28 marzo 2008

L'ambasciatore nipponico presso la Santa Sede: "In Giappone la genetica non richiede sacrifici umani" (Osservatore)


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Nuove frontiere della ricerca scientifica: a colloquio con l'ambasciatore nipponico presso la Santa Sede

In Giappone la genetica non richiede sacrifici umani

di Assuntina Morresi
e Roberto Sgaramella

Il senso dell'evidenza della vita e della morte è molto forte nella cultura tradizionale nipponica. I giapponesi hanno una spiccata sensibilità per ciò che essi percepiscono come "evidente"; anche se non è tangibile, anche se non è palpabile. Questa "evidenza" è stata probabilmente percepita anche dal professore Yamanaka durante la ricerca sulle cellule staminali. Si tratta di una "evidenza di vita". Questa è un' interessante considerazione fatta da sua eccellenza Kagefumi Ueno, ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede, nel corso di un incontro con due inviati de "L'Osservatore Romano".

La riflessione del diplomatico ha preso avvio dalla scoperta genetica fatta nel 2007 nel Sol Levante: si tratta della riprogrammazione cellulare con cui il ricercatore Shinya Yamanaka è riuscito a "ringiovanire" cellule della pelle di un adulto, fino a uno stadio prossimo all'embrionale. Le nuove cellule sono state indicate dai media come "staminali etiche", poiché avrebbero le stesse proprietà delle staminali embrionali, ma la loro produzione non richiede la distruzione di embrioni umani.

È la maggiore scoperta dell'anno appena trascorso e una delle più importanti in assoluto nel campo della genetica tanto da indurre un giornale autorevole come il "New York Times" a dedicare un ampio articolo (11 dicembre 2007) allo scienziato dell'"Institute for Integrated cells - Material science" dell'Università di Kyoto.
Il rappresentante diplomatico ha voluto puntualizzare le peculiarità della posizione giapponese sulle nuove problematiche che le ricerche scientifiche suscitano. Commentando un precedente articolo sempre del "New York Times" (22 novembre 2007), in cui si confrontavano gli atteggiamenti di varie nazioni dell'Estremo Oriente verso la ricerca genetica con quelli predominanti in Occidente nei Paesi di tradizione cristiana e quelli con cultura secolarizzata, sua eccellenza Kagefumi Ueno ha sottolineato che la posizione del Giappone non può essere accomunata, per ingiustificata semplificazione, a quella di altri Paesi vicini come la Cina e la Corea del sud. La natura è un elemento base della cultura tradizionale giapponese. I nipponici nutrono il massimo rispetto verso le leggi naturali e questo rispetto li rende molto cauti verso ogni processo umano capace di alterarle.
Nella legislazione giapponese, comunque, sono state introdotte alcune novità nei riguardi della ricerca scientifica con leggi e regole simili a quelle di altri Paesi avanzati. In Giappone è permesso produrre linee cellulari staminali embrionali umane ma con limiti. Attualmente in Sol levante esistono solo tre linee certificate.
All'ambasciatore Kagefumi Ueno è stato chiesto in che modo nel suo Paese il progresso scientifico e la tradizione riescono a coesistere. Il rappresentante nipponico ha risposto ponendo degli esempi pratici: a proposito degli organismi geneticamente modificati, Cina ed India hanno deciso di affrontare il problema dal punto di vista dell'economia di mercato e si dice che non siano contrari a questo tipo di prodotti. Se gli Ogm si coltivassero in Giappone, invece, la gente non li mangerebbe, sapendo che si tratta di organismi modificati rispetto alla loro origine naturale.

Su questo aspetto la posizione ufficiale del Giappone è molto più vicina a quella europea che a quella statunitense. Quando si importano alcuni prodotti geneticamente modificati dagli Usa i consumatori nipponici sono esigenti e chiedono etichette dettagliate. Vogliono sapere il come e il quando del prodotto. Il controllo della qualità è molto forte e all'atto pratico certi tipi di prodotti non vengono importati perché si sa già che non troverebbero mercato.

Un altro esempio è quello dei trapianti di organi. In Giappone c'è forte opposizione ai trapianti degli organi interni. In questi ultimi anni il problema si è posto anche dal punto di vista legislativo, ma la popolazione lo considera un argomento da non affrontare. Quindi chi ha bisogno di un intervento del genere, e ha sufficienti risorse economiche, va in ospedali all'estero. La ricerca sugli embrioni umani segue la stessa logica: le manipolazioni sugli embrioni non sono ben viste, questo tipo di sperimentazione non è accettata nella cultura nipponica.
Anche verso le tecniche di procreazione assistita - ha proseguito l'ambasciatore Kagefumi Ueno - la popolazione giapponese nutre molte riserve. Non c'è molto entusiasmo e anche in questo caso la gente è attaccata alle tradizioni e preferisce la gravidanza naturale. Inoltre non c'è interesse per modifiche alla legislazione attuale in questo settore: aspetti come la possibilità di donazione di gameti e di madre surrogata sono rifiutati. A breve non si prevedono cambiamenti nella situazione.
Il rappresentante diplomatico ha sottolineato che la notizia della scoperta sulla riprogrammazione cellulare è stata accolta con gioia in tutta la nazione. Ha aggiunto di aver subito riferito al ministero degli Esteri di Tokyo che la Santa Sede aveva manifestato soddisfazione per la scoperta. Gli organi di stampa giapponesi hanno spiegato che tempo fa il professore Yamanaka aveva fatto un certo esperimento sui topi e il risultato è stato una scoperta che permette di non manipolare gli embrioni umani, quindi molto notevole dal punto di vista scientifico, ma soprattutto etico. Si spera che questo possa portare a un investimento ancora maggiore per la ricerca scientifica in Giappone, visto che, già adesso, molti gruppi di ricerca del paese lavorano in questo settore. In un articolo sul periodico "Nature", apparso in rete il 14 dicembre 2007, veniva spiegato che esistono al momento venti studi pubblicati su questo argomento e di questi ben sette sono di scienziati giapponesi.
Nell'intervista al "New York Times" il professore Yamanaka ha dichiarato che guardando un embrione umano al microscopio aveva pensato che era solo "poco diverso" da sua figlia. Si doveva quindi trovare un'altra strada per fare ricerca senza distruggere embrioni umani. Questa considerazione, oltre a motivazioni scientifiche, sembrerebbe determinata da una forte componente etica e forse anche da una fede religiosa. Secondo l'ambasciatore Kagefumi Ueno non si tratta di una spinta religiosa in senso stretto così come viene intesa in Occidente; d'altra parte non risulta che il professore Yamanaka sia cristiano.
In accordo con la cultura giapponese - ha affermato il Rappresentante diplomatico - il professore Yamanaka ha percepito probabilmente "un'evidenza di vita". È possibile quindi affermare che l'idea lanciata sulla rivista "Nature", quando venne clonata la pecora Dolly, secondo cui con le novità scientifiche si sarebbe potuta cambiare la natura umana, è lontana dalla sensibilità giapponese. Forse alcuni scienziati giapponesi potrebbero condividere quanto affermato dalla rivista scientifica, ma la sensibilità della gente in Giappone è lontana da questo approccio. Per i giapponesi, l'idea della clonazione è totalmente estranea al modo di concepire la vita.
La "percezione di vita" nei riguardi delle cellule staminali è parte integrante della concezione più profonda dell'esistenza secondo la tradizione nipponica. Per i giapponesi - ha sottolineato l'Ambasciatore - non c'è il concetto di Dio creatore, ma esiste la natura: un cosmo omnicomprensivo all'interno del quale l'uomo e il creato sono un tutt'uno. La natura comprende in sé il suo essere generatore ed essa stessa diventa una divinità, ragion per cui nello shintoismo la natura sotto varie forme - monti, fiumi e quant'altro - viene venerata. Un cosmo dove tutto ha un'anima. L'idea che si ha dell'anima non è quella di qualcosa che sta all'inizio dell'esistenza. In giapponese c'è una espressione per indicare questo concetto: tamashi, che traduce la parola "anima". Questa parola, però, viene sempre più sostituita con un'altra tratta dall'inglese, soul, più adeguata ad esprimere l'idea occidentale di "anima". Nella lingua del Sol Levante forse il termine più adeguato è seishin, che significa "spirito", in senso lato. La parola seishin è in relazione con l'ego, con l'io, il sentimento di sé. Tuttavia per un giapponese e per un occidentale i modi di considerare il proprio io sono diametralmente opposti.
È stato chiesto all'ambasciatore Kagefumi Ueno in che cosa consista la divergenza sulla concezione dell'io. Il Rappresentante nipponico ha spiegato che nel mondo occidentale l'io umano è una creatura fatta da Dio a Sua immagine e somiglianza, e quindi possiede un principio individuale, con possibilità di decisione e di scelta. Quindi l'elemento più importante della cultura occidentale è consolidare l'io, renderlo unico.
Nel caso della cultura giapponese invece, soprattutto in riferimento alla concezione zen, si parla di "annullare l'io" poiché l'uomo è una piccolissima parte dell'universo. L'uomo veramente illuminato è colui che riesce a cancellare il proprio io, integrarlo con la natura, annullarlo, facendolo scomparire. Tutto questo a livello filosofico, naturalmente. In questa visione il possedere un ego spiccato è qualcosa che disturba il raggiungimento dell'assoluta tranquillità.
Il rappresentante giapponese ha fatto una precisazione per far capire meglio il concetto: per il mondo occidentale avere un io consolidato significa avere una propria identità e questo è considerato un aspetto molto importante. Per il Sol Levante, invece, l'identità va perduta, non deve esistere, tanto che nella lingua giapponese la parola corrispondente a identità non esiste. Per indicarla si usa identity direttamente dall'inglese.
L'annullamento dell'ego modifica nei giapponesi non solo il concetto della vita dell'individuo ma anche quello della morte: nella cultura tradizionale c'è una forte resistenza ad accettare che sia un medico a stabilire quando una persona è deceduta. Scientificamente, e anche dal punto di vista legale, è sicuramente il medico a dovere certificare il decesso, ma per l'animo giapponese ci sono cose, la vita e la morte soprattutto, in cui la scienza e la medicina non possono dire l'ultima parola. Questa parola invece riguarda il cuore dell'uomo. Il cuore inteso come sentimento profondo della persona, percezione dell'evidenza della vita e della morte. È un sentimento tipico del Sol Levante. La civiltà moderna fa riferimento ai fatti tangibili, mentre in Giappone si tiene in particolare conto ciò che esiste, ciò che evidentemente esiste nel cuore, anche se non si vede, anche se non ha un aspetto concreto.
Alcuni anni fa questa tematica è stata discussa vivacemente dalla "Dieta" - parlamento giapponese - e l'opinione pubblica ha partecipato al dibattito attraverso i media. Ancora oggi nella mentalità dei giapponesi la percezione dell'evidenza della vita e della morte non è cambiata.
Quando una persona muore - racconta sua eccellenza Kagefumi Ueno - secondo la religiosità giapponese, in cui shintoismo e buddismo spesso si integrano, il suo spirito fa fatica a staccarsi dal luogo caro e, secondo il buddismo, vi rimane per un periodo di quarantanove giorni. Durante questo tempo si recitano preghiere per incoraggiare lo spirito a procedere nel distacco e incamminarsi verso un luogo diverso. Per questo motivo le cerimonie per i defunti non sono mai tristi, anzi vengono organizzate riunioni di parenti ed amici nell'abitazione del defunto, si offrono fiori, cibi, anche alcuni alcolici, perché lo spirito del morto deve essere sollecitato a procedere verso un nuovo luogo. Si considera che per uno spirito di una persona recentemente defunta è più difficile staccarsi dai familiari se questi si mostrano tristi.
Non è raro il caso in cui nelle case giapponesi si faccia il pasto principale - in genere la cena - insieme a un proprio recente defunto: in una tavola imbandita un posto viene riservato alla persona da poco scomparsa, rappresentata generalmente da una sua foto messa lì dove era solita sedersi. Al defunto, al pari degli altri commensali, vengono serviti i cibi preferiti e a lui ci si rivolge come se fosse vivo e presente. Questo modo non è un fare finta, prodotto magari da un estremo sforzo di immaginazione. I giapponesi hanno la percezione dell'evidenza della sua presenza in mezzo a loro, sanno che il loro caro scomparso è ancora lì. Dopo i quarantanove giorni - come nell'antica tradizione greco-latina - l'anima attraversa un fiume e va sull'altra sponda. Secondo molte scuole buddiste, una volta all'anno, la notte del 15 agosto, ricorrenza dei defunti in Giappone, le anime dei trapassati riattraversano il fiume per tornare a casa a visitare i propri cari. Nel caso della religione shintoista, invece, non c'è il fiume da attraversare e le anime non si allontanano molto dalla propria abitazione: si pensa che esse raggiungano un bosco nelle vicinanze, oppure una montagna. Continuano insomma a permanere nella zona in cui sono vissute.
Il racconto del rappresentante del Giappone sulle usanze funebri nel suo Paese è risultato oltremodo interessante e ha chiarito le ragioni di alcune usanze che, per una superficiale conoscenza, potrebbero sembrare quantomeno esotiche. Tuttavia le sorprese nella spiegazione del rappresentante diplomatico non sono ancora terminate: in Giappone - ha aggiunto - ci sono anche tombe per gli animali. Per esempio la polizia seppellisce i cani poliziotto in cimiteri appositi. Esistono perfino per gli utensili cerimonie di addio, chiamate kuyo e curiosamente simili a cerimonie proprie ai Maya del Guatemala e agli indù: sia nei confronti degli attrezzi utilizzati dagli artisti o anche verso, per esempio, i semplici aghi utilizzati da una sarta. Quando l'oggetto oramai non si usa più, prima di essere riposto per sempre, diventa il protagonista di una piccola cerimonia di ringraziamento per essersi fatto utilizzare per tanto tempo.
Approfittando della grande cortesia dell'ambasciatore Kagefumi Ueno, gli è stato chiesto il significato delle piccole steli in pietra che frequentemente si incontrano camminando lungo le strade della provincia giapponese. Sono steli rivestite da piccoli abiti per neonati e davanti a cui spesso sono presenti offerte votive. Di cosa si tratta? Sono i monumenti ai bambini non nati, ha risposto l'ambasciatore nipponico. Esseri abortiti volontariamente o spontaneamente, comunque mai nati. Le steli esprimono il dispiacere di aver perso qualcosa di caro, di non aver dato vita al piccolo essere. Le mamme costruiscono questi monumenti mettendo le pietre l'una sull'altra, le adornano anche con piccoli cappucci rossi, grembiulini bianchi, offerte di mandarini. E comunque esiste una divinità che protegge proprio gli esseri che non sono mai nati. Alla domanda se anche i non nati nella tradizione giapponese hanno un'anima, come gli adulti, il rappresentante nipponico ha fatto osservare che non c'è una visione unica al riguardo, dipende dalle diverse sensibilità: in generale, però, non si pensa che ci sia un'anima fin dall'inizio dell'esistenza. Tuttavia, ha concluso l'ambasciatore, il grande rispetto per gli antenati è il substrato della spiritualità giapponese. È il grande rispetto verso quello che lo spirito ha rappresentato in vita. Lo spirito che al momento della morte, per lo shintoismo, rientra in quello universale della natura. Sua eccellenza Kagefumi Ueno ha dichiarato di essere nato in una famiglia shintoista e nella sua casa di origine c'era un posto in cui si mettevano le offerte per gli antenati, il Kamidana, che vengono venerati per almeno cento anni dalla loro morte. Anche i buddisti hanno un posto in casa dedicato al culto degli antenati, il Butsudan, ed è frequente che in una stessa famiglia le due forme di culto si integrino.
Un'ultima domanda è stata posta al rappresentante diplomatico del Sol Levante su come definire il Giappone nel momento attuale. Questa la sua risposta: È un Paese in cui il nuovo si integra nel vecchio e lo rigenera, ma non si trasforma mai in qualcosa di totalmente nuovo.

(©L'Osservatore Romano - 28 marzo 2008)

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