15 marzo 2007

Anche "Avvenire" rileva l'accanimento mediatico contro il Papa


Fa sempre piacere sapere di non essere soli a fare certe affermazioni. Mi onora il fatto che "Avvenire" abbia usato piu' o meno le mie stesse parole quando nel post precedente mi chiedevo se l'Esortazione Apostolica "Sacramentum Caritatis" sia stata effettivamente letta da chi l'ha criticata.
In ogni caso si e' sempre in tempo per riparare andando in libreria.
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Singolare commento su «Repubblica»
La funzione repressiva un po' strana per un'esortazione

Francesco D'Agostino

Presentare l'esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis come espressione di una "Chiesa che proibisce" (questo è l'infelice titolo che La Repubblica del 14 marzo ha dato a un altrettanto infelice commento all'esortazione, redatto da Giuseppe Alberigo) è talmente fuorviante, che viene da domandarsi se il testo in questione sia stato davvero letto.
Basti riflettere sul titolo che è stato dato all'esortazione: Sacramentum Caritatis, che, come è noto, è l'espressione con la quale San Tommaso si riferisce all'eucaristia, cioè al segno che Dio non ha abbandonato il mondo, ma amandolo continua ad essere presente in esso. È assurdo pensare che il rendimento di grazie eucaristico, cui nella nostra povertà immaginativa possiamo alludere solo attraverso la metafora di un calore infinito, capace di scaldare tutti i cuori che vogliano aprirsi a Dio, possa essere ridotto alla logica fredda, anzi gelida, della proibizione. L'eucaristia è un dono d'amore: chi ci ama non vuole proibirci nulla, se non ciò che può portarci a smarrire la nostra identità. Ma questo, piuttosto che un divieto, è il dono più grande che possa esserci fatto, anche e soprattutto da parte di Dio.
Pensare poi, come insiste Alberigo, che l'esortazione vada nella direzione del rafforzamento della «funzione conservatrice che la Chiesa cattolica svolge in parecchie società contemporanee» significa continuare a trastullarsi con paradigmi che speravamo ormai consunti, quelli per i quali "conservare" è sempre un male in sé e "rinnovare" è reciprocamente sempre un bene. Dobbiamo ancora insistere nel dire che le cose non stanno così? Ma ce lo aveva spiegato (una volta per tutte) San Paolo: «Esaminate ogni cosa!» e poi, conseguentemente,«tenete ciò che è buono» (1 Tess 5,21). Se la «funzione conservatrice» della Chiesa si manifesta nel «tenere ciò che è buono», ebbene, questa è una funzione sacrosanta.
L'oggettiva malevolenza, con la quale ambienti laicisti hanno presentato l'esortazione, si manifesta peraltro in un titolo di forte evidenza pubblicato, nel medesimo numero di Repubblica, a pagina 6, in cui l'espressione «No a leggi contro natura» è attribuita espressamente al Papa. In sé e per sé l'espressione non dovrebbe destare alcuno scandalo, se non in coloro portati a vedere in un «no» così perentorio la dimostrazione del carattere repressivo dell'esortazione. Il punto è che questa espressione (che, ripeto, è virgolettata, in modo che il lettore l'attribuisca direttamente al Pontefice) nell'esortazione non c'è. Quel che c'è è invece l'invito positivo a politici e a legislatori cattolici «a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana» (§ 83). E questo invito ha un fondamento dottrinale chiarissimo e inconfutabile: la coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. L'eucaristia non è una pratica rituale ed esoterica, che esaurisce la sua funzione all'interno del tempio; il culto cristiano - spiega l'esortazione - «non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede». Come testimoniare questa fede se non difendendo valori fondamentali quali la vita umana, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme? Nell'esortazione la non negoziabilità di questi valori - che ha comunque un carattere razionale, dato che ben potrebbe essere sostenuta con argomenti di pura ragione umana - appare coerentemente ricondotta alla fede eucaristica della Chiesa: se riconoscere i valori umani fondamentali può essere l'effetto di un corretto, ancorché freddo, ragionamento, difenderli è piuttosto testimonianza ed effetto di amore profondo per l'uomo, quell'amore che trova nell'eucaristia il suo sacramento. Non della Chiesa che proibisce, ma della Chiesa che ama, è segno questa esortazione post-sinodale, per chi voglia leggerla.

Avvenire, 15 marzo 2007

Ed ecco l'articolo di Alberigo citato da "Avvenire":

La chiesa che proibisce

GIUSEPPE ALBERIGO

Il documento pubblicato oggi dalla Santa Sede porta la firma di Benedetto XVI e si presenta come una sintesi degli orientamenti espressi dal Sinodo dei Vescovi, celebrato qualche mese fa. Vi sono investiti molti e complessi aspetti della vita della Chiesa, quasi tutti oggetto di vivo dibattito dentro e fuori il cattolicesimo. Per l´autorevolezza del testo e per la varietà dei problemi trattati esso impone un´analisi approfondita, adeguata alla lunga gestazione che l´«esortazione» ha avuto.
A una prima lettura, anzitutto non ci si può non chiedere in quale misura questo testo rispecchi effettivamente le posizioni espresse nel Sinodo, che comprendeva prelati di tutto il mondo, inevitabilmente portatori di esperienze diverse e di orientamenti differenziati.
In secondo luogo ci si interroga sull´accoglienza che potrà avere da parte dei comuni credenti e del clero in cura d´anime. È infatti noto che molti dei comportamenti censurati dal Papa sono praticati dalla grande maggioranza dei fedeli (ad esempio a proposito dell´esclusione dei divorziati dai sacramenti), anche di quelli "impegnati", né vengono censurati dal clero. Il pensiero va all´infausto esito di un atto per tanti aspetti analogo, l´enciclica "Humanae vitae" di Paolo VI, che ha conosciuto un rifiuto generalizzato in tutta la cattolicità.
Naturalmente è facile prevedere anche che ci saranno ambienti di "teo-con" impegnati a valorizzare questi orientamenti che sembrano andare tutti, sia pure in diversa misura, in direzione del rafforzamento della funzione conservatrice che la Chiesa cattolica svolge in parecchie società contemporanee.
Ma i consiglieri del Santo Padre si sono interrogati sull´impatto pastorale di un atto come questo? Sono sicuri che esso non introduca germi di dissoluzione piuttosto che di rafforzamento nel corpo ecclesiale? È ovvio che non tutto va in modo soddisfacente nella Chiesa cattolica, ma è proprio l´aspetto etico il più carente e dolente? O non é piuttosto l´appannarsi della trasparenza evangelica, che rende arduo a tanti riconoscere il Cristo e il suo annuncio al di là della corposa presenza del corpo ecclesiastico?
L´esortazione ha una portata generale e non focalizza direttamente nessun problema italiano. Tuttavia non si può ignorare la parte che tocca nuovamente, dopo le discussioni delle ultime settimane, i comportamenti di legislatori di fede cattolica. Opportunamente il testo papale li esorta a essere «consapevoli della loro grave responsabilità sociale» e aggiunge che «devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana». È un richiamo opportuno, anche se un po´ pleonastico, dato che i legislatori sono sempre maggiorenni e come dubitare che la loro coscienza non li guidi? Mi sembra arduo indicare parlamentari credenti - in Italia o altrove - che non obbediscano alla loro coscienza, talora anche incontrando difficoltà esterne e lacerazioni interiori. Questi cristiani non meritano maggiore fiducia e simpatia? A prima vista un lettore sprovveduto potrebbe vederli come dei peccatori incalliti! Comunque si è ben lontani dalle minacce ventilate meno di un mese fa dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana.
Queste riflessioni non possono essere scambiate - se non in mala fede - come un invito alla Chiesa e ai suoi Pastori a tacere. È bene e sano che si parli e si esprimano convinzioni tanto autorevoli. È tuttavia incerto che la chiave «negativa» delle proibizioni sia la più convincente e la più adeguata a comunicare l´annuncio evangelico.

Repubblica, 15 marzo 2007

Gli articoli, di stampo laicista, pubblicitati da Repubblica, a cui Avvenire si riferisce, sono, probabilmente, quelli di Marco Politi.
A onor del vero lo stesso errore (quello di attribuire al Papa frasi non sue) e' stato commesso anche dal Corriere della sera.

Per una visione generale consulta i seguenti post:


Rassegna stampa del 14 marzo 2007 sull'Esortazione Apostolica "Sacramentum Caritatis"

Aggiornamento della rassegna stampa del 14 marzo 2007

Vedi anche:

Papa Ratzinger concede udienza al Prof. Alberigo


Quella sicumera davanti all'esortazione apostolica
Esentarsi dal magistero una scelta mai automatica

Pio Cerocchi

Tutti i grandi personaggi della storia con sole pochissime eccezioni, quando si sono trovati in opposizione alla Chiesa, hanno provato qualche dubbio; un tormento interiore o qualcosa del genere. Magari non proprio un dubbio sistematico, ma un pensiero fuggito all'autocontrollo per un moto spontaneo dell'animo, questo sì, tutti più o meno lo hanno avuto, a partire - si racconta - dallo stesso Martin Lutero, per non dire di Garibaldi e tanti altri che in qualche momento della loro vita, hanno sentito il bisogno di cedere un po' del proprio orgoglio, in nome di quella che gli appariva come la debolezza di un mistero, sul quale però poteva poggiare ancora qualche lontana speranza. Nella consapevolezza questa sì adulta, che qualche tratto di verità possa annidarsi anche dove non si vorrebbe, come ben riconobbe (e non solo in tarda età) il laico per eccellenza, Benedetto Croce.
Lunga premessa per descrivere uno stupore: quello suscitato dalla spavalda sicurezza con la quale i "sessanta" cattolici democratici della Margherita hanno reagito - pare - ad una sola voce dinanzi all'invito alla «coerenza eucaristica» contenuto nell'esortazione Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI. Oh, ben'inteso, ha ragione monsignor Bruno Forte quando avverte che non ci può essere un'applicazione meccanica delle parole del magistero; allo stesso modo però in cui non ci può essere un'esenzione altrettanto meccanica dallo stesso magistero.
E invece, una serie di affermazioni al suono di «Non cambia nulla» ha contrassegnato la reazione degli esponenti più in vista del gruppo. Da Franceschini a Castagnetti. Una sorta di ipse dixit che non lascia, almeno nella pubblica percezione, alcun margine, non dirò ad una supina accettazione delle parole del Pontefice, ma almeno ad un vago bisogno di lasciare qualche spazio ad una approfondita riflessione, al di là della riaffermazione, davvero non richiesta, di una fedeltà ad un ddl che, a sentir loro, sembra tirato giù dalle Pandette di Giustiniano a fondamento della futura (e già gloriosa?) civiltà giuridica del Paese. I "sessanta", titola la Repubblica, vanno avanti. Ma dove? Possibile che non si avverta che ci potrebbe anche essere una qualche ragione dalla parte di un magistero che drammaticamente difende il deposito di quella verità di Dio sull'uomo, che chiama un popolo a riconoscerla e a fondare su di essa e non contro di essa, un cammino di liberazione dalla povertà spirituale che, nella crisi della modernità, sta cancellando anche il cielo? In altre parole, c'è da chiedersi quale modello antropologico, quale umanesimo cristiano persuadano così sollecitamente e unanimemente a considerare irrilevante il magistero di una Chiesa su un punto sul quale essa, peraltro, non fa che riconfermare un insegnamento mai dismesso nei secoli? E perché allora chiamarsi "cattolici" oltre che "democratici" e magari a questo titolo immaginare di tornare un domani a chiedere voti, e non avvertire invece, come un bisogno primario, quello di ricercare percorsi di coerenza sul merito di un provvedimento (ma altri ce ne saranno) che il richiamo formale alla laicità, davvero non esorcizza dai rischi dei suoi inevitabili effetti negativi sul Paese? Dove saranno le credenziali per un simile appello?
Perché allora non fermarsi un attimo fuori dai riflettori, e dirsi: ragioniamo. Senza pregiudizi, mettendo da parte le convenienze di coalizione, per chiedersi invece: come facciamo a meritare la nostra storia, al pari di quanto i diessini intendono fare con la loro? Insomma meno gregariato per tutti, e un di più di fiducia in quella libertà che è - e resta - l'alveo naturale della laicità. E forse potrebbe convenire politicamente e, in un futuro che non sembra poi così lontano, anche in termini di voti.

Avvenire, 15 marzo 2007


Oltre quarantamila pellegrini a gremire la piazza assolata

Giornata primaverile e afflusso record di fedeli per l'udienza generale di ieri. Tanto è vero che l'incontro settimanale si è svolto in piazza San Pietro e non come di solito avviene nell'Aula Paolo VI. Più di 40mila persone si sono strette intorno a Benedetto XVI per ascoltare la sua catechesi, incentrata questa volta su sant'Ignazio di Antiochia, definito «il dottore dell'unità» (il testo integrale è pubblicato come di consueto da «Avvenire» in questa stessa pagina). All'arrivo del Pontefice in piazza, manifestazioni di grande entusiasmo si sono levate dai vari settori in cui si trovavano i fedeli. Nelle prime file gruppi di ragazzi con berretti arancioni e rossi hanno dato vita a una simpatica coreografia. Il Papa ha attraversato sorridente i diversi settori sulla campagnola bianca scoperta, benedicendo e salutando con ampi gesti della mano. La folla ha continuato ad applaudire per tutto il tempo. Al termine della catechesi, poi, Papa Ratzinger ha saluto i gruppi di fedeli nelle diverse lingue. In particolare, erano presenti anche circa 10mila pellegrini giunti dalla Puglia, che hanno così affiancato i loro vescovi, in questi giorni a Roma per la visita ad limina. Il Papa, naturalmente, ha avuto una parola anche per loro. Così come non ha mancato di salutare i fedeli della parrocchia di san Lino in Roma, che festeggiavano il 50° anniversario di fondazione della loro comunità cristiana; i rappresentanti del Credito Cooperativo di Viterbo; gli studenti del Liceo «Omodeo», di Mortara e quelli dell'Istituto San Vincenzo de' Paoli, di Reggio Emilia. Infine si è brevemente rivolto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.

Avvenire, 15 marzo 2007

Posso fare la cattiva? Posso dire una cosa che mi viene proprio dal cuore? Non vi arrabbiate? Bene!
Quarantamila fedeli? Wao! Alla facciaccia di tutti :-)))

4 commenti:

Luisa ha detto...

E sÌ 40.000 fedeli sulla piazza ! fra i quali anche una nuova comunità che ha ottenuto la riconoscenza del Papa, felici e gioiosi di essere con il loro Pastore !
Quanto deve dar fastidio ai nostri cari giornalisti , ma anche ai cattolici che a me non piace chiamare progressisti perche vorrebbe dire che noi siamo dei retrogradi..., chiamiamoli cattolici del dissenso, vedere il successo del Santo Padre, il silenzio che regna sulla piazza quando parla, l`affetto con cui è circondato dai fedeli, senza che egli modifichi la sua natura riservata e umile, la sua autorità naturale .
Più il Papa persevererà nel trasmetterci i valori non negoziabili, e più i giornalisti ed i cattolici del dissenso si scaglieranno contro di lui, in maniera disonesta, offensiva, con malafede, menzogne e manipolazioni diverse,ma è la loro sola arma, l`arma dei deboli, degli impotenti !

Anonimo ha detto...

Ciao Luisa, non posso nasconderti che mi fa male quando leggo certi articoli contro il Papa. Sia chiaro: la critica fa parte della liberta' di espressione ed e' giusto che, anche attraverso la stampa, gli intellettuali possano dare il loro, prezioso, contributo. Cio' che mi ferisce, pero', e' l'arroganza di chi mette in bocca al Papa parole che non ha mai detto o insiste con il ridurre il suo Magistero Universale alle vicende italiane. Mi piacerebbe che si smettesse di catalogare i cattolici in due categorie distinte e contrapposte: progressisti contro conservatori, conciliari contro tradizionalisti, adulti contro infanti, democratici contro liberali etc etc.
Non credo che il Concilio abbia sancito questa spaccatura ed e' chi pensa il contrario a tradirne lo spirito, non certo il Papa!
Ciao
Raffaella

Luisa ha detto...

Alberigo, scuola di Bologna, storici del Vaticano II, come se si dimenticasse che chi era presente a quel concilio era il giovane teologo Ratzinger, è lui la memoria fedele di quel Concilio, lui che può più di chiunque smascherare gli abusi e le deviazioni.
Allora quando si parla di progressisti,mi dico che costoro sarebbero dunque dei cattolici in favore del progresso, ma di quale progresso ? Quello che vorrebbe che la Chiesa sposi tutte le derive di una società che non conosce più limiti alla "libertà"individuale, dove tutto è lecito, tutto è permesso ? Adeguarsi ai nuovi costumi della società? Vendersi al gusto del momento? Io penso che ciò non sarebbe progresso ma "regresso" e scusatemi se invento forse una nuova parola, ma umilmente io chiamerei quei cattolici "regressisti".
È bene che vi siano differenti opinioni espresse all`interno di una comunità ma quando gli attacchi diventano così evidentement personali , contro il Papa, non posso non pensare che siamo in presenza di ego ipertrofizzati che non sopportano di essere confrontati con uno spirito, un intelletto superiore, un uomo che non ha paura, che è ascoltato, stimato e sopratutto amato, contro ogni attesa dai fedeli.... allora demoliscono.
Triste , veramente triste.

Anonimo ha detto...

Cara Luisa, penso che sia molto difficile essere all'altezza intellettuale del Papa, ma il problema e' che certi cattolici, cosiddetti progressisti, non ci provano nemmeno.
Hanno ragione Magister e Socci: Ratzinger ha una dottrina cosi' solida che e' difficile contestare il suo pensiero sul piano razionale. Si passa cosi' al piano personale, cercando di attaccarlo come Pontefice, magari definendolo medievale o arroccato.
A me sembra, invece, che il pensiero del Papa sia molto dinamico. Forse e' quello degli altri a lasciare il tempo che trova...
Ciao