19 giugno 2007

"Gesu' di Nazaret": riflessioni del cardinale Martini


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“Gesù di Nazaret”, la via dell’amore di Dio e del prossimo

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 16 giugno 2007 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'articolo del Cardinale Carlo Maria Martini, S.I., Arcivescovo emerito di Milano, sul volume di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI “Gesù di Nazaret”, pubblicato su “La Civiltà Cattolica” (quaderno 3768 del 16 giugno 2007).

«GESÙ DI NAZARET» DI JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI

CARD. CARLO MARIA MARTINI S.I.

Ricordo che mi aveva fatto grande impressione un libro dell’allora professore Joseph Ratzinger, uscito in italiano nel 1969, dal titolo Introduzione al cristianesimo. In esso si parlava di molte cose (e furono proprio le prime pagine di questo libro che mi ispirarono negli anni del mio episcopato milanese la «Cattedra dei non credenti»), ma si parlava in particolare con molta obiettività e chiarezza di Gesù di Nazaret e del modo di conoscerlo.
Da allora sono usciti molti altri libri su Gesù, in diverse lingue e scritti a partire da diverse opzioni culturali. Ciò sottolinea la straordinaria attualità della figura di Gesù e la molteplicità degli approcci. Ma non era mai successo finora che uscisse un libro di un Papa su Gesù. Giovanni Paolo II ci aveva abituati a qualche racconto sulla sua vita. Ma è la prima volta che esce un libro di un Papa che affronta direttamente un tema così arduo e ampio come l’intera vita di Gesù e il significato della sua opera. È vero che in questo volume sono trattati soltanto alcuni momenti della vita di Gesù, che vanno dal Battesimo alla Trasfigurazione, ma l’Autore spera di poter completare la sua opera entro un tempo non troppo lungo.

In ogni caso è d’obbligo la domanda: le parole contenute in questo volume sono parole di un Papa, con la forza magisteriale loro dovuta, o sono le riflessioni di uno studioso che esprime le sue personali convinzioni, anche se vengono da una lunga familiarità con il suo tema e a partire dal suo coinvolgimento personale nella vita della Chiesa e nella sequela di Cristo? Il Papa stesso intende sciogliere questa possibile ambiguità dicendo: «Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (cfr Sal 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione» (p. 20). Ci proponiamo perciò di recensire il libro con simpatia e libertà di spirito.


L’Autore durante il periodo dei suoi studi e del suo insegnamento in diverse Università tedesche (ricordo di avere assistito anch’io a sue lezioni all’Università di Münster in Westfalia) ha potuto seguire le diverse vicissitudini della ricerca storica su Gesù. Il problema di sapere se è possibile dire qualcosa di storicamente certo sulla vita di Gesù si è fatto sempre più vivo e cocente, e si è accresciuta la tendenza a separare il Cristo storico dal Cristo della fede.

Leggendo queste pagine si trovano spesso riferimenti a questo sfondo storico-esegetico, a cominciare dalla distanza che l’Autore prende da un grande esegeta cattolico contemporaneo, come Rudolf Schnackenburg, fin dalle pagine della premessa: «È chiaro che con questa visione della figura di Gesù io vado al di là di quello che dice, per esempio, Schnackenburg in rappresentanza di una buona parte dell’esegesi contemporanea». Essa «ci ha dischiuso una grande quantità di materiali e di conoscenze attraverso le quali la figura di Gesù può divenirci presente con una vivacità e profondità che pochi decenni fa non riuscivamo neppure a immaginare». E tuttavia l’Autore intende applicare «i nuovi criteri metodologici, che ci consentono una interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che però richiedono la fede, senza con ciò voler e poter per nulla rinunciare alla serietà storica» (p. 19).

Si comincia così a delineare il metodo proprio dell’Autore. Ma ora occupiamoci del libro in se stesso. Esso si occupa, come ho detto sopra, dei fatti della vita di Gesù dal Battesimo alla Trasfigurazione. L’opera ha come titolo Gesù di Nazaret, e si occupa, come ho detto sopra, dei fatti della vita di Gesù dal Battesimo alla Trasfigurazione. L’opera ha come titolo «Gesù di Nazaret», ma penso che il vero titolo dovrebbe essere più precisamente «Gesù di Nazaret ieri e oggi». Di fatto l’Autore passa con facilità dalla considerazione dei fatti riguardanti Gesù all’importanza di essi per i secoli seguenti e per la nostra Chiesa. Perciò il libro è pieno di allusioni a questioni contemporanee.

Per esempio, parlando della tentazione nel deserto in cui Satana offre a Gesù la dominazione del mondo, egli afferma che «il suo vero contenuto diventa visibile quando constatiamo come prenda sempre nuova forma nel corso della storia. L’impero cristiano cercò ben presto di trasformare la fede in un fattore politico per l’unità dell’impero. Il regno di Cristo doveva dunque prendere la forma di un regno politico e del suo splendore. La debolezza della fede, la debolezza terrena di Gesù Cristo doveva essere sostenuta dal potere politico e militare. Nel corso dei secoli questa tentazione — assicurare la fede mediante il potere — si è ripresentata continuamente, in forme diverse e la fede ha sempre corso il rischio di essere soffocata proprio dall’abbraccio del potere» (p. 62 s).

Questo genere di considerazioni sulla storia posteriore a Gesù e sull’attualità dà al libro un’ampiezza e un sapore che altri libri su Gesù, preoccupati dalla discussione meticolosa dei suoi avvenimenti della vita, non posseggono. L’Autore mostra che senza la realtà di Gesù, fatta di carne e di sangue, il cristianesimo diviene un semplice moralismo e un affare dell’intelletto. Egli è per questo anche preoccupato di ancorare la fede cristiana alle radici ebraiche, e lo fa con riferimento alla profezia di Mosè in Dt 18,15.18 («Il Signore tuo Dio susciterà per te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto. [...] gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà quanto io gli comanderò»), profezia che egli vede avverata in Gesù. Gesù infatti ha una visione di Dio quale non ha nessun altro uomo, come dice il prologo del Vangelo di Giovanni: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). È questo il punto di partenza a partire dal quale è possibile comprendere la figura di Gesù. L’Autore si richiama spesso a parole dell’Antico Testamento per delineare il quadro entro cui intendere le parole e i gesti di Gesù. Ma soprattutto dedica ampio spazio a una discussione con il rabbino americano Jacob Neusner, dal cui libro (A Rabbi talks with Jesus, 1993) ricava le somiglianze (il libro è scritto con molto rispetto verso Gesù e con grande senso della sua appartenenza al popolo e alla tradizione ebraica) e le decisive differenze nel modo di intendere le parole del Signore. Egli ne conclude che «il giusto intreccio di Antico e Nuovo Testamento era ed è un elemento costitutivo per la Chiesa» (p. 149 s).

Da tutto questo traspare chiaramente anche il metodo di lavoro. L’Autore è del tutto contrario a quello che recentemente, soprattutto nella letteratura americana anglosassone, è stato chiamato «l’imperalismo del metodo storico critico» (si veda, ad esempio, W. Brueggemann, Teologia dell’Antico Testamento, 2002). L’Autore riconosce che tale metodo è importante, ma che esso rischia di smembrare il testo e di rendere incomprensibili i fatti a cui il testo fa riferimento. Egli si propone dunque di leggere i differenti testi nel quadro della totalità della Scrittura. Viene così in chiaro «che nell’insieme c’è una direzione, che l’Antico e il Nuovo Testamento sono intimamente collegati tra loro. Certo, l’ermeneutica cristologica, che in Gesù Cristo vede la chiave del tutto e, partendo da Lui, apprende a capire la Bibbia come unità, presuppone una scelta di fede, e non può derivare dal puro metodo storico. Ma questa scelta di fede ha dalla sua la ragione — una ragione storica — e permette di vedere l’intima unità della Scrittura e di capire così in modo nuovo anche i singoli tratti di strada, senza togliere loro la propria originalità storica» (p. 15).

L’Autore rifiuta dunque la contraddizione tra fede e storia, perché è convinto che il Gesù dei Vangeli è una figura storicamente sensata e coerente e che la fede della Chiesa non può fare l’economia di una certa base storica. Tutto ciò significa in pratica che l’Autore, come si esprime egli stesso, dà fiducia ai Vangeli, pur integrando tutto ciò che l’esegesi moderna dice su di essi. Da tutto ciò risulta un Gesù reale, un Gesù storico nel senso vero e proprio del termine, la cui figura è molto più logica e storicamente comprensibile che non le ricostruzioni con cui siamo stati confrontati nel corso degli ultimi decenni (cfr p. 17). Certamente sarebbe stato possibile legare ancora più strettamente certi eventi della vita e della predicazione di Gesù con alcuni elementi biografici della storia del Signore che il metodo storico-critico ha messo in luce. Ma l’Autore appare più preoccupato di cogliere il significato d’insieme di detti e fatti di Gesù che non il loro inquadramento in una successione biografica, che ovviamente avrà sempre un carattere di maggiore o minore probabilità.

L’Autore è giustamente convinto che «solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiega la sua crocifissione e si spiega la sua efficacia» (p. 18). Quella efficacia che ha portato i suoi discepoli a riconoscergli nello spazio di vent’anni il nome che il profeta Isaia aveva riservato a Dio solo. In conseguenza di ciò l’Autore esprime la sua persuasione «che il tema più profondo dell’annuncio di Gesù era il suo personale mistero, il mistero del Figlio, in cui Dio è fra noi e tiene fede alla sua parola» (p. 224). Ciò è vero in particolare per il sermone della montagna, al quale l’Autore consacra due capitoli, come per il messaggio delle parabole e per le altre grandi parole di Gesù.


Se tale è il metodo dell’Autore, che cosa bisogna pensare della riuscita globale di quest’opera? L’Autore confessa che questo libro è il risultato di un lungo cammino interiore (pp. 7 e 20). Ha cominciato a lavorarvi nel corso delle vacanze dell’anno 2003. Il libro è tuttavia il frutto maturo di una meditazione e di uno studio che hanno occupato l’intera vita e che erano già presenti nel libro sopra citato dal 1969.

Egli ne ha tratto la conseguenza che Gesù non è un mito, ma un uomo di carne e di sangue, una presenza realissima nella storia. Possiamo seguire i cammini che egli ha percorso. Possiamo ascoltare le sue parole grazie ai testimoni. Egli è morto e risuscitato. Questo libro costituisce dunque un’ardente testimonianza di un grande studioso — che oggi ha anche un posto di primo piano nella Chiesa cattolica — su Gesù di Nazaret e sul suo significato per la storia dell’umanità e per la percezione della vera figura di Dio. È sempre confortante leggere testimonianze come questa. Io trovo il libro molto bello: esso si fa anche leggere con una certa facilità (consiglierei al lettore di cominciare dai capitoli sui discorsi di Gesù). Non è un libro pesante, anche se è un libro che fa pensare.

Il libro non si limita al solo aspetto intellettuale. Ci mostra la via dell’amore di Dio e del prossimo, come è detto molto bene spiegando la parabola del buon samaritano: «Ora ci rendiamo conto che noi tutti abbiamo bisogno del dono dell’amore salvifico di Dio stesso, per poter diventare anche noi persone che amano. Abbiamo sempre bisogno di Dio, che si fa nostro prossimo, per poter diventare a nostra volta prossimi» (p. 238). Egli affronta anche il tema del «fallimento del profeta», di ogni vero profeta: «Il suo messaggio contraddice troppo l’opinione comune, le abitudini correnti. Solo attraverso il fallimento la sua parola diventa efficace. Questo fallimento del profeta incombe come oscura domanda sull’intera storia di Israele e si ripete in certo qual modo di continuo nella storia dell’umanità. È soprattutto sempre di nuovo anche il destino di Gesù Cristo: Egli finisce sulla croce. Ma proprio dalla croce deriva la grande fecondità» (p. 226).

È un tema molto importante, che varrebbe la pena di approfondire sistematicamente. Tuttavia a questo punto conviene aspettare il secondo volume, dove sarà trattato a lungo il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. La lettura di questo libro ci invita dunque ad attendere con desiderio quello che seguirà.

© La Civiltà Cattolica 2007

Zenit

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