillo Dino Boffo, e di farne una postazione avanzata di intervento anche polemico. Assunta la guida dei vescovi italiani nel 1991, alla vigilia della bufera, Ruini vide nella rottura dell’unità politica dei cattolici non un guaio ma un’opportunità. Considerò il crollo del partito, che secondo un esponente non secondario come Cossiga era stato fondato e diretto dal Vaticano, non come la fine del rapporto tra la Chiesa e la politica ma come l’alba di una fase nuova, in cui i vescovi, scavalcata la mediazione Dc, avrebbero potuto allargare la loro influenza all’intero sistema. Non a caso, i referenti del suo disegno non sono stati tanto ex democristiani quanto insospettabili come l’ex radicale Rutelli o l’ex anticlericale Pera. Ruini ha cercato il dialogo con intellettuali critici, come quando scrisse un libro con Magris, Scalfari e Vattimo (Le ragioni della fede) e discusse a distanza con «i tre Alberti» come li definì Avvenire (Ronchey, Asor Rosa e Arbasino).
Ha avuto rapporti migliori con l’azionista Ciampi che con il democristianissimo Scalfaro. E ha trovato corrispondenze non scontate con il pensiero di Giuliano Ferrara ed Ernesto Galli della Loggia, e in genere dei laici preoccupati dalla debolezza identitaria dell’Occidente nel confronto con l’Islam. Sul piano politico, la «dottrina Ruini» ha portato al gelo tra la Chiesa e la sinistra, compresa quella cattolica; simboleggiato dalla rottura con Romano Prodi, che da Ruini fu unito in matrimonio con Flavia Franzoni, ma che da Ruini si divise quando annunciò che da «cattolico adulto» non avrebbe disertato il referendum sulla fecondazione assistita. Un gelo che non ha mai indotto il capo dei vescovi ad appoggiare apertamente la destra, accusata da sinistra di guardare alla Chiesa strumentalmente, alla ricerca di sostegno elettorale e di un nucleo di valori in grado di surrogare il proprio deficit culturale. Che questo fosse l’esito della stagione di Ruini era scritto nella sua formazione; e non perché fin da quando era un giovane sacerdote — fu ordinato a 23 anni — lo chiamavano «don Camillo».
Negli anni in cui alla Gregoriana, dove si è laureato, si mandavano a memoria Maritain e Mounier, lui meditava i tedeschi, in particolare Rahner (di cui darà poi un’interpretazione critica), che gli forniranno gli strumenti per l’intesa dottrinaria con Ratzinger. Ruini ha studiato Heidegger, Kant, Husserl. Ha dedicato una parrocchia romana a Escrivà de Balaguer fondatore dell’Opus Dei prima ancora che fosse proclamato santo. Ha definito Dossetti «portatore di una visione catastrofale dell’Occidente» e ha amato Tocqueville, in particolare là dove invita la religione a non schierarsi mai con un partito o un regime; «perché allora essa aumenta il suo potere su alcuni uomini, ma perde la speranza di regnare su tutti». I suoi alleati naturali in questi anni sono stati i teologi e i moralisti educati al rigore wojtyliano, che non a caso Giovanni Paolo II d’intesa con Ruini volle in diocesi importanti o posti-chiave: Scola a Venezia, Caffarra a Bologna, Fisichella alla Lateranense. Mentre interlocutori soggetti alla sua primazia, e però mai del tutto conquistati alla sua dottrina, sono stati i tanti vescovi di provincia che non avevano rinunciato alle suggestioni postconciliari e a un’allure progressista.
Proprio alla Chiesa del post-Concilio Ruini ha impresso la sua svolta: basta nascondersi nel mare magno della società secolarizzata, mimetizzare le chiese tra le case, difendere il ridotto del cattolicesimo dall’invasione laicista; anzi passare al contrattacco, uscire allo scoperto, riprendere coscienza che se i cattolici praticanti sono in effetti in minoranza i loro valori possono tornare a essere patrimonio della maggioranza. Una sorta di riconquista, un Kulturkampf capovolto. Cominciato quando, nell’aprile 1985, da vicepresidente del convegno di Loreto Ruini si segnalò presso Wojtyla. E condotto con gli strumenti del mondo, a cominciare dall’8 per mille («quando nell’86 arrivai alla Cei da segretario avevamo a malapena i soldi per pagare quattro impiegati», ha ricordato), ma soprattutto scegliendo un nuovo campo di battaglia: la bioetica, il rapporto tra scienza e fede, i limiti da porre alla ricerca, al progresso tecnologico, alla capacità teoricamente illimitata di sostituirsi al creatore e intervenire sull’uomo sino a programmarne nascita e codice genetico e quindi farne cosa diversa da sé. Non gli interessava rendere testimonianza, ma intervenire nell’agone con efficacia. Per farlo non ha esitato a inoltrarsi nelle tecnicalità della politica; come quando invitò ad astenersi al referendum del 2005, suscitando la denuncia penale del ginecologo Antinori, la perplessità di Andreotti, la polemica dei referendari.
Poi la denuncia è stata archiviata, Andreotti si è inchinato, e i referendari ne sono usciti nettamente sconfitti: il 75% degli italiani non votò. Altrettanto coraggio Ruini aveva dimostrato due anni prima, nel novembre 2003. La sua omelia a San Paolo fuori le Mura, davanti alle bare dei caduti di Nassiriya, non puntava a suscitare commozione, ma a innovare la linea della Chiesa, a sostegno della missione italiana in Iraq e della guerra al terrore («Noi non fuggiremo davanti ai terroristi; li fronteggeremo, ma non li odieremo...»); e non è un caso che ora sia chiamato a succedergli Angelo Bagnasco, già ordinario militare per l’Italia. Un’omelia porta con il caratteristico tono di voce, dolce ma fermo, e con l’eloquio consueto in cui la geometria prevale sul pathos, che fece dire a Giorgio Rumi: «Ruini è emiliano ma ragiona come un cardinale tedesco ». Lo stesso tono e lo stesso rigore geometrico con cui motivò il rifiuto ai funerali per Welby, e nel contempo ammise la propria sofferenza; Ruini del resto è uomo asciutto, e non solo nel fisico; e forse è quello il suo modo di provare pietà.
I cattolici italiani l’hanno compreso. Basta seguire Ruini nelle sue visite alle parrocchie di Roma (anche nelle borgate rosse, anche nelle comunità come quella di Sant’Agnese legata alla liturgia delle chitarre e dei battimani ma che qualche domenica fa è rimasta due ore a tributargli un’accoglienza e un’attenzione impressionanti), per verificare come accanto alla sua popolarità sia cresciuto l’orgoglio identitario del suo popolo. La forza asciutta che ha deluso molti laici ed è forse spiaciuta anche a qualche cattolico ha finito, nel tempo, con l’alimentarne il carisma, e ha contribuito a scriverne il ruolo nella storia recente d’Italia, che ora prosegue come vicario di Roma. E quando si sarà sopito il clamore del mondo — la polemica quotidiana, le richieste d’udienza dei segretari di partito, l’urlo della Littizzetto, il cilicio della Binetti —, anche la politica saprà fare, nel tempo, quello che alla Chiesa riesce più facile, fermarsi ameditare, individuare gerarchie di valori, restituire le cose alla loro dimensione; e allora si comprenderà appieno che all’inizio della primavera del 2007 si è consumato l’addio di un grande.
Aldo Cazzullo
Il Corriere della sera, 7 marzo 2007
«I cattolici in politica, autonomi dal Vaticano»
di Redazione
A mezzogiorno di oggi la Santa sede, la Conferenza episcopale italiana e la Curia genovese annunceranno la nomina del sessantaquattrenne arcivescovo Angelo Bagnasco alla guida della Cei. La presidenza dei vescovi, dopo ventidue anni, viene separata dal Vicariato di Roma (prima Ugo Poletti e poi Ruini hanno ricoperto contemporaneamente entrambi gli incarichi) e torna a una sede residenziale italiana, nella città ligure che già ebbe un arcivescovo a capo della Cei, il cardinale Giuseppe Siri, presidente dal 1958 al 1965.
Che significato ha l’arrivo di Bagnasco al posto di Ruini? È noto che il nuovo presidente è stimato dal predecessore, ma anche dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone, che in qualità di «primo ministro» del Papa l’anno scorso aveva caldeggiato la nomina di Bagnasco a Genova e che ha avuto un ruolo chiave nella designazione odierna. C’è da prevedere, dunque, una sostanziale continuità per quanto riguarda le linee fondamentali, seppur con le inevitabili differenze di stile ed è dunque probabile che il nuovo presidente accentui il profilo pastorale della Cei.
Bertone, intanto, ieri pomeriggio è intervenuto alla presentazione del libro del «teodem» Luigi Bobba «Il posto dei cattolici». Citando la prima enciclica di Benedetto XVI il cardinale ha detto: «I cattolici in politica non sono la longa manus della Santa sede e nemmeno della Cei. Ai cattolici impegnati in politica spetta di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini, secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità».
Il Segretario di Stato, toccando un tema di scottante attualità, viste le polemiche sui Dico e sui pronunciamenti vincolanti della Chiesa, ha però aggiunto: «È giusto che i cattolici impegnati in politica seguano la propria coscienza. Essa, però, non è un assoluto posto al di sopra della verità e dell’errore, del bene e del male; anzi, la sua intima natura postula il rispetto di quei valori che non sono negoziabili, proprio perché corrispondono a verità obiettive, universali ed uguali per tutti. Perciò un vivo senso dell’etica è la dimensione fondamentale e irrinunciabile del cristiano». Bertone ha confermato che oggi sarà dato l’annuncio della nomina del nuovo presidente.
Il Giornale, 7 marzo 2007
Bagnasco: «I rapporti con l’islam? Chi vive qui rispetti le nostre leggi»
di Andrea Tornielli
«Anche lei qui?». È sorpreso, l’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, incontrando il cronista all’ingresso del seminario di Tortona, dove, su invito del vescovo Martino Canessa, è venuto per tenere una meditazione ai sacerdoti e celebrare il pontificale per la festa del patrono, San Marziano. È sorpreso, ma non si ritrae, il prelato che questa mattina sarà nominato successore del cardinale Camillo Ruini alla guida della Cei. «Se vuole fare qualche domanda su Genova all’arcivescovo di Genova, va bene... », dice sorridendo, Bagnasco, che prima di tornare nel capoluogo ligure dove aveva trascorso quasi tutta la sua vita è stato vescovo di Pesaro e quindi Ordinario militare.
Lei è stato docente e si è occupato di educazione e di formazione. Quanto conta la presenza dei cattolici in questo campo?
«La cultura è un terreno importante oggi come ieri. Anche se nel momento storico in cui stiamo vivendo, l’incontro di culture diverse, di visioni antropologiche ed etiche differenti, rende ancora più urgente la formazione culturale, soprattutto dei laici. Perché così possano portare il loro apporto al dibattito culturale in atto in Occidente».
La Chiesa vuole affermare, come qualcuno accusa, un’egemonia?
«È un’accusa che non ha senso perché la Chiesa è alleata dell’uomo, non ha alcuna finalità egemonica. La sua unica missione è quella di servire, di far conoscere Gesù, di portare al mondo la redenzione che Lui ha operato, di testimoniare la bellezza e la gioia del cristianesimo. Solo che di questo compito ai mass media interessa poco o niente. Non interessa che Gesù sia il figlio di Dio, salvo nel caso vi sia qualcuno che lo metta in discussione, magari sulla base di qualche pseudo-scoperta... ».
Allude al Codice da Vinci e affini?
«Sì. C’è un grande lavoro culturale da fare, per riscoprire le ragioni della fede, le ragioni storiche. La fede cristiana non è mai in contrasto con la ragione. Noi sacerdoti dobbiamo, credo, insistere di più in questo servizio, nell’approfondire i dati storici e documentali, nell’approfondire la storicità dei Vangeli. Altrimenti basta un fumetto come il Codice da Vinci per creare sconcerto».
A Genova è intervenuto sulla costruzione della moschea. Come rapportarsi all’islam?
«Innanzitutto, ci vuole conoscenza reciproca. Poi il rispetto delle regole: tutti coloro che vivono qui devono rispettare le nostre leggi. In terzo luogo, ci vuole il dialogo, con l’approccio dell’interculturalità più che della multiculturalità, come Papa Benedetto XVI ha ben spiegato nel discorso di fine anno alla Curia romana».
Che differenza c’è tra i due approcci?
«Se per multiculturalità si intende la presa d’atto notarile di tutte le religioni o di tutte le posizioni etiche esistenti in una società, questo significa certificare la mancanza di un incontro, la codificazione di mondi diversi. L’interculturalità, invece, è la relazione tra le varie culture. Per entrare in relazione bisogna rispettarsi reciprocamente, ma anche arrivare a valutazioni su comportamenti, criteri, tradizioni... ».
Faccia qualche esempio.
«Pensiamo alla poligamia, o alla pena di morte. Bisogna dare un giudizio, non approvare per il semplice fatto che esse appartengono a una certa tradizione: una società non può recepire tutto e il contrario di tutto, perché così si finisce per creare i presupposti dell’impossibilità della convivenza se non della conflittualità permanente».
Entrando a Genova lei ha parlato della laicità, tema oggi molto discusso. Come le istituzioni si devono porre nei confronti del fenomeno religioso?
«La laicità significa autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa, ma non da quella morale. La dimensione morale, etica, non può essere rifiutata dagli ordinamenti di una società».
Lei a Pesaro è stato testimone di una forte polemica sui simboli religiosi...
«Nel nuovo obitorio, il sindaco aveva abolito i simboli religiosi, facendo togliere il crocifisso. La popolazione si è sollevata contro questa decisione. A parte le ragioni numeriche (che pure hanno valore, dato che il 99,9 per cento dei funerali sono cattolici), credo che il rispetto non significhi un atteggiamento passivo e neutro, ma creare le condizioni perché le religioni possano esercitare la loro missione. Dunque, invece di abolire la croce, meglio
approntare una camera funeraria per i musulmani, se c’è questa necessità».
Che cosa ha imparato facendo il vescovo dei nostri militari?
«Moltissimo. Fare l’Ordinario militare mi ha permesso innanzitutto di girare l’Italia e di conoscerla a fondo. Poi ho scoperto un mondo di persone molto buone, un mondo di valori morali e spirituali, di grande umiltà, di senso del servizio, di dedizione e di sacrificio per il bene comune».
L’Italia, insomma, non è guerrafondaia...
«Se qualcuno lo sostiene, mi fa davvero sorridere. I militari italiani all’estero sono i migliori, come capacità di approccio alla gente. Sono capaci di fraternità, comprensione, aiuto reciproco, simpatia. Ovunque hanno ricevuto non solo il consenso ma anche l’affetto da parte delle popolazioni. Li ho visti non solo difendere i civili o costruire ponti, ma anche fare collette per aiutare chi soffre».
Un’ultima battuta sui Dico. La Chiesa non rischia di risultare soltanto «contro», di dire soltanto dei «no»?
«Se si ascoltano o si leggono bene i pronunciamenti del Papa e dei vescovi, ci si accorge che c’è sempre un grande “sì” alla vita, un grande “sì” alla famiglia e all’amore umano. Certo, proprio in nome di questo grande “sì”, ci sono anche dei richiami a forme che si ritiene non siano coerenti a quella che è la verità dell’amore umano. L’importante è ascoltare la proposta cristiana senza prendere soltanto qualche frase per trasformarla in slogan».
Il Giornale, 7 marzo 2007
Oggi la nomina del successore di Ruini. Cambio della guardia in vista anche per Savona: Calcagno raggiungerà Bertone
Cei, il giorno di Bagnasco
L´arcivescovo ieri a Tortona: "La fede non è archeologia"
"Oggi, senza pensare di essere assediati, conosciamo in alcuni ambienti un clima di ostilità preconcetta verso la chiesa"
NADIA CAMPINI
PAOLO FIZZAROTTI
Ha parlato già da presidente della Cei, anche se ha tenuto a precisare che la sua agenda «resta genovese». Ieri l´arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco è stato a Tortona, per la celebrazione della festa patronale di San Marziano, patrono della diocesi, e ha dribblato il discorso sulla prossima nomina, («di queste cose non si può parlare»), ma nell´omelia ha parlato in modo chiaro e inequivocabile, col richiamo a vivere la fede in modo attivo e a non ridurla ad «archeologia». «Sappiamo che la dimensione della testimonianza personale e pubblica è parte essenziale della fede - ha detto - ma sappiamo anche che testimoniare il Vangelo non è stato facile in nessun tempo. Oggi, senza pensare di essere "assediati" conosciamo in alcuni ambienti un clima di ostilità preconcetta verso il Cristianesimo e la Chiesa, come se la fede fosse contro l´uomo e la sua gioia.» E prendendo ad esempio San Marziano ha avvertito che «la fede continuerà a essere sorgente di civiltà e di vita solo se non sarà ridotta ad "archeologia", a qualcosa da guardare con interesse e ammirazione per le realizzazioni nelle epoche passate.»
In Curia intanto l´attesa cresce. Questa mattina Bagnasco resterà in casa e non scenderà negli uffici fino a quando non arriveranno le notizie da Roma, previste per mezzogiorno, ma la parola d´ordine resta: tutto prosegue come prima. E già questa sera l´arcivescovo riprenderà a seguire gli impegni previsti in agenda, alle 19 sarà in cattedrale per l´incontro nazionale delle tre famiglie francescane.
Il profilo silenzioso d´altra parte è sempre stato nelle corde di Bagnasco. Il suo ritorno era stato salutato da un abbraccio di folla della gente che già lo conosceva bene, anche perchè aveva iniziato la sua attività pastorale proprio nel capoluogo ligure come vicario parrocchiale nella parrocchia di San Pietro e Santa Teresa di Albaro. Era stato assistente diocesano della Fuci, aveva seguito il mondo scout e ha lasciato la città dieci anni fa, nel 1998 per andare a coprire il ruolo di vescovo a Pesare, dal 2003 era stato nominato arcivescovo ordinario militare e il 29 agosto il ritorno a Genova.
Intanto un´altra nomina è in arrivo per l´arcivescovo di Savona, Mario Calcagno, che andrà a ricoprire l´incarico di segretario della Prefettura degli Affari Economici.
Repubblica, sezione Genova, 7 marzo 2007
L´INTERVISTA
Il clero genovese davanti al nuovo incarico: parla il fondatore della Caritas
Don Tubino: "Orgoglio ma anche preoccupazione"
«MONSIGNOR Bagnasco aveva iniziato col piede giusto, con la visita continua alle parrocchie, l´attenzione alla cura delle anime, al servizio pastorale, sicuramente lui continuerà a fare queste cose, ma adesso ci auguriamo che i nuovi impegni non lo distolgano dalla cura della sua diocesi, anche al di là delle sue stesse intenzioni».
Monsignor Pietro Tubino, ex direttore della Caritas di Genova, dà voce alle preoccupazioni che attraversano in questi giorni le parrocchie genovesi assieme all´orgoglio per una nomina che nello spazio di pochi mesi riporta la diocesi genovese sotto i riflettori del mondo che gravita attorno al Vaticano: prima la nomina del cardinale Tarcisio Bertone a Segretario di Stato in Vaticano, oggi Bagnasco alla Cei e presto anche monsignor Domenico Calcagno, attuale vescovo di Savona, a segretario della Prefettura degli Affari economici. Bagnasco resterà a Genova, ma Bertone si era fermato a Genova solo pochi anni e ancor prima di lui Dionigi Tettamanzi aveva lasciato un vuoto nel cuore dei genovesi quando era andato a Milano.
Come sta vivendo la Curia di Genova questi momenti di grande cambiamento?
«Sicuramente qui a Genova da parecchio si vive l´esigenza di un consolidamento, anche perché è ormai dai tempi di Siri, o comunque da quelli di Canestri che ci troviamo di fronte ad un continuo avvicendamento e questo ha creato qualche disappunto».
Nella sua lettera ai genovesi papa Benedetto XVI aveva assicurato che il nuovo arcivescovo sarebbe venuto per restare.
«In effetti ha iniziato a fare proprio quello di cui Genova ha bisogno, vale a dire una presenza nei momenti importanti, la cura della vita diocesana, la visita alle parrocchie, il contatto con la gente, che è essenziale per la salute della diocesi, nel senso della crescita nella fede. E´ stato anche diverse volte al seminario, si è interessato attivamente dei fedeli, dei problemi delle parrocchie e ha iniziato a lavorare con attenzione sulla pastorale».
E ora?
«Sicuramente le sue intenzioni sono quelle di continuare a seguire la diocesi come ha fatto finora, e le sue capacità sono in grado di conciliare i due compiti, ma i nuovi impegni che lo aspettando saranno inevitabilmente delicati e molto gravosi, il rischio è che finiscano per portarlo a Roma spesso, e a occuparsi di problemi diversi, anche al di là delle sue stesse intenzioni».
Ma quanto incide sulla vita di una diocesi il fatto che al vertice si susseguano cambiamenti così spesso come è avvenuto e sta avvenendo a Genova?
«Parecchio, certo la vita della diocesi va avanti lo stesso, ma la guida è importante. In passato nonostante i cambiamenti la continuità è stata garantita da monsignor Tanasini, poi quando lui se ne è andato a Chiavari è venuto mancare un pilastro importante e quindi al di là delle capacità e della volontà dei nuovi arrivati è inevitabile che qualche contraccolpo ci sia».
Per Genova è, comunque, una novità importante avere collegamenti così diretti col Vaticano, se l´arcivescovo diventa anche presidente della Cei e il Segretario di Stato è comunque legato alla città, che effetti può avere questo su Genova?
«Sarà sicuramente motivo di orgoglio, ma sulla vita della diocesi non incide più di tanto, anche perché i genovesi sono persone abituate a non smuoversi per nulla, vanno avanti per la loro strada. Genova è una città con forti tradizioni, ma è anche laica».
Anche recentemente monsignor Bagnasco ha parlato della carenza di vocazioni, i sacerdoti devono fare il doppio lavoro.
«Beh, questo è un problema non solo nostro. Anche nel cattolicissimo Veneto non nascono più così tanti preti come in passato e la carenza di preti si traduce nella difficoltà di seguire con assiduità tutte le esigenze pastorali, ecco perché il ruolo dell´arcivescovo è ancora più importante, speriamo quindi che Roma non ce lo porti via».
(n.c.)
Repubblica, sezione Genova, 7 marzo 2007
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