4 giugno 2008

Benedetto XVI su San Gregorio Magno: insegnò la grandezza dell'umiltà che ogni vescovo deve testimoniare (Radio Vaticana)


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Benedetto XVI su San Gregorio Magno: insegnò la grandezza dell'umiltà che ogni vescovo deve testimoniare
Il saluto del Papa alla "Fiaccola della pace" del pellegrinaggio Macerata-Loreto

Un vescovo, per essere guida di anime e pastore della Chiesa, deve avere come prima qualità la stessa umiltà di Dio. Gregorio Magno fu l’incarnazione di questa virtù e perciò è rimasto nella storia come un grande Papa. Lo ha affermato Benedetto XVI nella seconda catechesi del mercoledì dedicata al celebre Pontefice del sesto secolo. L’udienza generale, celebrata in Piazza San Pietro, è stata conclusa dal saluto di Benedetto XVI agli atleti che porteranno la “Fiaccola della pace”, nella 30.ma edizione del tradizionale pellegrinaggio da Macerata a Loreto, e da un pensiero su Giovanni XXIII, a 45 anni dalla sua scomparsa. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Fu un grande Papa perché fu umile: rimase un monaco fin nelle profondità dell’animo, nonostante la chiamata al soglio di Pietro e nonostante la grande capacità di governo che dimostrò nel corso del suo ministero pontificio, in tempi non facili per la Chiesa. Fu davvero in vita ciò che amò fissare in una semplice formula, rimasta poi nei secoli l’attributo che esprime il dover essere di un Papa: servus servorum Dei, servo dei servi di Dio. Nella seconda catechesi incentrata su San Gregorio Magno, in particolare sulla sua densa opera dottrinale, Benedetto XVI ha battuto a più riprese su un aggettivo, che da Gregorio fu perseguito in ogni sfaccettatura: umiltà nello studiare la Bibbia, umiltà nello spiegarla ai fedeli, umiltà nell’essere Papa pur nella fermezza che il ruolo talvolta impone, come ad esempio nella vicenda che lo vide in attrito con il Patriarca di Costantinopoli:

“Se tuttavia San Gregorio, nel contesto della sua situazione storica, si oppose al titolo di 'ecumenico' da parte del Patriarca di Costantinopoli, non lo fece per limitare o negare questa legittima autorità, ma perché egli era preoccupato dell’unità fraterna della Chiesa universale. Lo fece soprattutto per la sua profonda convinzione che l’umiltà dovrebbe essere la virtù fondamentale di ogni Vescovo, ancora più di un Patriarca. (...) Il suo desiderio veramente fu di vivere da monaco in permanente colloquio con la Parola di Dio(…) Proprio perché fu questo, egli è grande e mostra anche a noi la misura della vera grandezza“.

Benedetto XVI ha fatto emergere questa qualità di eccellenza di Gregorio Magno attraverso la presentazione dei suoi scritti, nei quali fra l’altro - ha sottolineato - non si delinea tanto una “sua” dottrina, quanto la preoccupazione di “farsi eco” dell’insegnamento della Chiesa. Anche questo un segno di umiltà, che San Gregorio Magno - “appassionato lettore della Bibbia” - dimostrò anche nell’accostarsi alla Sacra Scrittura:

“L’umiltà intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali partendo dal Libro sacro. L’umiltà, ovviamente, non esclude lo studio serio; ma per far sì che questo risulti spiritualmente proficuo, consentendo di entrare realmente nella profondità del testo, l’umiltà resta indispensabile. Solo con questo atteggiamento interiore si ascolta realmente e si percepisce finalmente la voce di Dio. D’altra parte, quando si tratta di Parola di Dio, comprendere non è nulla, se la comprensione non conduce all’azione”.

“Realizzare un’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno” è - per il Pontefice del sesto secolo - un “ideale morale” che diverrà, ha affermato Benedetto XVI, “una specie di Summa” per i cristiani del Medioevo. Così come avrà grande fortuna la “Regola pastorale” scritta da Gregorio Magno, nella quale viene tratteggiata la figura del “vescovo ideale”. Un modello che, chiaramente, deve fondarsi su una dote più di altre:

“Egli afferma che il Vescovo è innanzitutto il 'predicatore' per eccellenza; come tale egli deve essere innanzitutto di esempio agli altri, così che il suo comportamento possa costituire un punto di riferimento per tutti (...) Il grande Pontefice, tuttavia, insiste sul dovere che il Pastore ha di riconoscere ogni giorno la propria miseria, in modo che l’orgoglio non renda vano, dinanzi agli occhi del Giudice supremo, il bene compiuto. Per questo il capitolo finale della Regola è dedicato all’umiltà”.

Il 3 giugno di 45 anni fa, Roma e il mondo si fermavano commossi per la morte del Beato Giovanni XXIII. Rivolgendosi ai pellegrini polacchi in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha voluto ricordarne la figura con queste parole:

“Nazywano go ‘Jan dobry’...

Veniva chiamato dalla gente: ‘Giovanni il buono’ oppure ‘Il buon Papa Giovanni’. Era stato Lui a convocare il Concilio Vaticano II, il quale iniziò il rinnovamento della Chiesa, la riforma delle Sue strutture e l’aggiornamento della liturgia. Che questa riforma porti frutti in noi e nella Chiesa del terzo millennio”.

Nei saluti nelle varie lingue, Benedetto XVI si è unito spiritualmente al pellegrini giunti a Roma per concludere l’anno giubilare dedicato a San Francesco Caracciolo, fondatore dei Chierici Regolari Minori perché il suo esempio, ha detto, aiuti “rinnovare in tutti il vivo desiderio di servire Cristo”. Quindi, agli atleti che innalzavano la “Fiaccola della pace” del prossimo pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto ha detto:

“Auguro ogni migliore successo alla trentesima edizione di tale importante iniziativa pastorale”.

E sul significato del pellegrinaggio Macerata-Loreto, che si svolgerà nella notte tra sabato e domenica prossimi, ascoltiamo il vescovo di Fabriano-Matelica, Giancarlo Vecèrrica, al microfono di Luca Collodi:

R. – E’ il pellegrinaggio che vige nella storia della Chiesa: nella tradizione del Popolo di Dio ha il significato di un cammino del popolo verso una meta.

D. – Mons. Vecerrica, come nasce l’esperienza del pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto?

R. – E’ nato mentre insegnavo religione al Liceo Classico di Macerata, perchè vedevo i ragazzi molto impegnati nell’ora di religione, che si aprivano al senso della vita così come è proposto dal Vangelo. Avevo allora desiderio che le vacanze fossero segnate da un avvenimento che li coinvolgesse in modo da tenere viva la presenza cristiana come determinante la vita. E’ venuto l’impegno di risuscitare una tradizione popolare marchigiana che prevedeva che al termine di ogni inziativa si andasse a piedi al Santuario di Loreto: così nel giugno 1978, per la prima volta, ho proposto ai miei studenti e ad altri della città e della regione questo cammino.

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