17 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 17 maggio 2007 (2)


Vedi anche:

La sporcizia nella Chiesa...la decisione del cardinale di Los Angeles

Rassegna stampa del 17 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 17 maggio 2007 (1)


Giornata contro l'omofobia

Siamo tutti persone. Conta questo

Umberto Folena

Il modo peggiore per cominciare un articolo sulla giornata contro l'omofobia? Con la solita dichiarazione previa: noi non siamo omofobi. Non perché non lo siamo, ma perché quella frase è ridotta ormai a una sorta di tic di replica a un altro tic, l'accusa reiterata e ossessiva di alcuni, pochi, soliti baroni del movimento gay organizzato: i cattolici sono omofobi, la Chiesa è omofoba, il popolo di piazza San Giovanni è omofobo, eccetera. L'accusa viene lanciata non in presenza di reali manifestazioni omofobe, ma come ritorsione nei confronti di qualsiasi libera critica civile rivolta a quanto quei baroni dicono o fanno. Anziché replicare con laica razionalità, scagliano l'insulto, come se l'intento non sia discutere, ma additare alle folle il mostro. A quel punto il dialogo è finito prima ancora di cominciare.
L'omofobia è cosa ben più seria e grave, e tutti dovremmo fare il nostro personale esame di coscienza in proposito. Il modo vero e serio per vincerla è prendere consapevolezza che non esistono gli omosessuali accanto agli eterosessuali, ma persone accanto ad altre persone. Persone che possono essere etero o omo, ma prima di tutto sono persone. Da cristiani, poi, quando preghiamo con le parole insegnateci da Gesù: «Padre nostro», non escludiamo nessuno ma includiamo tutti. «Nostro», ossia di noi etero e omo allo stesso modo.
Siamo tutti persone e come tali ciò che ci unisce è senza alcun dubbio molto più di ciò che ci divide. Ma le persone sono portatrici di diversità. Etero e omo sono diversi. E la diversità ha sempre creato dei problemi, tanto più difficili da superare quanto più la diversità era accentuata. E qui forse ci è dato di ragionare sul perché, nella comunità cristiana, il tema degli omosessuali appare ancora non risolto. Individuiamo tre motivi.
In parte, ci può essere una certa durezza di cuore - spesso solo apparente: magari è imbarazzo - da parte di alcuni cristiani che fanno fatica. Disprezzarli e colpevolizzarli per questa loro fatica sarebbe ingeneroso e sciocco: così facendo si induce chiusura ulteriore. Secondo motivo: l'aggressività, anche se solo di facciata, di certe manifestazioni pubbliche, come i Gay Pride, viene avvertita come una minaccia da chi apprezza il pudore e non l'esibizionismo, omo o etero che sia. Terzo, forse non abbiamo fatto nostra abbastanza - vivendola nella carne, non soltanto apprendendola sul catechismo - la realtà di una Chiesa madre e maestra. Madre, capace di accogliere e perdonare ogni cuore sincero, capace di amore senza limiti. Maestra, fedele al suo compito di annunciare, con dolce fermezza, la verità.
Oggi sarebbe bello poterci prendere degli impegni. La Chiesa a tenere le sue porte sempre spalancate perché tutti, etero o omo, siamo battezzati, allo stesso modo figli di Dio; tutti a prendere atto che la diversità esiste, il matrimonio è una cosa sola, e la famiglia è tale se a formarla sono un uomo e una donna; e i legami omo-affettivi sono non "più" o "meno", ma di altra natura: semplicemente diversi. Le persone omosessuali a proporre, non imporre la loro cultura ormai pervasiva sui massmedia, perché ogni forma anche inconsapevole di imposizione gioca contro la loro stessa causa; e magari a smarcarsi da chi è riuscito a fare di una condizione una professione. Le persone eterosessuali a scrollarsi di dosso ogni residuo di pregiudizio proprio, anche solo riflesso, e a non tollerare il pregiudizio altrui.
A quel punto, l'odierna giornata non sarà passata invano.

Avvenire, 17 maggio 2007


Ieri Wojtyla sospettato, oggi Ratzinger bersagliato

L'applauso eretto a sistema di giudizio

Gian Maria Vian

Nella nostra era mediatica bisognerà introdurre l'applausometro come criterio di giudizio anche per i papi? A leggere i commenti del viaggio in Brasile di Benedetto XVI, in alcuni giornali italiani, sembrerebbe di sì. E questo non è un progresso. Per sgombrare il campo dagli equivoci va premesso che ognuno, ovviamente, è libero di criticare il Papa e la Chiesa cattolica. Purché non si oltrepassino i limiti imposti dal rispetto delle opinioni altrui e della sensibilità di milioni di persone, cattoliche ma anche laiche. Come invece si fa - con lodevole scrupolo - nei confronti di altre confessioni cristiane, dell'ebraismo e dell'islamismo. Mentre non di rado nei confronti dei cattolici si usano tranquillamente argomenti e toni polemici che non si osano nemmeno pensare verso altre confessioni religiose. Ma veniamo ai commenti sul viaggio in Brasile, dove il vescovo di Roma si è recato - sulla scia dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II - per aprire la periodica conferenza dell'episcopato latinoamericano. In una parte del mondo dove vive la metà dei cattolici di tutto il mondo, e dove il successore di Pietro è andato per «confermare» i suoi fratelli. Sicuro che dall'incontro di Aparecida, in pieno svolgimento proprio in questi giorni, «potranno sorgere nuove strade e progetti pastorali creativi», come ha detto il Papa in un discorso inaugurale tanto impegnativo per i vescovi quanto fiducioso nel metodo collegiale. Al contrario, il manifesto sa già come andrà a finire «dopo il mezzo fiasco brasiliano», del resto anticipato da un'intervista preconfezionata di Leonardo Boff della quale il quotidiano romano aveva pubblicato una sintesi alla vigilia del viaggio: così il Papa «è stato prevedibile» con le sue «ossessioni» (del tipo, «aborto, eutanasia, famiglia canonica»).
Ma non basta: «Prevedibile (e noioso) deve essere sembrato anche alle masse cattoliche brasiliane», dimostratesi - scrive ancora Maurizio Matteuzzi - «insensibili al suo scarso appeal. Il lugubre inquisitore giunto da Roma è stato visto e sentito come un estraneo, che parlava di cose che non avevano nulla a che fare con la realtà in cui le diceva». Poi un po' di cifre, da applausometro, appunto, per dimostrare che per Benedetto XVI non c'è partita: con i telepredicatori pentecostali, il gay pride carioca, i Rolling Stones e nemmeno Giovanni Paolo II, riscoperto - e molto accomodato, per la verità - quando non c'è più (ma restano i suoi insegnamenti, allora vituperatissimi e che magari andrebbero riletti prima di contrapporre un pontefice all'altro, secondo uno schema che già nel 1885 denunciava Leone XIII scrivendo all'arcivescovo di Parigi, cardinale Guibert). Chi non ricorda i sospetti che Wojtyla suscitava, presso certi osservatori, per il suo feeling con le folle? Ma anche il commento, più articolato, di Filippo Di Giacomo sulla Stampa - titolato seccamente «Dietro il flop del Papa in Brasile» - si avvia sul confronto con il predecessore per sottolineare in fondo un'ovvietà, e cioè che «il wojtylismo senza Wojtyla non ha senso e comunque non esiste» (in proposito il manifesto scopre che «Wojtyla aveva un carisma e un peso in scena che il pallido pastore tedesco non si sogna di avere - e forse neanche vuole avere»). Anche se poi Di Giacomo sostiene che Benedetto XVI «è stato anche uno straordinario annunciatore e testimone, pacato e lucido, della verità e della libertà evangeliche», come argomenta in un'analisi del discorso di Aparecida. Ma l'applausometro non serve. Il vescovo di Roma - papa teologo e pastore - sta svolgendo il suo ministero di comunione grazie soprattutto alla parola. Impegnativa sì, ma non cerebrale. Di ragione, certo, ma anche di cuore. Chi l'ascolti con un minimo di attenzione, vi sentirà risuonare una semplice verità, annunciata nell'enciclica programmatica: all'inizio dell'essere cristiano «non c'è una decisione etica o una grande idea», ma l'incontro con una persona, Gesù. Che di applausi non ne ha presi molti.

Avvenire, 17 maggio 2007

Trovate l'articolo di Filippo di Giacomo su "La Stampa" di ieri in "Analisi (di parte) del viaggio in Brasile".
Chi vuole leggere l'articolo del Manifesto puo' andare sul sito del quotidiano. Mi dispiace per la scomodita', ma, per coerenza e anticipo di antipatia, non ho mai riportato (ne' mai riportero') editoriali e commenti di un giornale che si segnala sempre per le offese gratuite al Santo Padre (famoso l'epiteto del 20 aprile 2005).
Ricordare Giovanni Paolo II solo per il suo carisma mediatico (contrapponendolo al fascino della parola in Benedetto XVI) non e' fare un torto a Ratzinger ma proprio a Wojtyla.
Da segnalare che nessuno ha mai evidenziato le folle strabilianti che Benedetto XVI ha incontrato a Colonia, in Polonia, in Spagna e in Baviera e addirittura, secondo le dovute proporzioni, in Turchia. E' evidente che si aspettava Papa Ratzinger al varco...beh...noi attenti lettori faremo lo stesso con i giornali.

Raffaella

2 commenti:

gemma ha detto...

mi pare di capire che, dando retta al Manifesto (ma quanta ingerenza nella Chiesa!)il prossimo Papa dovrebbe essere scelto direttamente negli studi di Cinecittà. Ma io mi chiedo, possono giornalisti anche intelligenti misurare il valore di un uomo, chiunque esso sia, dall'appeal pallido o abbronzato?
In America Latina d'altronde, mi pare che l'appeal sulle folle abbia contato poco, se in 20 anni l'emorragia di fedeli è stata inarrestabile. Si facciano valutazioni serie per favore, non stupide vendette sui dati dell'applausometro. Che se in tv premia il Grande Fratello non mi pare molto affidabile come indice di valutazione dei contenuti e come scommessa sul futuro della società.

Anonimo ha detto...

Cara Gemma, non aggiungo altro al tuo post visto che hai colto perfettamente nel segno. Mi limito a segnalare che certi commenti di qualche giornale rasentano il razzismo puro.
Ciao
Raffaella