13 giugno 2008

«Bibbia, un libro che va insegnato nelle scuole» (Bobbio)


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«Bibbia, un libro che va insegnato nelle scuole»

Il documento in vista del Sinodo sulla Parola di Dio «Non sempre una predicazione adeguata dei Pastori»

Alberto Bobbio

Città del Vaticano

La Bibbia è un libro che va spiegato e insegnato nelle scuole per il «suo particolare rilievo culturale», ma soprattutto deve essere utilizzato nelle ore di religione per «proporre un percorso completo di scoperta sia dei grandi testi biblici», sia «dei metodi di interpretazione adottati dalla Chiesa». La proposta è contenuta nell'«Instrumentum laboris» del prossimo Sinodo dei vescovi dedicato alla «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa», presentato ieri nella Sala Stampa della Santa Sede dal segretario generale del Sinodo, il vescovo sloveno Nikola Etereovic.
In ottanta pagine il testo, una sorta di riassunto dei principali problemi che s'intrecciando attorno alla diffusione e alla comprensione della Bibbia nella Chiesa e che verranno discusse dal Sinodo, mette in guardia da letture troppo letterali o troppo ideologiche del testo sacro. Ma aggiunge anche che i vescovi devono «controllare quella sensibilità che esalta lo spontaneismo, l'esperienza strettamente soggettiva e la sete del prodigioso». Il documento è stato redatto dalla Segreteria generale del Sinodo sulla base di centinaia di contributi arrivati dalla Conferenze episcopali di tutto il mondo, da numerose congregazione religiose e da diversi esperti. Monsignor Eterovic ha spiegato che la mole del materiale «ci ha stupito per profondità di analisi e per quantità».
Il Sinodo si riunirà in Vaticano dal 5 al 26 ottobre prossimo. Vi parteciperanno 250 tra vescovi, esperti e invitati di altre Chiese cristiane. Nel documento di lavoro è contenuta anche la proposta di avviare «in ogni diocesi» un «progetto di pastorale biblica sotto la guida del vescovo» per favorire la lettura e una migliore comprensione, soprattutto delle parti ritenute «difficili», della Bibbia. Eterovic ha ricordato l'indagine dell'Eurisko, promossa dalla Federazione biblica cattolica presieduta dal vescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia, proprio in vista del Sinodo di ottobre, secondo cui solo il 38 per cento degli italiani praticanti ha letto un brano della Bibbia negli ultimi 18 mesi.
A livello mondiale, poi, oltre la metà dei praticanti considera la Sacra Scrittura «difficile da intendere». «Ecco perché – ha sottolineato il vescovo – la gente ha bisogno di essere guidata con intelligenza alla comprensione del testo». E tutto ciò nonostante la Bibbia sia il libro più diffuso e tradotto del mondo, con 2.454 traduzioni.

La ricerca Eurisko metteva in luce anche il desiderio di molti credenti di essere maggiormente aiutati a capire la Bibbia. Qui il documento di lavoro nota quello che definisce «un paradosso»: «Alla fame della Parola di Dio non sempre corrisponde una predicazione adeguata da parte dei Pastori della Chiesa, per carenze nella preparazione seminaristica o nell'esercizio pastorale».

Nel mirino finiscono «le omelie», l'«impreparazione e la carenza di sussidi», ma anche «una certa separazione» degli studiosi dai vescovi e dalla «gente semplice delle comunità cristiane». Si denuncia inoltre una sorta di orgogliosa concorrenza tra biblisti e teologi, che porta a tracciare un solco tra «ricerca esegetica ed elaborazione teologica», che deve essere invece colmato per arrivare a una migliore «reciproca collaborazione».

Il teologo infatti deve arrivare a utilizzare «il dato biblico senza strumentalizzazione», mentre l'esegeta non si deve limitare «ai soli dati letterali». L'esempio positivo più volte citato nell'«Instrumentum laboris» è quello dei Padri della Chiesa, che riuscivano a spiegare i testi biblici tenendo conto della complessità dell'annuncio della fede.

Invece oggi, rileva il documento, «molti fedeli esitano ad aprire la Bibbia» e quando lo fanno spesso l'esperienza è «più emotiva che convinta, a causa della scarsa conoscenza della dottrina». Ciò porta alla nascita di «forme gnostiche ed esoteriche nell'interpretazione della Sacra Scrittura», alla diffusione di «gruppi religiosi a se stanti anche nella Chiesa cattolica» fino al rifiuto di alcuni cristiani di leggere la Bibbia, perché «preferiscono stabilire con Gesù un rapporto diretto e personale».

Ci sono poi i rischi di «un'interpretazione arbitraria e riduttiva», letture «ideologiche», «precomprensioni rigide di ordine spirituale o sociale o politico» che arrivano nelle forme estreme alla costituzioni di vere e proprie «sette», che si servono della Bibbia «per scopi devianti e con metodi estranei alla Chiesa».
Nel documento si chiede maggiore «connessione» tra liturgia della Parola e liturgia eucaristica nella Messa, lettori «capaci e preparati» e una diffusione più convita della «lectio divina», che non deve essere «affatto una pratica specialistica da riservare a qualche fedele molto impegnato o a gruppi di specialisti della preghiera». A ciò si aggiunge l'auspicio di dare maggiore spazio «con sapiente equilibrio» ai media per la diffusione della Bibbia: tivù, radio, dvd e internet, cioè «nuovi linguaggi, nuove tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici».

© Copyright L'Eco di Bergamo, 13 giugno 2008

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