15 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 15 maggio 2007 (3) [family day]


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La scomunica...

Aggiornamento della rassegna stampa del 15 maggio 2007 (1)

Rassegna stampa del 15 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 15 maggio 2007 (2)

Family Day: la coesione e la desolazione

di Redazione

E’ stato un grande successo, il Family Day di sabato pomeriggio. Un successo sperato e atteso dagli organizzatori, un successo costruito con la fatica e la volontà di mobilitare tutte le associazioni e i movimenti del mondo cattolico, alcune fasce del mondo cristiano evangelico, e anche una fetta di quel mondo laico che guarda con simpatia alle istanze portate avanti dalla Chiesa italiana. Portare in piazza centinaia di migliaia di persone non era affatto scontato: un popolo che non frequenta le piazze e che solitamente è troppo impegnato a portare avanti la baracca per permettersi una giornata di festa e di mobilitazione, magari pure un viaggio per/da Roma sulle spalle. Eppure, con passeggini e pannolini, con figli da cullare o semplicemente da far divertire, la scommessa è riuscita.

Il merito va ascritto anzitutto alla capacità di mobilitazione dei movimenti e delle associazioni: il cattolicesimo italiano è sempre più caratterizzato dalla varietà di esperienze e di iniziative, una specificità che finora ha saputo trovare motivo di coesione anche laddove le tensioni politiche (due anni fa e oggi) avrebbero potuto esser fatali. L’unità non ha affatto cancellato le differenze, che ci sono e sono evidenti, e affondano le loro motivazioni nella storia e nel carisma di ogni movimento: non è un caso se la presenza massiccia del Cammino Neocatecumenale ha fatto il paio con l’atteggiamento timido della Comunità di Sant’Egidio, o se lo stupore per la presenza a dir poco striminzita delle associazioni scout supera la positiva impressione che hanno lasciato le Acli, la cui visibilità è stata per lo meno pari a quella di altre associazioni o movimenti capaci di grandi numeri (Azione Cattolica e Comunione e Liberazione su tutti). Quello che appare chiaro è comunque, in definitiva, la capacità di mediazione raggiunta da queste realtà, che nel loro insieme non costituiscono affatto un blocco monolitico e che però hanno e mantengono viva la capacità di coesione nei momenti che contano. Un tessuto che vive nelle parrocchie del centro e della periferia del paese, che non è affatto vecchio e anziano, ma straordinariamente giovane e vitale, e che si è manifestato con una forza che in molti non si aspettavano: una positiva sorpresa anche per le gerarchie ecclesiastiche, che sapevano di poter contare su un certo grado di consenso ma che inevitabilmente non potevano essere certe del risultato finale in termini di esposizione mediatica e impressione verso il grande pubblico.

Non essendo un blocco monolitico, la gente che ha partecipato e avrebbe voluto partecipare al Family Day non è classificabile con etichette preconfezionate, e non è affatto appiattibile in scelte unidirezionali dal punto di vista politico-partitico. Ha però vivo il senso della chiarezza, e attenderà al varco la classe politica anche e soprattutto sui sostegni concreti alla famiglia, ad iniziare da quella normativa organica che il paese attende dal momento della nascita della Repubblica.

In tutto questo, c’è una consolazione e una desolazione. Consola che rispetto e attenzione al popolo di San Giovanni e alle loro richieste sia stato manifestato – pur con alcuni distinguo - dai due partiti che si andranno presto a fondere in quello che dovrebbe diventare uno degli assi portanti della politica italiana, il futuro Partito Democratico. Deprime una volta di più invece l’assoluta incapacità degli organizzatori dell’appuntamento intitolato al “coraggio laico” – la contro-manifestazione andata in scena in piazza Navona - di cogliere il tempo che avanza, la rottura di meccanismi vetusti, la pachidermica preistoria di discorsi che affondano in categorie logorate dalla storia e dalla vita. Deprime il mediocre e desolante tentativo di chi non ha saputo fare altro che parlare di “familismo” dei cattolici per svilire la portata di un appuntamento che ha comunque segnato una svolta importante. Deprime questa incapacità di una intera parte della classe politica e di una ampissima fetta di “leader d’opinione” anche e soprattutto perché la questione dei diritti delle coppie di fatto si potrebbe e dovrebbe affrontare con sagacia e attenzione, senza reciproche accuse e controproducenti diktat. Ma il tono delle parole pronunciate a piazza Navona non fa ben sperare per il prossimo futuro. Purtroppo.

Korazym


I più bolsi Scalfari e la Spinelli

E i giornaloni come sempre «Paese reale, ciao ciao»

Umberto Folena

Chi c'era l'ha visto. Chi non c'era ha potuto vederlo su Sat2000 o Raidue. Sabato, a Piazza San Giovanni, c'era un enorme spicchio di popolo italiano che mai è sotto i riflettori, per due motivi: la sua refrattarietà al protagonismo; e l'ottusità di troppi manovratori di riflettori. C'era l'Italia poco appetita dalle lobby culturali ed economiche, l'Italia che se ne infischia dei trend e che i trend amabilmente ignorano, l'Italia che con la sua rete di famiglie, amicizie, movimenti, volontariato è il vero tessuto connettivo del Paese. Il giorno dopo i giornali potevano domandarsi: che Italia è, e che cos'ha da raccontare? Andiamo a scoprirlo. Invece no. Tutti a domandarsi se sono di destra o di sinistra e se ci guadagna la destra o la sinistra. E così un milione e passa di italiani si trovano loro malgrado arruolati e inscatolati. Nessun politico è finito sul palco? Nessun politico è stato mostrato sui maxischermi? Nessun politico è stato salutato? Non importa. Il giorno dopo il popolo, unico vero protagonista, scompare, ridotto a massa indistinta di figuranti. E restano i politici. Tanta gente normale si sobbarca un'immane fatica per andare a Roma? Avrà forti motivazioni. Soprattutto, in un'Italia in cui la partecipazione latita, il Family Day è stato un evento che ha fatto crescere la democrazia… Macché, per Eugenio Scalfari è l'esatto contrario: «La giornata di ieri - scriveva domenica su Repubblica - ha indebolito la democrazia italiana (…) perché quella gente è stata manipolata dalle destre e dalla Chiesa in perfetta sintonia tra loro». Il popolo di San Giovanni rilegga con attenzione: siete tutti manipolati. E Savino Pezzotta? Lui è "un ingenuo" caduto nel tranello degli astuti vescovoni. Invano lo stesso Pezzotta, ieri, dichiarava al Giornale, con evidente riferimento alla destra: «Questa piazza non la può strumentalizzare nessuno. Nessuno deve metterci sopra il cappello». E al Messaggero: «Questa sinistra ha i paraocchi e non sa riconoscere il popolo». E a chi insinuava una sua personale ambizione politica, replicava: «Io leader? I leader sono i bambini, le mamme, le persone scese in piazza». Del medesimo tenore di Scalfari, Barbara Spinelli su La Stampa di Torino, in assoluto i due più bolsi. Lo stesso Corriere della Sera, domenica, su cinque pagine dedicate al Family Day e all'orgoglio laico di piazza Navona, ne concedeva meno di mezza al popolo e tutto il resto ai politici. Sul Messaggero perfino Beppe Pisanu, di solito misurato, usciva dalle righe: «In piazza io c'ero e ho visto con quale entusiasmo è stato accolto Berlusconi». Noi eravamo a cinque metri da Berlusconi ma anche con gli occhi fissi sulla piazza, sul palco e sugli schermi: a parte una ventina di portatori di handicap, in posizione sopraelevata, di Berlusconi si sono accorti soltanto fotografi e cameraman, quindi il pubblico dei tg; la piazza cantava con Povia e Arguello e non s'è accorta di niente. A dire il vero c'è una lucida eccezione, Massimo Franco (Corriere della Sera), che domenica invitava a rinunciare a «categorie ereditate dal passato (…), arnesi culturali arrugginiti, incapaci di cogliere le novità di un protagonismo che si definisce "cattolico", ma lascia indovinare qualcosa di più profondo e inedito. A materializzarsi è stata una realtà che sfugge alla rappresentanza politica, e allo stesso circuito dei massmedia». È così. Il mondo cattolico non ha "inventato nulla", ma si è limitato a mostrare una realtà che in troppi si ostinano ad oscurare, perché non coincide con i propri schemini ideologici e infastidisce i disegni egemonici sulla società italiana. Struzzi, con la testa ostinatamente infilata nella sabbia.

Avvenire, 15 maggio 2007


Dispiace per Bertinotti e Marini

Che corsa a minimizzare e poi distorcere e liquidare

Marco Tarquinio

Ascoltare. È il verbo antico - eppure straordinariamente nuovo per un certo mondo politico - che, sull'onda del Family day, non pochi leader e tanti parlamentari stanno riscoprendo e sforzandosi di coniugare guardando, finalmente, al Paese reale. Minimizzare, misconoscere e distorcere sono, invece, le parole d'ordine che un'altra cospicua fetta della classe dirigente ha desolatamente ripreso a darsi dopo lo straordinario successo della manifestazione che sabato scorso ha riempito per ore e ore piazza San Giovanni. E se due sono gli atteggiamenti, almeno tre sono le categorie in cui i politici finiscono per schierarsi. Quelli che hanno capito, quelli che non vogliono capire (o non ci riescono) e quelli che fanno finta. Vale la pena di rifletterci, e di fare qualche nome.
Cominciamo da chi ha compreso che il "manifesto" intorno al quale s'è realizzata la mobilitazione soprattutto cattolica, ma anche laica, di piazza San Giovanni non è una carta simbolica, bensì un rilancio di compromettente concretezza. Una sorta di corale messa in mora per la classe politica. Una pressante petizione popolare perché in Italia ci si decida, una buona volta, ad articolare politiche compiute e coerenti a sostegno della famiglia così com'è definita dalla Costituzione.
I capi dei partiti di opposizione - da Casini a Fini, da Bossi all'ex premier Berlusconi - si mostrano, ora, sostanzialmente compatti nel prendere impegno prioritario per un'autentica svolta nelle politiche familiari. Nella scorsa legislatura, quando erano in ampia maggioranza, lo furono assai meno, tant'è che gli obiettivi individuati dal lucido e lungimirante libro bianco del nuovo Welfare, compilato nel 2003, sono purtroppo rimasti in buona parte sulla carta. È, dunque, interessante che il ripensamento in atto nel centrodestra - finora concentrato sui nodi della leadership e degli equilibri tra alleati - cominci a svilupparsi su un terreno di decisiva importanza programmatica.
Così come è interessante, sul fronte della maggioranza di centrosinistra, che alla voce e all'attenzione partecipe dei ministri Mastella e Fioroni si siano affiancate - secondo modi, tempi e accenti diversi - prima quelle del vicepremier e leader della Margherita Rutelli e poi quelle di due esponenti dei Ds del calibro del segretario Fassino e del ministro Livia Turco. Chi, come questi ultimi, dice che «ascolterà le due piazze» (quella immensa della manifestazione pro-famiglia e quella striminzita della contromanifestazione) dice - crediamo - che le valuterà realisticamente per quello che sono e per quanto hanno saputo dire del Paese e delle sue autentiche necessità.
Dalla non breve lista dei casi rappresentati da coloro che non hanno voluto e saputo capire ci limitiamo, qui, a citarne solo due e mezzo: quello del presidente della Camera e quello del ministro degli Esteri, coadiuvato dal senatore Latorre. Bertinotti si segnala, infatti, per aver smesso di colpo i panni del difensore delle voci extra-palazzo e per aver liquidato, altezzosamente, come «fuorviante» la cruciale vertenza civile rilanciata da "Più Famiglia". D'Alema s'è, invece, arrogato il diritto di sentenziare che il Family day sarebbe stato uno «scagliarsi contro» e dopo, di fronte all'evidenza contraria, non ha ritenuto di fare ammenda, ma di parlare per procura. Lasciando appunto al fedelissimo Latorre l'ingrato compito di tentare di ridurre l'evento a una «strumentalizzazione» e di accusare i suoi promotori di aver provocato «divisione». Increscioso e, consentitecelo, un po' patetico.
Quelli che fanno finta, infine, si manifestano in vari modi. Proponendosi, magari, come improbabili e non richiesti mediatori tra «due piazze» che sabato, nonostante il battage mediatico filo-laicista delle ultime settimane, sono esistite in contrapposizione solamente in qualche tg. Oppure divagando e passando a parlare direttamente di clima (argomento importantissimo, ma non esattamente all'ordine del giorno del Family day). O ancora, incredibilmente, lodando lo «spirito di piazza San Giovanni» e, subito dopo, annunciando di voler fare come se lì non si fosse parlato chiaro e forte. E dispiace annotare che in questo sforzo s'è segnalato Franco Marini. Sollecita un «bel confronto» parlamentare, il presidente del Senato. Ma non per una grande iniziativa pro-famiglia. Per far approvare i Dico. Da lasciare senza parole.
Un'ultima domanda non riusciamo, però, a tacerla. Ed è rivolta a tutti, a chi ha ascoltato e capito, ma anche a tutti gli altri. È proprio impossibile, qui e ora, in questo Paese, una grande azione bipartisan che - a Roma come in ogni realtà locale - sostenga e valorizzi la risorsa famiglia? È tempo di investire su noi stessi, dice la nostra gente. E il tempo è adesso.

Avvenire, 15 maggio 2007


Ho visto sabato non pochi spunti di novità

Palco giovane di testa ironico & anticonformista

Gabriella Sartori

Che il Family Day sia stato uno di quegli avvenimenti che lasciano il segno nella storia di un Paese, qualcuno, fra i commentatori meno "ciechi" e indispettiti, comincia a sospettarlo. E qui si cercherà di dire per quali motivi questa ci sembri la giusta chiave di lettura del 12 maggio 2007. In effetti, a piazza San Giovanni, si sono viste molte cose nuove. Non solo si è improvvisamente materializzato, in tutto il suo straordinario peso numerico e qualitativo, un "popolo" fin qui sconosciuto (che pure aveva dato segni sicuri di esistenza già nel 2005, quando fece fallire il referendum sulla legge 40). Non solo: questo popolo si è rivelato molto giovane (provvisto cioè di una buona dose di futuro), cosa invidiabile in un paese anagraficamente decrepito come l'Italia, oggi largamente guidato, a tutti i livelli, da "giovanotti" dai sessantacinque anni in su. Chi ha seguito l'evento in tutti i discorsi e le interviste, ha potuto accorgersi anche di qualcos'altro. In tempi in cui non si fa che parlare della difficoltà del rapporto fra laici e cattolici, si sono ascoltati i sostanziosi interventi del cattolico Savino Pezzotta e della laica Eugenia Roccella, così diversi fra loro ma così fortemente accomunati dal loro convinto sostegno alla famiglia prevista dalla Costituzione repubblicana. Riuscito esempio di sintesi fra "anime" culturali opposte, in nome di valori comuni: un obiettivo che continua a sfuggire - pare - al nascituro Partito Democratico che proprio per questa difficoltà non riesce a decollare. Non basta. Dietro ai militanti delle varie associazioni, si sono viste le facce e si sono ascoltati gli interventi di molti sconosciuti leader, spesso giovani anche loro. Gente preparata, umanamente e culturalmente solidissima (molto più di quanto sia dato di apprezzare ascoltando politici, "intellettuali", opinion maker oggi sulla breccia). Leader capaci di interpretare le idee, le speranze, le aspettative della loro gente e per questo in grado di guidarla. Leader non ancora politici, ma che hanno già maturato sul campo i pre-requisiti necessari a diventarlo, nel caso che si creino le condizioni favorevoli. In altre parole, insieme a quell'enorme folla del dodici maggio, è improvvisamente apparsa a Piazza San Giovanni anche una vera e propria classe dirigente della cui esistenza l'Italia delle gazzette ufficiali ha fin qui pervicacemente rifiutato di accorgersi.
Infine: nuovo, insospettato, a San Giovanni è comparso anche un gruppo di artisti, gente varia da palcoscenico: originali, creativi e (cosa fin qui mai vista e sentita) tutti politicamente scorretti. A cominciare dai conduttori Alessandro Zaccuri e Paola Rivetta. Fra tanti pezzi di bravura, indimenticabile quella specie di "rap" improvvisato da Povia sui diritti dei bambini (un vero programma alternativo di "governo", di grande grazia ritmica, di forti contenuti e di immediata presa popolare) o la splendida poesia detta (o cantata?) da Giulio Base su cos'è una "casa" e una "famiglia". Potrebbero felicemente diventare la colonna sonora di altri straordinari raduni popolari. Insomma, s'è vista gente di spettacolo "altra": diversa da quella che, ormai da decenni, continua a cementare la cultura dominante con i nomi dei soliti "noti" ovviamente onnipresenti a teatro e in tv: Paolo Rossi, Bisio, Dandini, Fabio Fazio, Mannoia, Littizzetto, eccetera: bravi, magari, ma sempre e comunque politicamente correttissimi. Concludendo: s'è vista e toccata con mano, a Piazza San Giovanni, un'altra Italia. Tutta da capire, come minimo. Eppure c'è chi l'ha immediatamente liquidata come un'informe massa di un milione di sprovveduti "obiettivamente" strumentalizzati dalla Destra del satanico Berlusconi in combutta con la non meno satanica congrega dei "vescovi" italiani, traditori di Dio e del vangelo di Gesù Cristo nostro Signore: questa la versione dell'avvenimento data da un paio delle firme più laiche, più famose (e più spaventate) d'Italia all'indomani del 12 maggio. Ma se questo è il massimo che l'intellighentia "avversaria" sa offrire, il futuro cui può guardare il popolo del Family Day si prospetta luminoso e senza ostacoli. Come sinceramente noi ci auguriamo che sia per il bene del Paese.

Avvenire, 15 maggio 2007


Popolo allegro e impertinente

la realtà quando rompe gli schemi

Eugenia Roccella

La verità alla fine trova sempre il modo di emergere. E per chi ha gettato anche solo uno sguardo alle immagini della manifestazione di Piazza San Giovanni, la verità era evidente: mai vista una piazza così, stracolma di famiglie e di bambini, un popolo tranquillo e generoso, senza ombra di aggressività o acredine. Le "orde barbariche" di cui aveva parlato il manifesto, erano mamme che bagnavano la testa dei loro piccoli, ragazzi che cantavano o tiravano fuori i panini dalle sacche, papà che spingevano carrozzine.
Gente allegra e nient'affatto minacciosa, che non poteva essere costretta dentro gli schemi ideologici con cui tanti hanno cercato di stravolgere il significato dell'appuntamento. Lo schema, per esempio, di una manifestazione politica, da interpretare tutta in chiave antigovernativa; oppure quello di una sfida alla laicità dello Stato, una sorta di rigurgito sanfedista, magari con Rosy Bindi nei panni di Eleonora De Fonseca. E ancora, l'immagine di una folla prezzolata, pagata dai soldi di una Chiesa ricca e potentissima, o quella di un assembramento di arcigni moralizzatori che non tollerano la diversità, giudicano e condannano.
Probabilmente chi ha nutrito, nei confronti di quella piazza, tanto rancoroso livore da volerla equivocare a tutti i costi, continuerà a farlo, e sarà disposto a negare l'evidenza. Chi ha visto, però, lo sa. E persino dalla stampa più ostile traspare qualche incertezza. Impossibile non registrare l'entusiasmo pacifico di quel milione e più di persone, la spontaneità dell'adesione di tante famiglie che si sono sobbarcate il viaggio con i figli, per dire semplicemente: guardate che ci siamo. Nessun quotidiano ha sottolineato l'assoluta laicità di una manifestazione, promossa da associazioni cattoliche, in cui si è difeso a spada tratta il matrimonio civile; o l'insistenza con cui si è ribadito che l'avversione ai Dico non vuol dire un "no" ai diritti delle persone conviventi, omo o eterosessuali che siano, ma un "no" al metodo scelto per farlo. Dire che siamo tutti figli di un atto d'amore tra un uomo e una donna, e che questa è l'esperienza che unifica gli esseri umani, non è un'affermazione discriminatoria, se mai inclusiva. Affermare che il bene della famiglia è il bene del Paese è puro buon senso, qualcosa che chiunque non sia in malafede potrebbe condividere.
Benché nei media si sia cercato di far passare l'equivalenza tra Piazza Navona e San Giovanni, cercando di rinnovare la logora contrapposizione tra laici e cattolici, nessuno ha potuto crederci, nemmeno i cronisti. A Piazza Navona la differenza non era soltanto quella - abissale - dei numeri, nonostante si esibisse anche il vincitore dell'ultimo Sanremo; era piuttosto nella litigiosità interna, nell'intolleranza aggressiva di alcuni, nei rituali stanchi, nel tono polveroso dell'insieme, compreso il conformismo banale (né coraggioso né laico) di registi, cantanti, attori e volti noti.
Ma nemmeno questo è bastato a oscurare la grande novità delle famiglie che a San Giovanni si incontravano e riconoscevano per la prima volta, di un popolo cattolico che è società civile e chiede ascolto, che è capace di alleanze con il mondo laico non ideologico, che difende la propria esperienza di vita. Quel popolo l'hanno visto tutti, non è più la nebulosa astensionista del referendum sulla procreazione assistita, è una presenza, ha un volto. L'hanno visto soprattutto i politici, quelli che sono venuti e quelli che non sono venuti. E come i bambini del simpatico Povia, i nostri politici si sono stupiti, e hanno fatto "oh!".

Avvenire, 15 maggio 2007


Il cardinale Herranz

“Prodi e Berlusconi che brutto spettacolo”

«E’ evidente che hanno scelto la piazza del Vicariato e del Family Day per cercare la polemica con la Chiesa sulle nozze omosessuali. Ma gli organizzatori del Gay Pride, sbandierando la difesa della laicità dello Stato, compiono un errore madornale: a riempire San Giovanni sono stati i laici, non noi preti». Per il cardinale Julián Herranz, massimo giurista dell’Opus Dei, fino al mese scorso ministro vaticano della Giustizia e attuale presidente della Commissione Disciplinare della Curia Romana «è stato il Family Day la vera rivendicazione di sana laicità».

Berlusconi sostiene che non si possa essere cattolici a sinistra e Prodi gli rinfaccia di essere estraneo allo spirito cattolico. Qual è l’impressione in Curia?

«In fondo queste accuse reciproche sono anche un esame di coscienza. La Chiesa non ha dato deleghe a nessun partito e non ha bisogno di difensori. Sui valori come la sacralità della famiglia non sono ammesse strumentalizzazioni né patenti di cattolicità. Non è edificante vedere i capi dei due schieramenti politici litigare su chi dei due sia più vicino allo spirito cattolico o sul colore politico di piazza San Giovanni».

Teme strumentalizzazioni di parte?

«La verità è che il milione di persone scese in piazza è molto più in là di maggioranza e opposizione. E ad entrambe rimprovera il mancato sostegno alla famiglia come elemento fondante eppure misconosciuto e non salvaguardato né dal centrodestra né dal centrosinistra. Il senso del Family Day sta anche nel rimprovero, nel richiamo alla responsabilità dei politici. Adesso si compie un altro passo verso l’assurdo. Qui non si tratta della morale cattolica. L’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio è inammissibile non tanto perché va contro le convinzioni delle grandi religioni monoteiste, ma perché va contro la natura umana. Basta la ragione per capire che il matrimonio, che sta alla base della famiglia, è l’unione tra due persone di sesso diverso che unendosi trasmettono la vita».

Dopo i Dico, il corteo dei 200 mila gay a San Giovanni il 16 giugno apre un nuovo fronte con la Chiesa?

«E’ palese la ricerca di clamore. Si vuol fare polemica. Si strumentalizza un fondamentalismo laicista che oggi in una democrazia non è più ammissibile. Non hanno una visione chiara di cosa sia la laicità e chiedono il matrimonio gay, ma il matrimonio è possibile solo se ha due caratteristiche: l’eterosessualità e l’apertura alla fecondità. Se mancano, non può esserci matrimonio. Non lo dice la Chiesa, lo dice l’antropologia, la scienza dell’uomo. Chi governa deve essere fedele al bene comune di una società. La Chiesa non è un partito politico. I cattolici hanno dei valori irrinunciabili e non negoziabili».

Il «cattolico adulto» Prodi cita Kennedy per rivendicare l’autonomia laica dei politici dalla Chiesa?

«Innanzitutto, il cattolico è cattolico e basta, senza ulteriori specificazioni. Cosa significa poi cattolico adulto? Per me significa rispettare gli impegni assunti con il battesimo, conoscere bene la dottrina, avere una coscienza correttamente formata e dar prova di responsabilità nell’applicare la propria competenza.
Non è giusto poi decontestualizzare riferimenti storici. Kennedy parlava a un’America in cui cattolico era sinonimo di servo del Papa. Se si precipitano le sue parole nella dialettica politica attuale se ne stravolge il senso»

La Stampa, 15 marzo 2007

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