5 giugno 2008
Mary Ann Glendon: "I diritti umani, frutto della «giustizia che non cambia»" (Tracce)
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I diritti umani, frutto della «giustizia che non cambia»
Stefano Alberto
Nel discorso all’Onu, il Papa ha ripreso un tema di cui si dibatte parecchio. Ma l’ha portato fino in fondo. Proseguendo il percorso avviato a Regensburg
Mary Ann Glendon, grande docente di diritto a Harvard e attualmente ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede, ha affermato, in una recente pubblicazione a cura di Luca Antonini sulla delicata situazione dei diritti umani (cfr. Il traffico dei diritti insaziabili, Rubbettino 2007), che «il progredire delle idee sui diritti dell’uomo è stato accompagnato da una diffusa erosione della convinzione che questi diritti possano essere oggettivamente definiti, universalmente applicati, o filosoficamente motivati» (p. 59).
Non è dunque appena in ragione della ricorrenza del 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (10 dicembre 1948) che Benedetto XVI ha dedicato al tema la parte centrale e più significativa del suo storico intervento alle Nazioni Unite del 18 aprile.
Il Papa ha evocato con chiarezza una tendenza in atto a partire dagli anni 90, parlando di «pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari». Questa nuova interpretazione si basa su di una concezione relativistica che nega l’universalità dei diritti umani in nome di contesti culturali, politici, sociali e religiosi differenti. Essa finisce così nel ridurre la loro tutela alla sola «applicazione di procedure corrette» o a «un semplice equilibrio fra diritti contrastanti». Se vengono presentati in termini di pura legalità, i diritti «rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo». Paolo Carozza, professore della Notre Dame University, nell’opera citata all’inizio, ha coniato a questo proposito la suggestiva e inquietante descrizione di un “traffico” dei diritti umani, trattati come un «commercio di containers vuoti» (cfr. pp. 81-94). Una tale evoluzione contraddice radicalmente l’impostazione unitaria della Dichiarazione che «fu adottata - ha ricordato il Papa - come “comune concezione da perseguire” (Preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani».
Benedetto XVI ha richiamato in positivo il fondamento dei diritti umani, riconosciuto dalla Dichiarazione nella dignità umana, nel desiderio esplicito di porre «la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società», ribadendo che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione, incluso il diritto alla libertà religiosa, «si applicano a ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. (…) Non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti».
Lobbies, interessi e desideri
La novità più rilevante dell’intervento di Benedetto XVI consiste nel richiamare tutti, oltre al rischio del prevalere della legalità sulla giustizia (i diritti umani sarebbero «l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere»), a quel dato di esperienza troppo trascurato, che «il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali».
Due dimensioni fondamentali si evincono dall’argomentazione di Benedetto XVI: a) Il fenomeno del diritto non nasce innanzitutto come prodotto della volontà del legislatore o da decisioni delle «varie agenzie di coloro che sono al potere», ma dalla dimensione intersoggettiva propria di ogni persona, in ogni cultura e in ogni contesto sociale e culturale: «I diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana»; b) La radice dei diritti e dei doveri è dunque nell’esperienza elementare della persona, perché essi «sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli».
In risposta al tentativo di intendere la legalità come espressione della volontà di potere degli Stati e soprattutto delle potenti lobbies transnazionali, che tentano di plasmare sempre nuovi diritti sulla base di desideri individualistici o di interessi particolari, il Papa insiste sul fatto che «i diritti umani debbono essere rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori».
In dialogo con Rawls e Habermas
Per Benedetto XVI, dunque, il fondamento di tali diritti posto nella dignità umana e nel riconoscimento del valore trascendente di ogni persona «saldamente ancorata alla dimensione religiosa» è il punto di partenza irrinunciabile per il discernimento («cioè la capacità di distinguere il bene dal male») di fronte alle nuove situazioni e alla richiesta di nuovi diritti.
A questo proposito ritorna il tema di grande respiro, già accennato nel mancato intervento alla Sapienza, in dialogo con Rawls e Habermas, sul ruolo pubblico delle religioni, liberamente praticate, nella società secolare «che possono autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita» (libertà religiosa) e così contribuire «a costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari» nella distinzione tra sfera religiosa e azione politica.
In definitiva, il Papa all’Onu ha compiuto un nuovo passo impegnativo sul cammino iniziato a Regensburg per aiutare ad “allargare la ragione” dell’uomo moderno. Benedetto XVI ci offre una rivisitazione, classica e nel contempo originale del “diritto naturale”, qui proposto quale metodo realistico per riconoscere e affermare «la dimensione etica e razionale» dei diritti umani a partire dall’esperienza originale di ogni persona, mossa dall’esigenza insopprimibile di una «giustizia che non cambia».
© Copyright Tracce, maggio 2008
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