10 giugno 2008

Evoluzione e creazione: una falsa antinomia (Mons. Ravasi per l'Osservatore)


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Evoluzione e creazione
Una falsa antinomia


di Gianfranco Ravasi

"La vita organica, ci dicono, si è evoluta gradualmente dal protozoo fino al filosofo, e questa evoluzione, ci assicurano, rappresenta senza dubbio un progresso. Disgraziatamente, chi ce lo assicura è il filosofo, non il protozoo". Non è un fiero fondamentalista cristiano americano a scrivere queste righe demitizzanti sulla teoria dell'evoluzione biologica, ma è nientemeno che Bertrand Russell, l'autore del Perché non sono cristiano (in questo caso, però, citiamo dal suo saggio Misticismo e logica). Il tema è, comunque, scottante e, a toccarlo, si sono bruciate molte dita sia di scienziati sia di teologi.
Qualcosa del genere accadrà ancora il prossimo anno. Nel 1809, infatti, a Shrewsbury, capoluogo dello Shropshire (Inghilterra occidentale), una cittadina industriale, dominata dalla mole del castello e dell'Abbey Church normanni, vedeva la luce Charles Robert Darwin, mentre nel 1859, per i tipi di John Murray, usciva a Londra The Origin of Species by Means of Natural Selection.
Il 2009 scandirà, perciò, due anniversari capitali e attirerà una colluvie di convegni, dibattiti, saggi ove, al ponderoso e ponderato affaticarsi di scienziati, filosofi e teologi, si assocerà il vispo altercare delle polemiche e delle ideologie alternative. Uno dei rischi maggiori, infatti, è che si producano derive da teorie scientifiche a opzioni ideologiche o da tesi teologiche a pronunciamenti apologetici.
Tra parentesi, è curioso notare che nelle pur preziose "Garzantine" la voce "Darwin" ha, nel volume dedicato alla Filosofia, quasi centocinquanta righe, mentre nel tomo delle Scienze ne allinea soltanto poco più di trenta! Molto spesso, infatti, l'interesse della teoria darwiniana risiede proprio nel confronto o scontro con le concezioni filosofiche e religiose. Non dimentichiamo, tra l'altro, che l'autore aveva studiato anche teologia a Cambridge e sulla religione egli era stato sempre piuttosto esitante: se nell'autobiografia si delineava come agnostico, nella seconda edizione (1860) de L'Origine della specie, alla frase "vi è qualcosa di grandioso in queste considerazioni sulla vita" aggiungeva a sorpresa: "e sulle varie facoltà di essa, che furono impresse dal Creatore in poche forme o anche una sola".
Confessava in seguito che sulle questioni religiose "il mio giudizio è spesso fluttuante e persino nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato ateo nel senso di negare Dio".
Sta di fatto che l'evoluzione fu ed è ancora brandita spesso come arma contro l'antropologia teologica ed è, perciò, molto interessante che uno scienziato, Fiorenzo Facchini la cui vicenda accademica l'ha condotto anche a impegnarsi sul campo in Kazakhstan e Kyrgyzstan per le sue ricerche paleantropologiche raccolga le "sfide della evoluzione" con un testo di alta divulgazione, chiaramente diviso a dittico, del quale il nostro giornale ha già offerto un'anticipazione e che ora vorremmo riproporre come interessante sussidio sintetico (Le sfide dell'evoluzione, Milano, Jaca Book, pp. 174).
Il primo movimento del volume è di taglio "scientifico" e scandisce le varie tappe che vanno dall'esplosione della vita nel Cambriano fino all'homo erectus e allo sbocciare della cultura. Giunto al termine di questa prima parabola, vengono anche tirate le somme dei dati acquisiti: l'uomo ha una storia evolutiva (come le altre specie viventi) e si radica nel ceppo dei primati; l'evoluzione è la più plausibile spiegazione della documentazione fossile a noi pervenuta ed è coerente con le risultanze delle altre discipline (paleontologia, anatomia comparata, zoologia, genetica e biologia molecolare); la culla dell'umanità è da identificare in Africa; la cultura coi suoi sistemi intenzionali e simbolici è l'emblema identitario dell'uomo.
Contemporaneamente, però, rimangono aperti molti interrogativi che lasciano spazio alla discussione, così come dai dati repertati germogliano interpretazioni, teorie, problemi di indole più sistematica. È, così, pronto il secondo movimento del saggio in cui Facchini senza dismettere i panni dello scienziato si trasferisce sull'altro versante ove, però, è necessario adottare un diverso statuto epistemologico.
Intendiamo ovviamente alludere all'orizzonte filosofico-teologico - come è noto, Facchini è un sacerdote cattolico, e non c'è bisogno di evocare Copernico o Stenone o Spallanzani o Mendel e altri ecclesiastici scienziati per confermare questa tradizione - ove si presentano interrogativi e soluzioni ritenute spesso incompatibili con gli esiti delle analisi scientifiche.
Centrale è il binomio "evoluzione e creazione", da molti giudicato come un dilemma, un'antinomia e persino un ossimoro contraddittorio.
Le pagine dello studioso sono sobrie ma coraggiose: partono da una corretta ermeneutica dei passi della Genesi biblica, non temono di confrontarsi con la teoria dell'Intelligent Design che egli preferisce riclassificare come "progetto superiore", non esitano a perlustrare l'intero grappolo dei corollari dell'antropologia teologica: trascendenza, poligenismo o monogenismo, coscientizzazione, comportamento etico e così via.
Un percorso che, alla fine, riesce a "custodire castamente le frontiere" proprie della scienza e della teologia, per usare la nota espressione di Schelling, evitando ogni concordismo a basso costo ed escludendo nel contempo ogni radicale incompatibilità e ogni aggressione prevaricatrice.
Certo, questo libro verrà letto più dai credenti, ma ci permettiamo di suggerirlo anche a chi si classifica come Darwin un agnostico, perché potrà verificare quanto in queste pagine sia vagliata pure la letteratura "laica" sul tema.
Vogliamo concludere, tuttavia, con una sorta di colpo d'ala, lieve ma suggestivo. Il grande antropologo Yves Coppens ha voluto raccontare le origini dell'uomo ai ragazzi e l'ha fatto con un delizioso album, illustrato da Sacha Gepner (Le origini dell'uomo, Milano, Jaca Book, 2008, pagine 61, euro 18). A partire dal Big Bang, l'orologio del tempo è fatto battere nei suoi 15 o 12 miliardi di anni per raggiungere non solo la nostra famiglia, gli Ominidi, dal cranio di Toumai nel Ciad o dalla piccola austrolopiteca Lucy, ma per scendere anche giù giù fino a quei nostri progenitori che, inventando la scrittura, hanno suggellato la preistoria e ci hanno introdotto nella storia. "Quale che sia il colore della loro pelle - conclude Coppens - la loro statura e la forma degli occhi, tutti gli uomini che popolano la nostra Terra appartengono all'unica specie, Homo sapiens, uscita dall'unico genere Homo, nata in Africa 3 milioni di anni fa".

(©L'Osservatore Romano - 9-10 giugno 2008)

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