31 ottobre 2007

Avvenire: il discorso del Papa sull'obiezione di coscienza dei farmacisti ha valenza bioetica e politica. Grossa strigliata a Politi :-)


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Il discorso che Benedetto XVI ha rivol­to ai partecipanti al XXV Congresso in­ternazionale dei farmacisti cattolici, stigmatizzando la commercializzazione di farmaci abortivi ed eutanasici, è im­portante sotto diversi profili, su almeno due dei quali mi sembra opportuno ela­borare in questa sede alcune riflessioni.

In primo luogo, il discorso del Papa è ri­levante sotto l’aspetto propriamente bioetico. Egli torna ad insistere sul dove­re di lottare contro la progressiva «ane­stetizzazione » delle coscienze che carat­terizza il nostro tempo e che induce così tante donne a pensare all’aborto non più come ad un’eventualità estrema, ecce­zionale e tragica, ma come ad una bana­le possibilità, gestibile attraverso altret­tanto banali sussidi farmacologici (o me­glio pseudo-farmacologici).

Ma c’è anche un altro punto da sottoli­neare e che per me possiede un rilievo ancora maggiore, per la sua forte carica di novità: il Papa delinea, in poche, ma perfette espressioni, l’essenza della deontologia del farmacista, che, se non vuole relegarsi al rango, indubbiamente onesto, ma riduttivo, del mero commer­ciante, deve percepire se stesso come in­termediario tra medico e paziente ed e­sercitare nei confronti di quest’ultimo u­na funzione di fondamentale informa­zione, che – data la delicatezza delle que­stioni sanitarie – diviene inevitabilmen­te una funzione 'educativa'.

Non è una mera e neutrale informazione lo spiega­re a una donna che quella pillola che es­sa sta per comprare non si limita a ren­dere impossibile il concepimento, ma può produrre la morte di un figlio già concepito: quando è in questione né più né meno che la vita stessa ogni informa­zione o è 'educativa' oppure, se il valo­re della vita non viene adeguatamente ricordato e promosso, è per forza di co­se 'diseducativa'.

In secondo luogo, il discorso del Papa ha una forte e legittima valenza politica.
Sap­piamo che già molti laicisti sono tornati a reiterare le loro logore proteste contro le 'invadenze' vaticane. Si tratta di pro­teste indebite, per una ragione formale e per una ragione sostanziale. Formal­mente, perché l’eutanasia in Italia è ille­gale e lo è anche l’aborto, se non viene praticato nel rispetto di una procedura difficilmente compatibile con la vendita in farmacia di pillole abortive (e qui pen­so non solo alla RU 486, ma anche alla 'pillola del giorno dopo', che può di fat­to produrre effetti abortivi): quindi, au­spicare l’obiezione di coscienza alla ven­dita di prodotti abortivi ed eutanasici è paradossalmente un ammonimento per­ché non si violino, surrettiziamente, i principi normativi vigenti.
Ma il cuore della questione, ovviamente, non è formale, ma sostanziale. Nella so­stanza, l’appello del Papa per il ricono­scimento del diritto all’obiezione di co­scienza per i farmacisti va molto al di là del caso, pur delicatissimo, che lo ha pro­vocato: è un appello perché non si perda la consapevolezza che quando sono in gioco temi etici fondamentali (e quelli della vita e della morte sono – se così si può dire – i più fondamentali di tutti), te­mi che suscitano gravissime questioni di coscienza, è dovere di tutti fermarsi e at­tivare una riflessione ampia ed articola­ta, per evitare che simili questioni ven­gano degradate a mere dispute di carat­tere ideologico o meno che mai confes­sionale.

Fa impressione la superficialità con cui Repubblica del 30 ottobre (pag. 2) afferma che accogliere l’appello del Pa­pa (definito riduttivamente «una parola d’ordine») equivarrebbe ad una «balca­nizzazione » del nostro sistema sanitario, con una evidente allusione ai conflitti in­sensati, ciechi ed ottusi, pregiudiziali e violenti, che hanno insanguinato i Bal­cani.

Tutto, tranne questo, si può dire a ca­rico di chi promuove la difesa della vita, affidandola all’obiezione di coscienza: dovrebbero ricordarselo soprattutto quei laicisti, che in altre occasioni hanno giu­stamente e laicamente lottato perché l’o­biezione ottenesse un doveroso ricono­scimento nel nostro ordinamento.

© Copyright Avvenire, 31 ottobre 2007

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