11 giugno 2007

Benedetto, il Papa della serenita'


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Aggiornamento della rassegna stampa dell'11 giugno 2007 (1)

Rassegna stampa dell'11 giugno 2007


Oltre il portone di bronzo

Strana sede che mette serenità

Luigi Geninazzi

Che cosa può succedere quando l'uomo più potente del mondo, ma in caduta di credibilità politica, incontra chi ha fatto dell'autorità morale senza potere la propria forza? Può accadere, e l'abbiamo visto ieri, che se ne esca, fuori da ogni protocollo, con un saluto tanto semplice quanto irrituale. «È bello essere qui», sono state le prime parole pronunciate da George W. Bush appena varcato il portone di bronzo per essere ricevuto da Papa Ratzinger. Dev'essere bello venir accolti da «una persona intelligente, amorevole e affettuosa», come l'ha definito il presidente Usa. Soprattutto dopo le fatiche del G-8, le trattative estenuanti con gli altri leader e il durissimo braccio di ferro con Putin.
È forse uno dei carismi più significativi di Benedetto XVI quello di trasmettere una grande serenità ai suoi interlocutori. A questo livello dev'essere scattata una straordinaria sintonia tra «il cristiano rinato» che siede alla Casa Bianca ed il fine teologo divenuto capo della Chiesa cattolica. «Vedrò Benedetto XVI per la prima volta e la mia intenzione è soprattutto d'ascoltarlo», aveva detto il presidente americano alla vigilia del suo tour europeo. Proprio come l'avevano esortato sette persone su dieci negli Stati Uniti, secondo un sondaggio svolto dal quotidiano «Usa Today»: dedichi attenzione ai suggerimenti del Papa.
Dunque molte cose sono cambiate da quando, nel 2003, un mese prima dell'attacco militare contro l'Iraq, il portavoce della Casa Bianca disse sprezzantemente che Bush «non si sarebbe fatto condizionare dalla Santa Sede», cioè da Giovanni Paolo II contrario all'intervento bellico. Oggi l'Iraq ed il Medio Oriente sprofondano nella guerra civile e restano in cima alle preoccupazioni del Vaticano, con particolare riguardo alle «critiche condizio ni in cui si trovano le comunità cristiane», ha ricordato il Papa nel suo colloquio con Bush.
Secondo le stime della Caritas internazionale, in Iraq rimangono 25mila cristiani a fronte del mezzo milione che vi abitava prima della guerra. «Non c'è nulla di positivo che viene dall'Iraq insanguinato», aveva detto Benedetto XVI a Pasqua di quest'anno. In Medio Oriente la democrazia non cala dall'alto con le bombe, si costruisce «con una soluzione negoziata dei conflitti e delle crisi che travagliano la regione», ha detto il Pontefice al presidente americano. Una chiara presa di distanza dalla dottrina Bush, fondata sull'interventismo unilaterale e finita in un tragico solipsismo.
Certo, il leader della Casa Bianca può vantare molti punti di convergenza importante con il capo della Chiesa cattolica sul terreno cruciale della difesa della vita e della famiglia (pochi giorni fa aveva annunciato il veto alla legge che intende liberalizzare l'utilizzo delle cellule staminali dell'embrione per la ricerca scientifica). Questo tuttavia non elimina le riserve vaticane nei confronti della sua strategia internazionale. Il presidente americano vuole esportare la democrazia in tutto il mondo (con esiti gravi, per il momento) ma dal Papa gli è giunto un richiamo alla sobrietà. Se gli Stati Uniti vogliono avere un ruolo guida, allora si mettano a capo di una grande campagna «contro la sofferenza nel mondo», impegnandosi a combattere la fame, le malattie e la povertà che assediano tre quarti del pianeta.
«Il Papa ce lo ha chiesto e noi lo faremo», ha promesso Bush nel corso della tavola rotonda con gli esponenti della comunità di Sant'Egidio. Non sarà una guerra-lampo ma forse farà avanzare un po' più la democrazia nel mondo.

Avvenire, 11 giugno 2007


L'INCONTRO IN VATICANO

Il Papa e Bush: dialogo sull'agenda del mondo

Tra i temi toccati anche diritti umani, difesa della vita, famiglia, educazione e lo sviluppo sostenibile

Da Roma Salvatore Mazza

«Lei è appena tornato da Heiligendamm». «Sì, il suo vecchio Paese». «E come è andato il vertice?». «È stato un successo». Sono state queste, ieri mattina, le prime parole scambiate tra Benedetto XVI e George W. Bush, con l'ospite appena accomodatosi di fronte al Pontefice alla scrivania della biblioteca privata al secondo piano del Palazzo apostolico. Sorridente Papa Ratzinger, che aveva introdotto il presidente Usa andandogli incontro nella sala del Tronetto, rilassato Bush, la schiena appoggiata allo schienale della sedia e le gambe accavallate. Un clima, insomma, davvero - anche "visivamente" - «cordiale», quello che ha caratterizzato il primo incontro tra Benedetto XVI e il presidente americano.
Cordiale, come lo ha definito la tradizionale nota diffusa al termine dalla Sala Stampa della Santa Sede. E lungo, oltre 35 minuti, durante i quali «sono stati passati in rassegna i principali temi di politica internazionale» con un'attenzione particolare, «per quanto riguarda il Medio Oriente», «sulla questione israelo-palestinese, sul Libano, sulla preoccupante situazione in Iraq e sulle critiche condizioni in cui si trovano le comunità cristiane». Da parte della Santa Sede, prosegue il comunicato, «si è auspicata, ancora una volta, una soluzione "regionale" e "negoziata" dei conflitti e delle crisi che travagliano la regione».
Nell'incontro, aggiunge infine il comunicato, «si è dedicata attenzione all'Africa e al suo sviluppo, con riferimento anche al Darfur, non mancando inoltre uno scambio di opinioni sull'America Latina», così come sono state prese in esame «le questioni morali e religiose odierne, tra cui quelle relative ai diritti umani e alla libertà religiosa, la difesa e la promozione della vita, il matrimonio e la famiglia, l'educazione delle nuove generazioni, lo sviluppo sostenibile».
Bush era arrivato pochi minuti dopo le 11, non da via della Conciliazione, dove ai lati della strada c'erano ad attenderlo per salutarlo un migliaio di persone, ma percorrendo contromano Borgo Santo Spirito. Il lunghissimo (e blindatissimo) corteo è entrato nella Città del Vaticano attraverso l'Arco delle Campane, ma solo una parte di esso è salito fino al Cortile di San Damaso, dove ad accogliere il presidente e sua moglie Laura c'era il prefetto della Casa Pontificia, monsignor James Michael Harvey. Dopo aver salutato i Gentiluomini che erano ad attenderlo, Bush è sfilato davanti al picchetto della Guardia Svizzera con Harvey che gli faceva strada verso l'ascensore che l'avrebbe condotto alla Seconda Loggia e alla biblioteca, dove sarebbe avvenuto il colloquio privato.
Come detto all'inizio, Benedetto XVI ha aspettato il suo ospite appena al di fuori della biblioteca. «È bello essere con lei», ha detto Bush al Papa, mentre sedeva alla scrivania. Quando il Papa ha menzionato il vertice del G8, il presidente americano ha commentato che esso «è stato un successo... tante opinioni diverse, ma è andato bene». Subito dopo Papa Ratzinger s'è informato se il dialogo con il presidente russo Vladimir Putin fosse stato positivo, e Bush ha risposto con un sorriso: «Glielo dirò fra un minuto», accennando con gli occhi ai giornalisti ancora presenti.
Quello col Papa è stato, come ha ammesso più tardi lo stesso Bush, un incontro «commovente», con una personalità di fronte alla quale «mi sono sentito in soggezione». Secondo quanto riferito da Mario Marazziti, di Sant'Egidio, durante il successivo incontro con la comunità di Trastevere il presidente ha rivelato che il Papa gli avrebbe chiesto di assumere un ruolo di leadership nella lotta alla sofferenza: «In politica estera Bush ha detto che a chi ha molto verrà chiesto molto - ha detto Marazziti - e ha detto: "Anche noi lo facciamo perché è giusto"». E quanto all'invito del Papa «Bush ha detto "proveremo a farlo"».
Successivamente, rispondendo a una domanda sulla sua visita in Vaticano durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi, il presidente ha detto che il Papa «ha espresso la su a inquietudine profonda per i cristiani in Iraq, e io gli ho assicurato che cercheremo di fare in modo che la Costituzione sia rispettata».
Prima di lasciare il Vaticano il presidente degli Stati Uniti ha avuto anche un lungo colloquio, di circa quaranta minuti, con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, presente anche il "ministro degli esteri" vaticano monsignor Dominique Mamberti.

Avvenire, 11 giugno 2007


Per il Pontefice un pastorale realizzato dall'ex homeless

Un pastorale di legno dipinto di bianco, con sopra intagliati e dipinti, in vari colori, i dieci comandamenti. È questo il singolare regalo che George W. Bush ha presentato a Benedetto XVI al momento dello scambio dei doni: «È opera di un ex homeless», un senzatetto texano, ha spiegato il presidente Usa mentre Papa Ratzinger ammirava l'inusuale bastone pastorale. Il tradizionale scambio dei regali è avvenuto al termine dell'udienza, dopo che Bush aveva presentato al Pontefice le persone del seguito - del quale non faceva parte nessun membro dell'amministrazione Usa - a cominciare dalla moglie Laura e dal suo capo di gabinetto. Tredici persone in tutto, al quale Benedetto XVI ha domato le medaglie del pontificato e, alle signore, il rosario. Per il presidente il Papa aveva invece pronta per Bush una litografia raffigurante la basilica di San Pietro nel Settecento. «È molto bella, grazie», ha detto il presidente nel riceverla.

Avvenire, 11 giugno 2007


L'INTERVISTA

Carlo Cardia: si è ragionato in termini planetari fra il Paese più influente e l’istituzione moralmente più autorevole

«Convergenza globale tra "potenze"»

«Cordialità spontanea e intesa sulla difesa dei valori. Preso atto di alcune divergenze politiche, ora si lavora per superare i problemi con il multilateralismo»

Da Milano Andrea Lavazza

Quasi un vertice tra le due superpotenze planetarie: quella politico-economico-militare e quella morale. E due interlocutori che su tutti i temi discutono a livello paritario, anche se la Santa Sede non ha scudi spaziali o missili da schierare. «Colpisce - spiega Carlo Cardia, attento osservatore delle relazioni tra Stato e Chiesa, docente all'Università Roma Tre - che George W. Bush abbia sentito l'esigenza di tracciare al Papa un bilancio, peraltro positivo, del recente vertice dei G8. Gli Stati Uniti non devono rendere conto a nessun altro Paese, ma di fronte a Benedetto XVI, il presidente americano ha voluto rispondere alle richieste che dal Vaticano erano giunte riguardo gli aiuti alla sviluppo e ai fondi per combattere le pandemie nel Sud del mondo».

Qual è stata la cifra di questo primo incontro tra e Ratzinger e Bush?

«Va notata, oltre a una cordialità spontanea che si coglieva negli atteggiamenti di entrambi, la dimensione geopolitica del colloquio. Si tratta di due personalità che ragionano in termini planetari e che rappresentano un'istituzione e un Paese proiettati in una dimensione globale. Può sembrare una circostanza scontata, eppure non lo è. E poi deve essere rimarcata la concretezza che ha assunto l'udienza, ricca di temi».

Si può dire che siano prevalsi gli elementi di consonanza?

«Penso che lo si possa affermare. Sui temi della vita, della famiglia e dell'educazione, gli orientamenti dell'Amministrazione americana hanno mostrato di convergere con quelli della Santa Sede. Lo si è visto sia nelle politiche messe in atto in patria sia in occasione di varie conferenze Onu. E andrebbe sottolineato che questo non avviene per l'Unione europea, spesso lontana dai principi e dalle posizioni espressi dal Vaticano. Ciò fa anche emergere il ruolo della Chiesa cattolica come promotrice universale di valori».

C'è stato un forte appello del Papa per la pace in Medio Oriente - una pace negoziata con tutti i protagonisti regionali - e per la salvaguardia dei cristiani in Iraq. Sono forse questi motivi di divergenza?

«La mia sensazione è che recenti diversità di vedute, anche profonde, siano un dato di fatto acquisito ma che esista ora una volontà comune di superare i problemi. Se la Santa Sede manifesta in modo ufficiale e pubblico la sua preoccupazione per i fedeli a Baghdad significa che la situazione è grave e va affrontata con urgenza. Anche Bush, è presumibile, sa che in Medio Oriente l'unilateralismo non sta pagando e che diventa sempre più necessario coinvolgere tutti gli Stati della regione per negoziare una pace duratura. Non bisogna dimenticare che il multilateralismo è da sempre la dottrina diplomatica del Vaticano. Dunque, sono gli Stati Uniti che adesso si avvicinano e, perciò, trovano maggiore udienza».

Sembrano completamente superate anche le antiche diffidenze che allignavano tra mondo protestante americano e mondo cattolico...

«Certamente. Si è registrato un avvicinamento molto significativo sia a livello diplomatico - con relazioni oggi intensissime - sia a livello sociale e popolare. È stato l'avanzare dell'individualismo contemporaneo a favorire l'incontro sul terreno della difesa dei valori fondamentali. I protestanti lo fanno a volta anche con maggiore attivismo verso le istituzioni. E tutto ciò ha fatto sì che negli Stati Uniti non si vedrà più un candidato presidente come John Kennedy essere costretto a "giurare" fedeltà allo Stato e "indipendenza" dal Vaticano. Anche ieri Bush ha implicitamente riconosciuto al Papa un'autorevolezza morale unica. Si è detto addirittura "commosso"».

Benedetto XVI non smetterà però di sollecitare l'impegno di tutta la comunità internazionale - America compresa - per la pace e la cooperazione allo sviluppo.

«Non bastano le promesse, è ovvio. Anche il G8 in passato non ha mantenuto la parola. Tuttavia, che il presidente americano abbia dato un resoconto al Papa del vertice testimonia che i richiami della Santa Sede sono tenuti in grande considerazione. Un segnale che deve far ben sperare per il futuro».

Avvenire, 11 giugno 2007

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