8 marzo 2007

Nuova rassegna stampa dell'8 marzo 2007


Oggi, in occasione della nomina di Monsignor Bagnasco e delle dimissioni del Cardinale Ruini da Presidente della CEI, c'e' un vasto "assortimento" di articoli sui quotidiani.
Il primo editoriale, pero', e' quello che preferisco perche' parla del futuro dei rapporti fra Vaticano e Russia :-))



Putin rompe il ghiaccio con Ratzinger

Paolo Rodari

La Santa Sede ancora non ha dato la conferma ufficiale seppure, ad oggi, venga data per imminente - dovrebbe essere martedì prossimo 13 febbraio - la visita del presidente russo Vladimir Putin in Vaticano per incontrare papa Benedetto XVI.Una visita - è il caso di dirlo subito - che soddisfa gli interessi di entrambe la parti.
A Putin fa gioco mostrare, innanzitutto agli occhi dell’Occidente, come la Santa Sede non rinunci a tessere rapporti di amicizia e di collaborazione con lui. Insieme, al presidente russo interessa mostrare al suo paese - e quindi alle potenti guide religiose dell’ortodossia - come il Vaticano, e cioè una delle poche e ultime istituzioni che in Occidente combatte con forza contro la secolarizzazione (fenomeno ben presente oramai anche in Russia) non disdegni, ma anzi abbia piacere, guardare a Est, verso un paese in cui, nonostante tutto, una certa spiritualità e senso di rispetto per le guide religiose è ancora ritenuto un valore.
Anche la Santa Sede, è ovvio, ha interesse a un incontro con Putin, soprattutto perché il presidente russo potrebbe giocare un ruolo, se non decisivo quanto meno significativo, per un avvicinamento tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa. Avvicinamento che - c’è sempre maggiore fiducia nella stanze vaticane - potrebbe presto concretizzarsi in uno storico incontro tra Benedetto XVI e il patriarca di Mosca Alessio II, un incontro da svolgersi se non in Russia (come aveva sempre cercato di fare papa Wojtyla) almeno - e qui potrebbe risiedere una certa furbizia diplomatica di Ratzinger - in terreno neutrale, chissà, magari a metà strada tra Roma e Mosca, in Austria oppure in Ungheria. Un incontro che potrebbe dare una svolta al cammino di unificazione tra cattolicesimo e Chiese ortodosse ufficialmente separatesi nello scisma del 1054: perché se Mosca fa un passo in questo senso nei confronti di Roma, a pioggia gli stessi passi potrebbero essere compiuti dalle altre Chiese ortodosse.
Dopo essersi incontrato due volte con Giovanni Paolo II (nel 2000 e nel 2003), Putin vedrà per la prima volta Benedetto XVI. Con Wojtyla, Putin parlò in russo e il papa polacco si fece aiutare da un interprete. Con Benedetto XVI, l’incontro avverrà in tedesco, lingua che Putin conosce bene grazie agli anni in cui ha lavorato al servizio del Kgb nella Rdt.
Putin non dovrebbe seguire quanto prima di lui fecero Gorbaciov ed Eltsin con Wojtyla i quali, probabilmente scontentando la leadership della Chiesa ortodossa, invitarono ufficialmente il papa a visitare Mosca.
Il patriarcato ortodosso moscovita - e questo Putin lo sa bene - ha interesse a condurre personalmente i rapporti con la Santa Sede e una mossa del genere da parte di Putin potrebbe non giovare innanzitutto allo stesso presidente russo.
Certo, resta evidente il fatto che mai, come da quando è salito al soglio di Pietro il cardinale Joseph Ratzinger, i rapporti tra le Chiese di Roma e Mosca si siano incanalati su binari così favorevoli.
In particolare a Roma, nei rapporti con Mosca, potrebbe giovare l’attivismo mostrato negli ultimi mesi dal patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I. Infatti, l’invito da lui avanzato a Ratzinger a visitare la Turchia lo scorso fine novembre - un invito risultato diplomaticamente vincente perché, in questo modo, Bartolomeo I è riuscito ad aumentare il proprio prestigio e ad accreditarsi maggiormente come uno dei principali interlocutori per Roma all’interno del mondo ortodosso - pare abbia provocato a Mosca la volontà di tornare a mostrarsi come la Chiesa ortodossa più prestigiosa e importante per Roma. La mossa di Bartolomeo I, infatti, non è stata e non è gradita da Alessio II il quale ha ben compreso che se continuerà nell’arroccamento nei confronti di Roma senza concedere nulla, potrà vedersi scippato sotto il naso da Costantinopoli il ruolo di principale riferimento per Roma all’interno del mondo ortodosso.
Sono due i segnali principali venuti recentemente da Mosca circa una certa volontà di disgelo nei rapporti con Roma: il primo si può leggere nel fatto che Putin, oltre a incontrare il papa, si recherà la prossima settimana a Bari, città che la Russia considera - dal punto di vista religioso - una capitale dell’ortodossia poiché qui si trova la basilica san Nicola di Myra che gli ortodossi venerano come loro protettore. Il suo arrivo a Bari, se è stato, come si dice, caldeggiato dallo stesso patriarcato moscovita, potrebbe essere interpretato come una certa volontà della stessa Chiesa ortodossa di Russia di mostrarsi decisa a fare nuovi passi sulla strada dell’ecumenismo con i cattolici. In secondo luogo, resta del tutto significativo il fatto che, recentemente, sia stato il metropolita moscovita Kirill, presidente del dipartimento relazioni estere del patriarcato di Mosca, a scrivere di suo pugno una introduzione alla stampa in lingua russa del libro “Introduzione al cristianesimo” di Joseph Ratzinger, libro editato dalla “Biblioteca dello Spirito”.
Un gesto importante, quello di Kirill, e che, se letto in chiave ecumenica, non può che fare ben sperare. Oltre ai rapporti ecumenici, la vista di Putin potrà essere “sfruttata”, almeno da parte vaticana, per mettere sul tavolo questioni più pratiche. Anche con Benedetto XVI, infatti, come era ai tempi di Wojtyla, seppure migliorati i rapporti tra Roma e Mosca hanno avuto momenti di crisi soprattutto a causa delle continue accuse di proselitismo mosse dagli ortodossi russi ai cattolici.
Da sempre, è la legislazione russa in tema di libertà religiosa a scontentare la Santa Sede: una prima legge emanata da Gorbaciov nel 1990 aveva dato libertà di azione a tutti i gruppi religiosi. Poi, una legge successiva, quella emanata nel 1997, aveva di fatto tentato di bloccare lo sviluppo di nuove spiritualità, fra le quali è stata inclusa la Chiesa cattolica che pur esisteva, con diocesi e strutture, già al tempo dello zar. Ad aggravare la situazione sono poi intervenute le autorità locali, spesso particolarmente sensibili alle pressioni degli ortodossi del luogo. Una serie di visti non rinnovati a sacerdoti cattolici da molti anni operanti in Russia segnò, nel 2002, il massimo della tensione.
Putin, uno dei pochi capi di Stato non presenti ai funerali di Giovanni Paolo II, nel messaggio augurale a Benedetto XVI per l’inizio del pontificato aveva espresso la volontà di «portare avanti un dialogo politico costruttivo» con il Vaticano e probabilmente la sua imminente visita potrà segnare un nuovo inizio sul terreno di questo dialogo. Un dialogo che, a conti fatti, oggi potrebbe prendere l’abbrivio dalla comune lotta della Santa Sede e di Putin (in quanto capo di un paese la cui Chiesa principale rimane quella ortodossa) contro i tipici mali occidentali: laicismo, economicismo, secolarismo, liberismo e permissivismo, che caratterizzano, appunto, la globalizzazione, la quale è anche americanizzazione del mondo. Potrebbe essere l’inizio di un’alleanza più decisa tra Ratzinger, Putin e Alessio II.

Il Riformista, 8 marzo 2007


Con i buoni auspici del Pontefice
Avanza una nuova generazione di vescovi gradita a Bertone

GIUSEPPE DE CARLI

«L'ANNUNCIO ufficiale del nuovo presidente della Cei ha fatto dormire sonni poco tranquilli ai politici e... anche a qualche cardinale». Il Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, lancia la battuta con un sorriso fra l'ironico e il divertito. Una piccola puntura di spillo, al termine della presentazione a Roma del libro di Luigi Bobba. A chi si riferiva il cardinale e a quali cardinali? Anzi, ai giornalisti, dà l'annuncio della nomina di Angelo Bagnasco a nuovo presidente della Cei, il giorno prima dell'annuncio ufficiale (si tratta della giornata di ieri) comparso sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede e nell'edizione del pomeriggio (con data 8 marzo) dell'«Osservatore Romano». Particolari di poco conto, dirà qualcuno, ma che gettano luce sul passaggio più delicato della Chiesa italiana di questi ultimi venti anni. Se per ben quattro lustri il cardinale Camillo Ruini è stato il timoniere capace di disincagliare la comunità cattolica dalle secche dell'immobilismo, trasformando la Chiesa nel movimento più forte e incisivo nella realtà sociale e politica del nostro Paese, il nuovo presidente della Cei doveva rispondere ad almeno tre requisiti: essere gradito al Papa cui spetta di diritto la nomina , essendo il «primate d'Italia»; essere punto di mediazione fra le tante e diverse e non sempre convergenti anime dell'episcopato; inserirsi nel solco tracciato da Camillo Ruini sulla base di quel «progetto culturale», che è ben più di un araba fenice - come i critici l'hanno bollato -, ma è il cuore di un azione pastorale che vuole predicare il Vangelo senza perdere di vista i problemi e la realtà della nazione. Ruini «ha imposto i suoi tempi», forse con uno scarso rispetto dei tempi della Santa Sede. E la Santa Sede ha risposto con la consapevolezza di dover agire con determinazione. Se dovessimo dirla tutta, il grande regista dell'operazione Angelo Bagnasco, è stato il cardinale Bertone. È nelle sue corde, nel suo essere salesiano, nell'affrontare di petto gli snodi più intricati (non dimentichiamo l'offensiva diplomatica della Santa Sede nei confronti del mondo arabo dopo l'«incidente» della «lectio magistralis» di Papa Benedetto a Ratisbona), fidando sul fiuto e su di una visione complessiva delle cose. Mediano di spinta, appunto. Offre, lui che è inguaribile tifoso juventino, le palle utili per andare in gol. Certo, la nomina di Bagnasco è stata rispettosa di tutti i giocatori in campo. Il gioco di squadra, appunto. Ma la spinta decisiva è venuta dal premier del Papa, da quello che già il cardinale Agostino Casaroli, cui Bertone si rifà volentieri, aveva definito la «meridiana del Vicario di Cristo». Non siamo lontani dal vero se affermiamo che è stato, infatti, Tarcisio Bertone a proporre a Benedetto XVI Angelo Bagnasco a Genova. A volere un genovese nella città della Lanterna. E in queste settimane, sempre Bertone, ha ricostruito il vertice operativo della Segreteria di Stato, chiamando dal lontano Sudan il vescovo Dominique Mamberti nell'incarico cruciale di «ministro degli esteri» vaticano; a spostare il nunzio in Italia, Paolo Romeo all'arcidiocesi di Palermo e a sostituirlo con Giuseppe Bertello, sconosciuto ai più, e felicemente nunzio apostolico a Città del Messico. Dopo una personalità forte come Ruini occorreva un’attenzione vigile. Una prossimità nuova da parte della Santa Sede nei confronti di una delle Conferenze Episcopali più importanti del mondo.

Il Tempo, 8 marzo 2007


Il Papa ha nominato il successore di Ruini, fortemente voluto da Bertone
Bagnasco: «In prima fila a difesa di vita e famiglia»

Il neopresidente Cei: i cattolici dimostrino la loro forza

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - I Dico, la collegialità della Cei, l’identità cattolica e i rapporti con la segreteria di Stato vaticana sono i nodi che Angelo Bagnasco, da ieri presidente della Cei, dovrà affrontare. Genovese, 64 anni, figlio di operai, arcivescovo della città dove è nato, Bagnasco ha ricevuto l’investitura ufficiale. La decisione di dare il via a questa successione, che nella Chiesa ha un valore quasi epocale, è stata affidata a uno scarno comunicato di due righe sul bollettino giornaliero della Santa Sede. Dunque, nessun discorso. Ma non a caso, nell’udienza generale del mercoledì, Ratzinger ha sottolineato i punti che in questo momento più gli stanno a cuore: i rapporti tra cristiani e autorità politiche e i rapporti tra i fedeli e le gerarchie ecclesiastiche. L’intervento è apparso confezionato ”a misura” per il periodo di transizione e per le future sfide.
Bagnasco manterrà il suo incarico di arcivescovo di Genova e presto sarà cardinale. Succede a Camillo Ruini, che è stato capo della Conferenza episcopale per sedici anni, e che continuerà a essere il vicario di Benedetto XVI. Gradito al cardinale uscente, e al segretario Tarcisio Bertone, il neo-presidente sarà l’uomo della continuità e il garante dei valori «non negoziabili» della Chiesa cattolica: «Per la difesa dell’uomo, della vita e della famiglia». Significa che al monsignore genovese spetterà il compito di gestire in prima linea i difficili rapporti tra lo Stato laico e la Santa Sede.
Sulla regolarizzazione delle coppie di fatto la sua posizione è identica a quella del predecessore: «Se l’esigenza - ha dichiarato di recente - è quella di assicurare determinati bisogni all’interno della coppia sappiamo bene che il diritto privato, di fatto, già consente queste garanzie. Quindi, pur con alcuni aggiustamenti del diritto, non si vede la necessità di costituire una nuova figura giuridica, che è una grave ferita all’istituto familiare». Altro punto su cui Bagnasco pone l’accento è l’identità cattolica. Ecco le sue parole di pochi giorni fa: «Ai cattolici non basta essere presenti e dire che ci sono. Devono dimostrare tutta la forza della loro identità con serenità». Poi ha aggiunto: «E’ chiaro che i cattolici devono difendere la famiglia e che la Chiesa cattolica deve richiamarli a questo compito. Cercano spesso di farci passare per degli intolleranti, ma non è così. Non si vogliono fare guerre sante».
Sulla collegialità, che ha intenzione di valorizzare, la sua idea l’ha già espressa: «La Cei è una struttura di comunione e di servizio per il discernimento delle sfide contemporanee e per i grandi orientamenti pastorali. I vescovi nei loro dibattiti guardano alla parola del Papa e a quella delle chiese locali». Quanto ai rapporti tra Bagnasco e la segreteria di Stato ci sarà una grande intesa: da Oltretevere dicono che la sua nomina è stata fortemente voluta da Bertone.
Nel palazzo di via Aurelia la Cei era Ruini. Il cardinale lascia l’incarico per raggiunti limiti di età. Ma dopo 16 anni di ”regno” un certo disorientamento sarà inevitabile. Però anche se non ci saranno strappi, visto che Bagnasco fa sua la difficile eredità di Ruini, Attesissimo il primo discorso di Bagnasco rivolto ai vescovi, è in programma per l’ultima settimana di marzo. Da qui si capirà che cosa scriverà nella nota sui Dico, che Ruini gli ha lasciato in eredità, nota che potrà impegnare i politici cattolici.
«Quando il Papa chiama, si risponde», sono le prime parole pronunciate dall'arcivescovo ieri dopo l’ufficializzazione dell’incarico. Tantissimi i messaggi augurali. Tra i primi quelli del presidente Napolitano: «Siamo certi che saprà rispettare la laicità delle istituzioni». Anche l’intero governo, con Prodi in testa, ha rivolto a Bagnasco parole di congratulazione. Così il capo dell’opposizione, Berlusconi, e gli altri esponenti della Cdl.

Il Messaggero, 8 marzo 2007

Vedi anche:

Rassegna stampa dell'8 marzo 2007

Aggiornamento rassegna stampa dell' 8 marzo 2007

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