22 giugno 2008

Card. Levada: "La società secolarizzata ha bisogno di un'apologetica rinnovata". I commenti del Prof Ratzinger alla Dei Verbum (Osservatore)


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La società secolarizzata ha bisogno di un'apologetica rinnovata

di William Joseph Levada
Cardinale prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede

Nel corso della quinta Conferenza generale dei vescovi dell'America Latina di Aparecida, in Brasile, avevo sollecitato l'attenzione verso una "nuova apologetica" per rispondere alle numerose sfide che i fedeli della Chiesa devono affrontare, specialmente in considerazione della defezione a volte massiccia dei cattolici a causa del proselitismo aggressivo delle cosiddette sette. Sebbene il problema costituito dalle sette non fosse nuovo per i vescovi, ad Aparecida non è stato nemmeno affrontato direttamente; probabilmente la questione richiede un'analisi particolare per non essere sommersa dalla vasta schiera di riflessioni sociali e pastorali che l'agenda proposta dal Celam ha presentato.
Ma più pertinenti per questa illustre assemblea riguardo all'attualità del tema sono le parole rivolte da Papa Benedetto ai vescovi americani durante la sua recente visita apostolica. Il Papa rispose a tre questioni poste dai vescovi americani alla fine del suo discorso. Nella prima domanda gli si chiedeva di esprimere una "valutazione sulla sfida del secolarismo in aumento nella vita pubblica e sul relativismo nella vita intellettuale, come pure i suoi suggerimenti sul come affrontare tali sfide dal punto di vista pastorale, per poter compiere l'opera di evangelizzazione più efficacemente". Nel rispondere il Papa ha affermato: "In una società che giustamente tiene in alta considerazione la libertà personale, la Chiesa deve promuovere a ogni livello i suoi insegnamenti - nella catechesi, nella predicazione, nell'istruzione seminaristica e universitaria -, un'apologetica tesa ad affermare la verità della rivelazione cristiana, l'armonia tra fede e ragione, e una sana comprensione della libertà, vista in termini positivi come liberazione sia dalle limitazioni del peccato che per una vita autentica e piena".
Possiamo già desumere dalle brevi osservazioni di Papa Benedetto che l'apologetica occupa un posto duplice nella teologia: trova il suo posto nella teologia fondamentale, dove i preambula fidei contribuiscono alle fondamenta della ricerca teologica, e nella teologia pastorale, dove la teologia è "inculturata" (per usare un termine postconciliare) nella predicazione, nella catechesi e nell'evangelizzazione.
In entrambi questi ambiti l'apologetica è pressoché scomparsa, ma il bisogno della stessa è perenne, come dimostra un esame della storia del pensiero cristiano. Pertanto, ritengo che una "nuova" apologetica non sia solo attuale, ma anche urgente dal punto di vista sia scientifico sia pastorale.
Nel Nuovo Testamento, la Prima Lettera di Pietro (3, 15) offre il punto di partenza classico per il progetto dell'apologetica: la traduzione dal greco della New American Bible usa la parola "spiegazione" per tradurre "apologia", mentre la Revised Standard Version usa la parola "difesa". Siate "pronti sempre a spiegare (difendere) a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto". Se l'apologetica è stata criticata, non sempre ingiustamente, per essere troppo difensiva o troppo aggressiva, forse è perché il monito di procedere con "dolcezza e rispetto" è stato dimenticato.
Nella sua introduzione a History of Apologetics (1971), Avery Dulles ha affermato che non intendeva scrivere "un'apologia per il cristianesimo e meno ancora un'apologia per l'apologetica" (cfr XVI). Nel suo libro Dulles esamina il retaggio degli apologisti cristiani nei secoli: autori come Clemente e Origene, Eusebio e Agostino, Tommaso d'Aquino e Ficino, Pascal e Butler, Newman e Blondel (cfr xv). Ritengo che la sua breve rassegna sia istruttiva. Dulles scrive: "I fini e i metodi dell'apologetica sono spesso cambiati. I primi apologisti si preoccupavano principalmente di ottenere una tolleranza civile per la comunità cristiana, di dimostrare che i cristiani non erano malfattori che meritavano la pena di morte. Gradualmente nei primi secoli le apologie per il cristianesimo divennero meno difensive. Assumendo la controffensiva, mirarono a conquistare convertiti dagli altri gruppi. Alcune furono indirizzate ai pagani, altre agli ebrei. Successivamente l'apologetica rivolse la propria attenzione ai musulmani, poi agli atei, agli agnostici e a quanti erano indifferenti alla religione. Infine gli apologisti arrivarono a riconoscere che ogni cristiano nasconde in sé un infedele segreto. A quel punto l'apologetica divenne, in qualche misura, un dialogo tra il credente e il non credente nel cuore del cristiano stesso. Parlando a questo sé non redento, l'apologista riteneva - correttamente - di poter raggiungere meglio gli altri che si trovavano in una situazione simile" (cfr XVI).
Poiché questa Sessione plenaria prevede una presentazione dei preamboli della fede secondo diversi aspetti, farò meglio a lasciare i dettagli di tale questione agli oratori esperti che mi seguiranno. Per il mio scopo di sottolineare l'importanza di una nuova apologetica sarà sufficiente ricordare che i preamboli della fede hanno offerto una necessaria introduzione alla teologia, o un fondamento della stessa, almeno sin dai tempi di san Tommaso d'Aquino, che li ha trattati in maniera estesa nella sua Summa contra gentiles.
Queste conclusioni filosofiche, specialmente sul potere umano di conoscere la verità oggettiva, sull'esistenza e la natura spirituale dell'anima, sull'esistenza di un Dio personale e sulla necessità della religione sono state la preparazione necessaria sia per la teologia sia per l'apologetica pratica.
Il mio corso preconciliare di teologia De Revelatione, tenuto per l'ultima volta dal padre gesuita Sebastian Tromp nel 1958, cominciava con un'introduzione "De theologia fundamentali apologetica" e proseguiva seguendo lo schema classico con la discussione della possibilità e della realtà della rivelazione, e la testimonianza di Cristo - i suoi miracoli e il compimento delle profezie dell'Antico Testamento - su cui fondava la credibilità della rivelazione cristiana.
Fui ordinato nel 1961 e ritornai a Los Angeles per lavorare in una parrocchia e insegnare religione, inclusa l'apologetica, agli studenti dell'ultimo anno delle scuole secondarie superiori. Quando, dopo il Concilio, ritornai per il dottorato, seguii un corso sulla rivelazione del successore di padre Tromp, il gesuita padre Rene Latourelle. Nell'arco di quei cinque anni, la forma della precedente teologia della rivelazione era cambiata drasticamente a tal punto che ritengo corretto affermare che l'apologetica non appariva più nel programma di studi di teologia.
È vero, naturalmente, che le direttive per la formazione sacerdotale continuavano a dare risalto alla filosofia come requisito per i candidati al sacerdozio; normalmente vi venivano esposti i preambula fidei.
La trasformazione dell'apologetica in teologia fondamentale è stata discussa per tutto il periodo precedente il Concilio. La recente opera del professor Ralph McInerny sui Preambula Fidei illustra l'interessante sviluppo di questa trasformazione tra i figli spirituali e intellettuali di Tommaso d'Aquino nelle facoltà teologiche domenicane.
Latourelle preferisce parlare di una "nuova immagine" della teologia fondamentale, poiché le questioni fondamentali della rivelazione e della credibilità continuano a essere parte della materia di studio. In un articolo del 1980 elenca i seguenti sviluppi nella teologia che hanno contribuito al nuovo status dell'apologetica: ""Rinnovamento negli studi biblici e patristici che hanno trovato una realtà più ricca nella rivelazione e nella fede" e un rinnovato impulso ecumenico che ha mutato l'atteggiamento spesso aggressivo e polemico dei vecchi apologeti in un'apertura al dialogo" (cfr Nuova immagine della teologia fondamentale, in Problemi e prospettive di teologia fondamentale, Latourelle - O'Collins, Brescia, Queriniana, 1980).
La "realtà più ricca" contenuta negli insegnamenti della Costituzione del Concilio Vaticano ii sulla divina rivelazione Dei Verbum (capitolo 1) è stata illustrata attraverso il confronto tra questo testo conciliare e i capitoli precedenti della Dei Filius, promulgata dal Concilio Vaticano i quasi cento anni prima.
Ai nostri fini proporrò solo due esempi, commentati dall'allora professore Joseph Ratzinger nel Commento ai documenti del Concilio Vaticano ii in cinque volumi, edito da Grillmeier e pubblicato nel 1969.
La Dei Verbum 6 cita esplicitamente la Dei Filius, sebbene in forma ridotta, riguardo alla capacità di conoscere Dio attraverso la ragione umana: "Il santo Concilio professa che "Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a partire dalle cose create" (vedi Romani, 1, 20)".
I commenti di Ratzinger sono pertinenti al tema di una transizione dall'apologetica classica: "Nel 1870 le persone avevano cominciato con la conoscenza naturale di Dio e da essa erano passate alla rivelazione "soprannaturale". Il Vaticano ii non ha solo evitato il termine tecnico supernaturalis, che appartiene troppo al mondo del pensiero fisico (per quanto ora il termine possa essere indispensabile), ma ha seguito la procedura inversa. Sviluppa la rivelazione dal suo centro cristologico per poi presentare la responsabilità ineludibile della ragione umana come dimensione del tutto. Ciò mostra che il rapporto umano con Dio non consiste di due parti più o meno indipendenti, ma è indivisibilmente uno. Non esiste una cosa come religione naturale in sé, ma ogni religione è "positiva", anche se proprio per la positività non esclude, bensì include, la responsabilità del pensiero. Il Vaticano ii non aveva motivo di sopprimere questa idea fondamentale sviluppata con tanta attenzione dal Vaticano i. Al contrario, nell'affrontare gli assalti furiosi dell'ateismo essa avrà importanza sempre maggiore" (ibidem, volume 3, pagine 179-80).
Quanto sono profetiche queste parole se osserviamo gli emuli di Richard Dawkins e dei seguaci del cosiddetto "nuovo" ateismo rivolgersi a migliaia di campus universitari con libri che trasformano in caricature le dottrine e la filosofia della tradizione cristiana e sono fra i più venduti! Quanto sono maturi i tempi per una nuova apologetica!
Il secondo esempio è tratto dal capitolo precedente (5) della Dei Verbum, che omette il riferimento "alle prove esteriori di rivelazione, ossia fatti divini, in particolare miracoli e profezie" contenute nel capitolo 3 della Dei Filius del Vaticano i e si concentra sulla grazia di Dio e gli aiuti interiori dello Spirito Santo (insegnato anche dal Vaticano i) come necessari per il dono di fede.
Ratzinger commenta affermando che "non si tratta di certo di una negazione o di un rifiuto della dottrina su cui tanto fermamente insiste il Vaticano i e secondo la quale la rivelazione è attestata mediante segni esteriori quali miracoli e profezie, ma gli viene riservato un posto notevolmente più modesto; la fede appare orientata verso l'interiorità e non si fa alcun ulteriore tentativo per rendere la certezza della fede misurabile median- te criteri positivistici cosicché possa competere con il positivismo che domina tutto il pensiero contemporaneo" (p. 178).
Il posto chiave dei segni esterni rappresentati dai miracoli e dalle profezie nell'apologetica "classica", sia scientifica sia pratica, era già divenuto problematico a causa della maggiore contestualizzazione introdotta da metodi storici critici nell'interpretazione delle Sacre Scritture, approvati da Papa Pio xii nella sua enciclica del 1943 Divino Afflante Spiritus, alla quale il Vaticano ii fa esplicito riferimento nel fare propria questa approvazione nella Dei Verbum (12).
Come il mezzo secolo seguito al Vaticano ii ha ampiamente dimostrato, alcune delle critiche esegetiche basate sui principi e gli assunti modernisti hanno minato la capacità dei fedeli di accettare il senso comune e semplice delle Scritture.

Profeticamente Ratzinger ha sottolineato questa situazione affermando che "perfino ora, dopo il Concilio (1969), non è possibile dire che la questione della relazione fra esegesi critica ed ecclesiale, ricerca storica e tradizione dogmatica sia stata appianata" (pagina 158).

Almeno una solida comprensione delle Sacre Scritture come le interpreta la Chiesa nella sua tradizione e le alimenta nella liturgia e nella preghiera, è essenziale per lo sviluppo di un'apologetica rinnovata nel nostro tempo.
Sei anni fa, quando ero arcivescovo di San Francisco, fui invitato a impartire una lezione presso la Jesuit University of San Francisco e scelsi il tema: "Verso una nuova apologetica". Mentre preparavo l'intervento, chiamai il cardinale Avery Dulles per chiedergli se avesse mai provato il desiderio di dare un seguito alla sua opera sulla storia dell'apologetica con un volume aggiuntivo sulla teoria dell'apologetica che esponesse i compiti, i metodi e le prospettive dell'apologetica alla luce delle necessità della Chiesa contemporanea.
Si dimostrò un po' rammaricato di non averlo fatto. Tuttavia l'utilità di una tale opera per una rinnovata apologetica sembra innegabile.
In quel mio intervento posi la seguente domanda: "Come si dovrebbe presentare una nuova apologetica?". Quello che dissi poi, sembra pertinente ancora oggi.
Nell'ottobre 1999, in occasione della visita ad limina dei vescovi del Canada occidentale, Papa Giovanni Paolo ii li invitò a impegnare i loro contemporanei in un dialogo che incarnasse quattro qualità indispensabili: chiarezza, umanità, fiducia e prudenza. Suggerì che esse caratterizzassero il progetto di una "nuova apologetica".
Il cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago, mi diede una copia della sua lezione del marzo 2000 presso il seminario di Kenrick, a St. Louis, che si intitolava: "Una nuova apologetica per una nuova evangelizzazione". Anche lui enfatizzava l'importanza della nozione di dialogo per la nuova evangelizzazione e quindi per la nuova apologetica. Parlava di dialogo con i fondamentalisti ed era più ottimista di me al riguardo.
Fra i "fondamentalismi" evidenziava l'islam. George affermava: "Il dialogo più importante nei prossimi cento anni sarà quello fra le due fedi che si stanno diffondendo più velocemente nell'era postmoderna, l'islam e il cattolicesimo. Se riusciremo a venirci incontro senza l'atteggiamento difensivo del passato e lo spargimento di sangue di mille anni, durante i quali l'islam ha rappresentato una grande minaccia per il cristianesimo, potremo immaginare insieme un mondo che sarà una casa migliore per la razza umana" (p. 348).
È vero che Tommaso d'Aquino scrisse l'apologetica Summa contra Gentiles, contenente il suo classico appello alla ragione per conoscere l'esistenza di Dio, con in mente il dialogo con i musulmani, ma non è così facile immaginare gli inizi di un dialogo con i talebani dell'Afghanistan. Per capire se la speranza del cardinale George può essere realizzata, dovremo aspettare sviluppi - forse un Vaticano ii musulmano? - all'interno dell'islam stesso.
George auspica una nuova apologetica che sia filosoficamente rigorosa, biblicamente arricchita, accompagnata da una comprensione profonda della fede cattolica, dal rispetto e dalla comprensione delle posizioni degli interlocutori del dialogo (con un'appropriata "sofisticazione" scientifica e secolarista). Sebbene questi interlocutori siano motivati da un odio evidente per la Chiesa cattolica.
A queste raccomandazioni di Papa Giovanni Paolo ii e del cardinale George per una nuova apologetica, desidero solo aggiungere queste mie riflessioni, consapevole del fatto che il compito odierno richiede una coerenza sempre maggiore fra fede e vita da parte chi offre "una spiegazione o una difesa" del suo credo e della sua speranza in Cristo.
Una nuova apologetica per il nuovo millennio dovrebbe concentrarsi sulla bellezza della creazione di Dio. Perché sia credibile, dobbiamo prestare maggiore attenzione al mistero e alla bellezza del culto cattolico, di una visione sacramentale del mondo che ci permette di riconoscere e apprezzare la bellezza della creazione come prefigurazione dei nuovi cieli e della nuova terra previsti dalla seconda lettera di Pietro e dal Libro della Rivelazione. Non dobbiamo esitare a chinarci fino a terra in segno di riverenza e a toglierci le scarpe quando ci troviamo su un suolo sacro.
La testimonianza della nostra vita di credenti che mettono in pratica la fede operando per la giustizia e la carità come seguaci che imitano Gesù, nostro maestro, è una dimensione importante della nostra credibilità di interlocutori nel dialogo in un tempo di nuova apologetica. La solidarietà con i nostri concittadini, il cui senso di responsabilità può essere parziale, ma reale, espresso in cause per l'ambiente, per i poveri, per la giustizia economica, è importante. Al contempo, la nostra capacità di articolare la visione completa della verità, della giustizia e della carità è essenziale per garantire che questa testimonianza e questa azione non costituiscano solo una fase di passaggio, ma possano rendere un contributo duraturo alla creazione della civiltà dell'amore.
Un dialogo sul significato e sullo scopo della libertà umana è essenziale nella cultura contemporanea. Se la libertà è volta a rafforzare l'individualismo di una "cultura "io innanzitutto"", non comprenderà mai il potenziale immaginato dai fondatori della democrazia americana, ancor meno di Colui che ci ha creato a sua immagine e somiglianza, liberi di rispondere al grande dono dell'amor divino.
Dobbiamo perseguire il dialogo con la scienza e con la tecnologia. Molti scienziati parlano della loro fede personale. Tuttavia, il volto pubblico della scienza è risolutamente agnostico. Questo è un campo di dialogo fertile e necessario. Teilhard de Chardin ha tentato una apologetica con il mondo della scienza con grande immaginazione, sebbene non vi sia riuscito del tutto. Di certo, il nuovo millennio offrirà nuove opportunità per espandere questa dimensione chiave del dialogo fra fede e ragione.
Infine, una nuova apologetica deve tener conto del contesto ecumenico e interreligioso di qualsiasi dialogo sulla fede religiosa in un mondo secolare. Non dico che sia ormai trascorso il tempo per una apologetica specifica, ma le questioni relative allo spirito e alla fede impegnano tutte le grandi tradizioni religiose e devono essere affrontate con una apertura al dialogo interreligioso.
Parimenti, il nostro cammino ecumenico ci ha mostrato i numerosi doni che noi cattolici abbiamo in comune con gli altri cristiani. La nostra volontà apologetica verrà rafforzata dalla testimonianza comune e dalla testimonianza con loro sullo scopo della rivelazione di Dio in Cristo.
Concludendo mi riferisco ancora una volta al cardinale Dulles.
Preparando una nuova edizione della sua opera Un Testimone di Grazia, la storia della sua conversione al cattolicesimo, Dulles ha scritto una nuova postfazione "Riflessioni su un cammino teologico". Una parte di questa riflessione appare particolarmente appropriata in questa sede: "Molti teologi cattolici, incerti sull'importanza della fede che deriva dall'ascolto, sono stati riluttanti ad allinearsi con la chiamata ad annunciare il Vangelo. I gruppi protestanti conservatori, sebbene abbiano una concezione del Vangelo che io giudico inadeguata, sono molto più impegnati nel compito di evangelizzazione. Essendosi allontanati dagli impegni missionari dei loro predecessori, i cattolici stanno solo cominciando a raggiungere i protestanti pentecostali e biblicisti. Tuttavia, la Chiesa cattolica con la sua ricca eredità culturale e intellettuale, possiede risorse per l'evangelizzazione che nessun altro gruppo ha. Abbiamo bisogno di una Chiesa più estroversa e dinamica, meno distratta da controversie interne, più concentrata sull'autorità di Gesù Cristo, più disponibile allo Spirito e più capace di azione congiunta" (p. 139).
Come possiamo sperare e pregare con il cardinale Dulles di imitare lo zelo di alcuni dei nostri fratelli e sorelle fondamentalisti nel proclamare Cristo, così possiamo riuscire a condividere con loro le ricchezze della tradizione di fede cattolica e universale. Questo sembra particolarmente importante per permettere ai cattolici di contrastare un richiamo spesso ipersemplicistico da parte delle cosiddette "sette".
Secondo me, l'istanza di una nuova apologetica per il nuovo millennio può equivalere a una "missione impossibile". Lo spirito della società contemporanea è scettico verso la verità, verso le istanze di conoscenza della verità, perfino, in particolare, verso la verità rivelata da Dio. La relativizzazione della verità non è la precondizione necessaria del dialogo reale. Lo è, invece, il desiderio di conoscere l'altro nella pienezza della sua umanità. Dopo tutto non sarebbe possibile trovare la verità della mente e del cuore in questo tipo di dialogo in cui emerge che i cristiani hanno imparato essere la mente, la forza, il cuore e l'anima del Vangelo rivelato in Gesù: che Dio è amore e che la nostra creazione a immagine e somiglianza di Dio rende tutta l'umanità in grado di amare Dio sopra ogni cosa e il suo prossimo come se stessa?

(©L'Osservatore Romano - 22 giugno 2008)

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