30 marzo 2008
La colonna, il legno, la roccia. L'alfabeto evangelico dei Luoghi Santi (Osservatore Romano)
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Fin dai primi secoli cristiani fede, teologia e liturgia si richiamano alla memoria storica di Gesù a Betlemme a Nazaret e soprattutto a Gerusalemme
La colonna, il legno, la roccia
L'alfabeto evangelico dei Luoghi Santi
di Michele Piccirillo
I primi pellegrini di cui abbiamo memoria venivano in Terra Santa spinti dal desiderio di avere un contatto diretto con i luoghi che già conoscevano dalla lettura dell'Antico Testamento e del Vangelo. Esigenze testimoniate nel secondo secolo dai vescovi Melitone di Sardi e da Alessandro, poi vescovo di Gerusalemme, nel terzo secolo dal maestro di Alessandria Origene e, verso la fine dello stesso secolo, da Eusebio: prima maestro nella scuola di Cesarea sul mare, poi eletto vescovo della città che era anche la metropoli della provincia di Palestina. Questi fu testimone oculare e possibile ispiratore della costruzione del complesso costantiniano del Santo Sepolcro sulla roccia del Golgota e sulla tomba di Gesù a Gerusalemme, della basilica dell'Ascensione sul monte degli Olivi e della basilica della Natività a Betlemme.
Più tardi i pellegrini presero a venire per vedere e pregare, per conoscere i luoghi della redenzione e edificarsi nella loro fede, riattualizzando nel contatto con i luoghi dove i fatti si erano svolti, la presenza redentrice e salvatrice di Cristo. In questo contesto di sacralizzazione della Terra Santa, non meraviglia l'uso teologico fattone da Cirillo vescovo di Gerusalemme nelle sue catechesi ai neofiti: "Molti sono i veri testimoni di Cristo (...) Testimonia il luogo della santa mangiatoia(...) Tra i fiumi rende testimonianza il Giordano; tra i mari quello di Tiberiade(...) Testimonia il santo legno della croce fino ad oggi visibile in mezzo a noi(...) Testimonia il Getsemani(...) Testimonia questo santo Golgota elevato(...) Testimonia il santissimo sepolcro e la pietra che ancora oggi si trova per terra(...) Testimonia il santo monte degli olivi da cui ascese al Padre(...)" (Catechesi, X, 19).
Un concetto che ritornerà con insistenza nelle controversie teologiche di quel secolo riguardanti l'umanità e la divinità di Gesù Cristo: "Egli fu realmente crocifisso per i nostri peccati! - diceva ai neofiti il vescovo Cirillo. E se vuoi negarlo, te ne convince il luogo stesso che di qui è visibile, questo beato Golgota in cui ora ci troviamo (Catechesi, IV). Ti contraddice questo santo Golgota che si innalza e che è ancora visibile e mostra ancora come le rocce si siano spaccate a causa di Cristo".
Concetto ripreso con forza a Roma da Papa Leone, quando si rivolgeva al vescovo di Gerusalemme, ai monaci o all'augusta Eudocia moglie di Teodosio II che viveva nella Città Santa, ricordando loro che i Luoghi Santi erano una testimonianza del mistero dell'incarnazione. Invitando Eudocia a usare la sua influenza per fare opera di pacificazione con l'accettazione delle decisioni del concilio di Calcedonia, le scriveva: "Possa giovare alle chiese, e di fatto grazie a Dio giova, e giovi al genere umano assunto nell'incarnazione del Verbo di Dio, il domicilio della vostra abitazione che voleste fosse lì dove gli indizi dei miracoli e i documenti della Passione vi parlano del Signore Gesù Cristo come vero Dio e anche vero uomo nell'unità della persona" (Lettera 123).
Rivolgendosi ai monaci palestinesi che non avevano accettato il concilio di Calcedonia il Papa da Roma li rimprovera: "È questo che avete imparato dai profeti, questo dai vangeli, questo dagli apostoli che negando la vera carne di Cristo e la vera essenza del Verbo sottomettendo alla passione e alla morte, facciate la nostra natura aliena dal suo riparatore e tutto quello che la croce portò, che la lancia ferì, che la pietra del sepolcro accolse e ridiede, fosse solo un'opera della divina potenza e non anche dell'umana umiltà?" (Lettera 124).
Rispondendo all'arcivescovo Giovenale che gli aveva comunicato il suo ritorno a Gerusalemme, da cui era stato costretto a fuggire per l'opposizione dei monaci e dei fedeli aizzati contro di lui, il Papa gli ricorda con franchezza di essere stato lui la causa di quanto era successo, per poi ribadire l'idea che, in quanto vescovo di Gerusalemme e per la sua posizione di custode dei Luoghi Santi, egli è un garante dell'Incarnazione: "Malgrado infatti a nessuno dei vescovi sia lecito disconoscere quanto predica, molto più inescusabile di tutti gli imperiti è qualsiasi cristiano che abita a Gerusalemme, che per conoscere la forza del vangelo è istruito non solo dagli insegnamenti delle (sacre) pagine, ma "dalle testimonianze degli stessi luoghi. E ciò che altrove non è lecito non credere, lì non lo si può non vedere". Perché far lavorare la mente, dove maestro è ciò che si vede? - Quid laborat intellectus, ubi est magister aspectus? (Lettera 139).
Sono le idee che con nuova forza, verso la fine del quinto secolo, vennero riformulate dai monaci della Città Santa nella lettera scritta all'imperatore Anastasio quando vennero a sapere che questi aveva deciso di esiliare il patriarca Elia e i due archimandriti Saba e Teodosio. Essi scrivono appellandosi all'apostolicità della Chiesa di Gerusalemme, "la madre delle chiese, Sion, dove si è rivelato e compiuto per la salvezza del mondo quel grande mistero della pietà che, cominciando da Gerusalemme, ha fatto levare, per mezzo della predicazione divina ed evangelica, la luce della verità sino a tutte le estremità della terra".
La coscienza storica di quanto lì era avvenuto che aveva animato i vescovi della Città Santa a riaffermare i diritti della loro sede nei concili ecclesiastici fino ad ottenere il titolo di patriarca nel concilio di Calcedonia, viene utilizzata dai monaci come sicura garanzia per ribadire all'imperatore il saldo fondamento su cui è basata la loro accettazione della fede ortodossa espressa dai primi quattro concili ecumenici: "Di questo prezioso e soprannaturale mistero del Cristo, attraverso la vittoriosa e preziosa croce, e la vivificante risurrezione, e "in verità anche attraverso tutti gli adorabili Luoghi Santi", noi tutti abitanti di questa Terra Santa, abbiamo ricevuto dall'alto e dal principio, mediante i beati e santi apostoli, la veridica e non illusoria confessione di fede, l'abbiamo custodita invulnerabile ed inviolabile nel Cristo, e, con la grazia di Dio, la custodiremo sempre".
I Luoghi Santi, diventati garanti della fede ortodossa della comunità di Gerusalemme, resteranno il punto di riferimento per superare la crisi più lacerante che aveva diviso la comunità dal suo vescovo dopo il Concilio di Calcedonia. Fu nella Basilica del Santo Sepolcro davanti al Calvario e alla tomba di Cristo che si svolse la grande festa della pacificazione che pose fine alla crisi al tempo dell'arcivescovo Martirio: "Rassicurati, entrarono tutti unanimemente nella Città Santa - scrive Cirillo di Scitopoli- essendosi risolti alla riunione con la santa Chiesa. L'arcivescovo li accolse e, dopo aver ordinato che si illuminasse la Santa Anastasi, offrì un festino pubblico a tutto il popolo dei monaci e degli abitanti della città e vi fu grande esultanza sulle piazze di Gerusalemme per la gioia della loro riunione".
La coscienza del valore teologico dei Luoghi Santi ancorata alla memoria storica della vita di Gesù che aveva favorito il nascere della liturgia stazionale e che da Gerusalemme si sarebbe diffusa nel mondo cristiano, si era affermata progressivamente e parallelamente anche come devozione per i Luoghi Santi e per la Terra Santa in generale.
Nella liturgia di san Giacomo, considerata tra le più antiche espressioni della celebrazione eucaristica come creazione e retaggio della comunità cristiana di Gerusalemme, il sacerdote recita questa preghiera di intercessione: "Invia su di noi e su queste offerte qui presenti il tuo Spirito Santo vivificante, o Signore, che domina e regna con te, Dio Padre, e con il tuo Figlio unico (...) che è sceso sul Signore in forma di colomba (...) che è sceso sui santi apostoli in forma di lingue di fuoco nella sala alta della santa e illustre Sion, il giorno di Pentecoste. "Noi ti presentiamo questa offerta, o Signore, per tutti i Luoghi Santi che tu hai glorificato con la manifestazione del tuo Cristo e con la venuta del tuo Spirito Santo, in particolare per la santa e illustre Sion madre di tutte le chiese e per la santa chiesa cattolica e apostolica del mondo intero"".
Una preghiera universale caratterizzata dal forte risalto dato ai Luoghi Santi e alla basilica del Sion, luogo dell'Ultima Cena e della prima celebrazione dell'eucaristia cristiana. Qui avrebbe avuto origine l'anafora di San Giacomo, vista come la forma primitiva della celebrazione eucaristica successivamente adottata dalle altre comunità del mondo cristiano.
Il valore di testimonianza storica, teologica e liturgica dei Luoghi Santi con il passare del tempo prenderà sempre più un carattere devozionale sottolineato dagli scritti dei pellegrini, a cominciare dall'Itinerario di Egeria - seconda metà del quarto secolo - fino all'anonimo pellegrino di Piacenza - seconda metà del sesto secolo - attento a notare tutte le manifestazioni della pietà popolare. Ricordo storico, valenza teologica e devozione popolare da vedere all'origine delle espressioni forti e provocatorie di san Giovanni Damasceno scritte nel contesto della crisi teologica legata al culto delle immagini sacre che nell'ottavo secolo divise la comunità cristiana: "Noi veneriamo le cose attraverso cui, e in cui, Dio operò la nostra salvezza, sia prima della venuta del Signore, sia durante l'economia della sua incarnazione, come il monte Sinai e la città di Nazaret, la mangiatoia e la grotta di Betlem, il santo Golgota, il legno della croce, i chiodi, la spugna, la canna, la lancia sacra e salvatrice, la veste, il mantello, i lenzuoli, le bende, il santo sepolcro ossia la fonte della nostra resurrezione, la pietra della tomba, il santo monte Sion e anche il monte degli olivi, la piscina probatica e il sacro campo del Getsemani. Io onoro e venero queste e simili cose (...) non a motivo della loro natura, ma perché sono ricettacoli di divina potenza e attraverso di esse e in esse Dio ritenne opportuno operare la nostra salvezza" (Difesa delle Immagini, oratio III, 34).
Mentre era ancora aperto il cantiere del Santo Sepolcro, nel 333 visitò Gerusalemme il pellegrino anonimo di Bordeaux. Sul monte Sion da anonimi abitanti della città gli fu mostrata la colonna alla quale Gesù fu legato e flagellato. Verso la fine del secolo la colonna fu vista dalla pellegrina Egeria nella basilica del Monte Sion costruita sulla sala dell'Ultima Cena, la madre di tutte le chiese. Si recavano a venerarla i fedeli più zelanti dopo la veglia sul monte degli Olivi iniziata il giovedì santo, al termine della processione notturna presso la roccia del Calvario.
San Girolamo, qualche anno dopo, precisa che al Sion "si mostrava una colonna di sostegno al portico della chiesa, tinta del sangue del Signore, avvinto alla quale si dice che fosse stato flagellato".
Oggi i pellegrini hanno la possibilità di venerare un frammento di quella colonna non sul Sion, da dove i frati furono cacciati nel 1551, ma nella basilica del Santo Sepolcro entrando nella cappella dell'Apparizione di Gesù alla Madonna usata dalla comunità francescana come chiesa conventuale.
Ve la pose nel 1558 padre Bonifacio da Ragusa Custode di Terra Santa al termine dei lavori di ricostruzione dell'edicola sulla Tomba, del restauro della cupola dell'Anastasis e della pietra dell'Unzione ai piedi del Calvario, per i quali aveva ottenuto i permessi dal sultano Solimano il magnifico e la somma necessaria dall'imperatore Carlo V e da suo figlio Filippo. La colonna era restata isolata tra le rovine della chiesa fuori le mura della città fatte ricostruire da Solimano nel 1542.
Racconta padre Bonifacio: "Andavano i frati e peregrini cattolici più volte al giorno a riverirla e adorarla. Ciò vedendo i Turchi, scandalizzati dei Franchi che adorassero una pietra, la spezzarono in più pezzi, quali furono secretamente in più volte presi e conservati dai frati, che nel Monte Sion habitavano; ne fu una buona parte mandata in Roma, qual trovasi nella chiesa di Santa Prassede.
Un altro pezzo fu posto alla sinistra parte dell'altare maggiore della cappella dell'Apparizione, dove officiano i frati Minori nel sacro Tempio del Santo Sepolcro di Cristo. Un altro pezzo fu posto nella chiesa di Monte Sion - cioè nella chiesa del nuovo convento di San Salvatore dove i frati traslocarono al tempo di padre Bonifacio - collocato tra l'altre loro reliquie, nella cappella di S. Tommaso, qual'io ruppi in più pezzetti: de quali uno diedi a Papa Paolo IV; un altro all'imperatore Ferdinando (di Austria); l'altro a Filippo re di Spagna; un altro alla Serenissima Repubblica di Venezia, qual repostola fra li tesori di S. Marco, fu per molti anni com'una preziosissima gemma custodita, solennizzandovi la festa ogn'anno, alle 16 d'aprile, con la concessione di Pio IV di cento anni di indulgenza a tutti quelli che la visitavano; levatolo poi dal tesoro la collocorno nella cappella di Sant'Isidoro, sopra l'altare maggiore, da un vespero all'altro, da copioso popolo di fedeli è devotamente adorata e baciata. L'ultimo pezzo donai alla Repubblica di Ragusa, qual havendo anco un pezzo del Santissimo Sepolcro del nostro Redentore, incastonato l'uno e l'altro in argento, ne fa solennissima festa alli 15 di dicembre, portandola con molto decoro e venerazione processionalmente per tutta la città".
Il frammento della roccia del Santo Sepolcro il padre lo aveva inviato alla sua città natale insieme con un frammento del legno della Santa Croce che aveva trovato aprendo la tomba di Cristo durante l'intervento di restauro e di ricostruzione dell'edicola sulla Tomba di Gesù al centro della rotonda dell'Anastasis, come scrisse in una lettera ad un padre della Compagnia di Gesù:
"Sembrando perciò necessario dover livellare quella struttura col suolo, perché quella che si doveva costruire fosse più forte e durasse più a lungo, distrutta quella esistente, si offrì ai nostri occhi il sepolcro del Signore in modo chiaro scavato nella roccia: in esso si vedevano raffigurati due Angeli di cui uno con una iscrizione che diceva: "È risorto non è qui", mentre l'altro indicando il Sepolcro proclamava: "Ecco il luogo dove era stato deposto". Le figure di questi due angeli non appena vennero a contatto con l'aria, scomparvero quasi completamente. Quando per necessità si dovette rimuovere una delle lastre di alabastro che coprivano il Sepolcro (...) ci apparve quel luogo ineffabile nel quale riposò per tre giorni il Figlio dell'Uomo (...) Il luogo che era stato bagnato dal sangue prezioso e da quella misura di unguento, con cui fu unto per la sepoltura e che mandava ovunque bagliori di luce come fossero raggi luminosi del sole, fu da noi scoperto, venerato con gemiti devoti, con letizia spirituale e con lagrime insieme agli altri che erano presenti - vi erano infatti non pochi cristiani sia orientali che occidentali - i quali ripieni di celeste devozione alcuni versavano lacrime, altri eccitati profondamente, tutti erano stupefatti e in preda ad una specie di estasi.
Al centro del santo luogo "trovammo un pezzo di legno, che era stato ivi deposto e avvolto in un panno prezioso"; non appena lo prendemmo in mano con molta devozione e lo baciammo, al contatto dell'aria, il panno - si consumò completamente - lasciando soltanto alcuni fili d'oro. Su quel pezzo di legno prezioso vi erano alcune iscrizioni, ma talmente consumate dal tempo che non se ne ricava nessuna frase completa da quelle parole, ancorché in cima ad una membrana si poté leggere in lettere latine maiuscole Helena Magni...".
Il prezioso legno fu diviso in due parti disuguali. La più piccola la portò a Roma dove la ridivise in frammenti facendone quattro piccole croci che regalò a Papa Paolo IV e a due cardinali, santi uomini amici di Terra Santa. La quarta la tenne per sé usandola durante le cerimonie per poi lasciarla alla chiesa di Ragusa.
La maggior parte la lasciò a Gerusalemme nella basilica del Santo Sepolcro in un reliquiario che i fedeli potevano venerare su un altare nella cappella dell'Apparizione, speculare all'altare sul quale aveva posto la colonna della Flagellazione recuperata dal Monte Sion insieme con un frammento di pietra della tomba del Santo Sepolcro.
(©L'Osservatore Romano - 30 marzo 2008)
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2 commenti:
su con la vita, c'è ancora speranza:
http://www.alessandromaggiolini.it:80/bin/servlet/mediabox.servlets.presentation.DettaglioInfo?idInfo=43185&url=dettaglioRassegna.jsp
L'ho presodal blog del Sig. Accattoli. Spero non se ne abbia a male.
Bellissimo!
Grazie Mariateresa :-))
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