14 giugno 2008

A colloquio con monsignor De Grisantis, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca: "L'attesa di un evento che riapre alla speranza" (Osservatore)


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A colloquio con monsignor De Grisantis, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca

L'attesa di un evento che riapre alla speranza

di Mario Ponzi

"La nostra gente ha bisogno di ritrovare fiducia e speranza. Troppo a lungo è stata mortificata". Si fa serio il vescovo Vito De Grisantis quando parla della situazione della sua gente, gli abitanti della diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca. Ma è soprattutto preoccupato. Solo quando confida ciò che si aspetta dalla visita del Papa alla sua terra - è leccese di nascita - sembra si possa cogliere il riaffiorare di un'indomita speranza cristiana. A sentirlo parlare si intuisce il forte coinvolgimento con la vita e con le attese della gente della sua diocesi, ormai disincantata e delusa dal mancato sviluppo del Salento.

Da dove nascono questi stati d'animo?

Da anni e anni di delusioni. Anzi oggi non sono neppure più delusioni. Non saprei nemmeno come definirle. È difficile filosofare quando le porte di quelle fabbriche - volute più per tacitare la gente che per reali progetti di sviluppo - si chiudono definitivamente, lasciando centinaia di lavoratori sul lastrico, quando le famiglie si disgregano, quando il domani si apre sul nulla, quando la droga prende il posto delle aspirazioni, quando la delinquenza prende il sopravvento. Quando anche la preghiera della gente sembra più sorretta dall'ostinazione che dalla fiducia. Ne sappiamo qualcosa noi sacerdoti che affianchiamo nella quotidianità tanta gente afflitta e affranta e non sappiamo come aiutarla.

Ma come è possibile che si sia determinata una situazione simile in una zona di così grande richiamo turistico per le sue bellezze naturali, in una città di mare, dunque con grandi potenzialità?

Il problema sta proprio qui, sembra assurdo ma nasce proprio dalle sue potenzialità. È vero che il turismo di per sé potrebbe essere forza trainante; è vero che l'essere terra di mare aprirebbe orizzonti concreti. Bisognerebbe però che vi fossero le infrastrutture adeguate allo sviluppo delle potenzialità. È invece quello che manca: non ci sono infrastrutture capaci di sostenere il grande movimento turistico che oggi è forzatamente solo di passaggio. E se i nostri giovani oggi danno vita a quella che io chiamo la "emigrazione intellettuale" è perché sono costretti ad andare a studiare lontano da casa, lontano dalla loro terra che non è in grado di assicurargli neppure un istituto d'istruzione a livello universitario. Ed è chiaro che proprio a causa della mancanza di infrastrutture non arrivano investitori, imprenditori cioè pronti ad iniziare delle attività in questa zona. Anzi quei pochi che c'erano sono fuggiti. L'esempio del calzaturificio è illuminante: hanno chiuso i battenti perché hanno trovato più comodo commerciare prodotti cinesi. Altri invece hanno preferito investire in Albania, in Romania. E dunque tutte le nostre potenzialità, anche intellettuali, vengono mortificate.

Quali sono i risvolti più immediati di questo stato di cose?

Il dilagare del fenomeno della disoccupazione naturalmente comporta una serie di rischi, soprattutto per le famiglie e per i giovani. Una situazione di così grande difficoltà economica costituisce terreno fertile per la criminalità organizzata e i più esposti sono proprio le famiglie e i giovani.

Quali sono i fenomeni più ricorrenti?

Per le famiglie il rischio maggiore è costituito dall'usura. La gente non sa come fare ad andare avanti e spesso deve far fronte a un mutuo acceso per l'acquisto della casa. Fa ricorso al prestito e immancabilmente finisce nella rete degli usurai. Qui in diocesi abbiamo aperto un centro antiusura, collegato con la Fondazione antiusura istituita a Bari. Ascoltiamo chi si rivolge a noi poi insieme cerchiamo di trovare una soluzione. I giovani invece corrono il rischio di finire nel giro della droga: come consumatori prima e come spacciatori subito dopo. Molti di loro, come ho detto, emigrano per motivi di studio. Vorrebbero tornare perché amano la loro terra e conservano un forte legame con la famiglia. Ma non hanno un futuro in casa loro. E dunque restano fuori, lavorano, anche in posti di prestigio perché hanno grandi qualità.

Ma ad emigrare non sono solo giovani.

Certo che no. Ci sono anche tanti padri e tante madri di famiglia che, proprio perché hanno perso il loro lavoro, vanno a cercarlo fuori. E questo comporta un altro grave fenomeno, che è quello della disgregazione familiare. Ecco questi sono i problemi con i quali dobbiamo confrontarci. Nutriamo qualche speranza in più perché da qualche tempo si respira un'atmosfera diversa, di maggiore impegno sociale. Si manifesta la volontà di risolvere questi problemi a livello istituzionale, sia locale che regionale, dunque sembra ci si possa muovere con maggiore impegno. La nostra Chiesa è in prima linea in questo senso.

Quali sono le forze che la Chiesa può mettere in campo?

Le forze ci sono, ringraziando il Signore, e si tratta anche di forze fresche. Per servire centoventimila abitanti, suddivisi in quarantatré parrocchie, abbiamo 65 sacerdoti con un'età media di 51 anni, dunque un clero abbastanza giovane con tanto entusiasmo. La nostra è una comunità radicata nella tradizione più profonda, caratterizzata da una devozione popolare molto diffusa. La parrocchia è un punto di riferimento fondamentale per la vita dei fedeli. Questi i numeri della nostra Chiesa, il suo profilo più immediato. Quando andiamo poi a vedere ciò di cui questa Chiesa ha bisogno allora parliamo di diverse necessità e di alcune sfide da affrontare. La prima necessità è proprio quella di trasformare la devozione popolare in qualcosa di più profondo, qualcosa che vada al di là della tradizione e si traduca in una fede realmente più matura. La seconda necessità riguarda proprio la parrocchia, nel suo insieme di comunità. Anche in questo caso c'è bisogno di una trasformazione: da comunità accogliente deve diventare anche comunità evangelizzatrice, capace cioè di uscire dall'ambito parrocchiale e trasformarsi in strumento di evangelizzazione ad extra. Quando parlo di necessità di approfondimento mi riferisco alla necessità di dimostrare una fede adulta, quella che io definisco una fede pensata, capace di offrirsi come esempio di adesione fondata sulla convinzione personale di voler e dover seguire il Vangelo.

Qual è il valore aggiunto che offre a questa comunità la presenza del santuario mariano?

Il santuario è la vera casa dei nostri fedeli, il centro attorno al quale ruota l'esistenza quotidiana. E la nostra gente lo condivide di buon grado con quanti vengono, e sono veramente tantissimi, per pregare dinanzi alla loro Madonna. Certamente la devozione mariana è molto radicata in questa terra ed è l'unica fonte di serenità per le famiglie, pur nelle traversie che quotidianamente deve affrontare. Annualmente raggiungono il santuario oltre un milione di persone provenienti non solo dall'Italia, ma anche da diversi Paesi d'Europa, qualcuno anche da fuori Europa.

Sabato pomeriggio il Papa pregherà in questo santuario. Da pastore della diocesi, lei quali frutti si attende da questa preghiera?

Vorrei che tutti fossimo capaci di cogliere intanto il grande incoraggiamento che il Papa viene a portarci personalmente. Un incoraggiamento ad aderire con più fiducia al Signore, auspice la Vergine Maria. Un incoraggiamento alla fede, alla speranza più profonda per la nostra gente. Un incoraggiamento a cercare con più fermezza e decisione lo sviluppo della nostra terra. Un incoraggiamento alle autorità affinché continuino nel rinnovato sforzo di far progredire il contesto sociale. Ci vuole l'impegno di tutti per crescere insieme.

Sembra di riascoltare l'incitamento del vescovo Tonino Bello, del quale avete avviato il processo diocesano di beatificazione.

È quasi naturale per noi. Don Tonino è sulla bocca di tutti, è un punto di riferimento certo. Il suo messaggio è ancora attualissimo è viene rilanciato in tutti gli incontri. Oltre al suo essere profondamente innamorato di Gesù, rimane vivo in mezzo a noi il suo grande amore per l'uomo, soprattutto per i più deboli, per i più piccoli, per la gente emarginata, il suo continuo lottare per la giustizia, per la carità, per il rinnovamento sociale. È la sua eredità. È la nostra ricchezza.

(©L'Osservatore Romano - 14 giugno 2008)

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