23 giugno 2008
Card. Ruini: «Vescovi, non siate sudditi, combattete le minacce alla fede» (Casavola)
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Ruini: «Vescovi, non siate sudditi, combattete le minacce alla fede»
di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA
L’OMELIA, pronunziata in San Giovanni in Laterano dal cardinale Camillo Ruini in occasione del compimento di diciassette anni e mezzo del ministero di Vicario del Papa per la diocesi di Roma, può essere interpretata in una duplice chiave, di confessione dell’uomo nella sincerità dei suoi sentimenti e propositi, celati dai ruoli per così lungo tempo assolti, o di una esortazione non solo ai fedeli, ma anche agli osservatori esterni alla Chiesa, a intendere la complessità del compito di un vescovo.
Le due letture non sono alternative, non vanno tenute separate, anzi debbono fondersi. Ruini è ben consapevole che i media tendono a dare immagini costruite per condizionare l’opinione pubblica.
E per anni il cardinal Ruini è apparso come il protagonista di una politica di riconquista cattolica di spazi che sembravano irrimediabilmente secolarizzati. Il suo progetto culturale è stato riduttivamente inteso come strumento di questa strategia, invece che come una forma, non unica né maggiore, di evangelizzazione dei nostri tempi. Ora sappiamo, direttamente da lui, che un vescovo deve avere a che fare «con innumerevoli esperienze umane» di una diocesi e di una città come Roma, tra certezze ed inquietudini, realizzazioni e attese. Sappiamo che egli deve fidare soprattutto nella preghiera sua, e in quella degli altri per lui, la dimensione del soccorso di Dio essendo ineludibile e decisiva. Uomo di preghiera, dunque, ma anche dotato di coraggio e di fortezza d’animo, per sfuggire ad ogni paura, come insegnarono i cardinali polacchi, Wyszynski e Wojtyla, che vissero vicende ben altrimenti drammatiche. Da noi si soffre l’ostilità preconta propagata dai media, ma con humour Ruini richiama una sua frase destinata tempo fa a pochi ascoltatori, che «le pallottole di carta non fanno molta paura». Egli manifesta le ispirazioni fondamentali del suo servizio, in primo luogo l’essere vicino ai due pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che lo hanno voluto vicario. Anche qui traspare una vena di intima confessione: «In molte occasioni ho percepito quasi fisicamente che sarebbe stato ingiusto lasciarli soli», e «già prima, quando non ero ancora Vescovo, ho avuto la stessa sensazione nei confronti di Paolo VI». Viene così tracciata una linea esistenziale di condivisione della guida della Chiesa con tre così distinte personalità di pontefici. La proiezione del servizio di Ruini verso il futuro non si riempirà soltanto di memoria e di preghiera, per meglio “gustare e assaporare” i significati del tempo trascorso. È ben altro e assume il valore di un piccolo testamento affidato alla Diocesi di Roma. È guardare «alla grande sfida che oggi dobbiamo affrontare, cogliendola nella sua forza, spessore, pervasività, capacità di penetrazione, quella capacità e quell’attrattiva che essa esercita specialmente verso le nuove generazioni». È una sfida da guardare con l’occhio della fede, più penetrante rispetto ad uno sguardo soltanto umano. Quanti, attardati in un laicismo di altri secoli, contestano la Chiesa come un potere antagonista dello Stato, o come fonte abusiva di tanta parte della morale sociale, totalmente ignari della religione come bisogno della coscienza umana, e del Cristianesimo come forza di umanizzazione della vita, danno esca ad una sfida, che non può essere lasciata cadere, ma che non deve avere una risposta fondamentalista.
© Copyright Il Messaggero, 22 giugno 2008 consultabile online anche qui.
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