23 luglio 2008

Pedofilia. Il rettore e vescovo ausiliare Julian Porteous: "Siamo molto felici che il Pontefice sia stato tanto coraggioso" (Viana)


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l’intervista

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Il rettore e vescovo ausiliare Julian Porteous: siamo molto felici che il Pontefice sia stato tanto coraggioso

Paolo Viana

DAL NOSTRO INVIATO A SYDNEY

«Siamo veramen­te felici che il Pa­pa sia stato tan­to coraggioso da condan­nare gli abusi sessuali, di schierarsi con le vittime, di confermare che i responsa­bili vanno consegnati alla giustizia.
Per noi sono cose dolorosissime ma abbiamo deciso di non rimuoverle, per purificarci. Ora speria­mo che la grazia possa fio­rire sulla sofferenza» .

Per quanto monsignor Julian Porteous cerchi di misura­re le parole, quel «noi» tra­disce un senso di liberazio­ne collettivo. Vescovi, pre­ti, educatori, famiglie oggi sono più liberi dalla « ver­gogna che tutti abbiamo sentito » , come la chiama Benedetto XVI, venuto a chiudere con parole non formali e una condanna durissima della pedofilia la più grave crisi della Chiesa australiana.
Il vescovo au­siliare di Sydney – che è an­che rettore del Seminario diocesano – ci spiega per­ché, con il discorso di St. Mary, si volta pagina.

Ci si aspettava questo pas­so. Eppure c’è la sensazio­ne che il Papa sia andato anche oltre le attese. È co­sì?

C’era una grande attesa di risposte nella società au­straliana e questa era l’oc­casione giusta, perché il Santo Padre parlava da­vanti a tutti i vescovi, ai pre­ti, ai seminaristi... L’occa­sione giusta per pronun­ciare scuse sofferte e profondamente sentite al­le vittime degli abusi e alle loro famiglie, per dire che la Chiesa deve fare tutto il possibile per il loro benes­sere, per ribadire che va fat­ta giustizia. La Chiesa rico­nosce l’esistenza del pro­blema e non cerca di na­sconderlo. Spero che la chiarezza delle sue parole dimostri che vogliamo ve­ramente aiutare coloro che hanno sofferto, e sono con­vinto che tutti gli australia­ni saranno felici per queste parole. Gli abusi sono una ferita che la Chiesa deve cu­rare.

Che cosa fa la Chiesa au­straliana per evitare che gli abusi del passato si ripeta­no?

«Oggi più liberi dalla vergogna, ma non dimentichiamo che sono stati pochi casi, ormai del passato»
Lavoriamo dal 2002 sul programma «Verso la gua­rigione », che è fatto di pro­cedure ben definite e con­sente di far pervenire a chi ha responsabilità nella Chiesa le denunce delle persone, verificarle e giun­gere, eventualmente, a un processo rispettoso di chi vi è coinvolto. Questo pro­gramma garantisce il ri­spetto scrupoloso delle vit­time di abusi.

Che cosa fa un vescovo se verifica che un sacerdote si è macchiato di abusi?

La procedura prevede la denuncia. La Chiesa au­straliana ha l’obbligo di ri­portare le denunce raccol­te all’autorità giudiziaria, soprattutto se l’abuso ri­guarda minori. Vorrei sot­tolineare però che i casi in cui siamo stati costretti a intervenire sono rarissimi: il problema degli abusi è grave perché le famiglie ci affidano i loro figli con to­tale fiducia e basta l’errore di uno solo per compro­metterla, ma i casi su cui si polemizza in questi mesi ri­salgono a molti anni fa e talvolta riguardano un solo soggetto che ha commesso più abusi. Questo non di­minuisce la gravità del fat­to ma è sempre bene ricor­dare che a fronte di uno che sbaglia ce ne sono migliaia che svolgono la loro mis­sione con coscienza.

Questo problema vi ha in­dotto a intervenire sul per­corso formativo dei semi­naristi?

In modo significativo. Oggi diamo istruzioni precise sul comportamento da tenere e sui limiti da osservare nei rapporti con i minori, e i se­minaristi sono molto con­sapevoli delle proprie re­sponsabilità. Inoltre, nei se­minari abbiamo inserito u­no psicologo responsabile della formazione umana del seminarista e un prete­mentore, il « companion » , che segue il futuro prete e ragguaglia periodicamente il rettore. Gli standard cui tendiamo sono molto alti, anche perché oggi la crisi delle famiglie rende più vulnerabili i ragazzi, e noi dobbiamo attrezzarci.

Giusto, ma, come si sa, c’è anche la crisi delle voca­zioni: se un seminarista dimostra inclinazioni ri­schiose, come vi regolate?

Se capiamo che un giova­ne non è idoneo, gli chie­diamo di ripensarci. Il car­dinale Pell è stato molto chiaro su questo punto: meglio meno preti ma buoni preti. Nel dubbio, non rischiamo.

© Copyright Avvenire, 20 luglio 2008

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