31 ottobre 2007

Giovanni Paolo II parlò di obiezione di coscienza per i farmacisti nella "Evangelium Vitae", ma Liberazione & C. non lo sanno...studiate!


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Grazie al lavoro di Gemma, possiamo leggere qualche brano dell'enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II che dimostra in modo inequivocabile che la richiesta di riconoscimento dell'obiezione di coscienza per i farmacisti era gia' stato chiesto da Papa Wojtyla nel lontano 1995.
Chissa' come mai, allora, sembra che Benedetto XVI parli collegato direttamente con il Medioevo.
Dopo la lettura, il mio e vostro commento
.
Raffaella

Ioannes Paulus PP. II

Evangelium vitae

ai vescovi ai presbiteri e ai diaconi
ai religiosi e alle religiose
ai fedeli laici e a tutte le persone di buona volontà
sul valore e l'inviolabilità della vita umana


1995.03.25

«Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29): la legge civile e la legge morale

68-72 omissis

73. L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza.

Fin dalle origini della Chiesa, la predicazione apostolica ha inculcato ai cristiani il dovere di obbedire alle autorità pubbliche legittimamente costituite (cf. Rm 13, 1-7; 1 Pt 2, 13-14), ma nello stesso tempo ha ammonito fermamente che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29).

Già nell'Antico Testamento, proprio in riferimento alle minacce contro la vita, troviamo un esempio significativo di resistenza al comando ingiusto dell'autorità. Al faraone, che aveva ordinato di far morire ogni neonato maschio, le levatrici degli Ebrei si opposero. Esse «non fecero come aveva loro ordinato il re di Egitto e lasciarono vivere i bambini» (Es 1, 17). Ma occorre notare il motivo profondo di questo loro comportamento: «Le levatrici temettero Dio» (ivi). È proprio dall'obbedienza a Dio — al quale solo si deve quel timore che è riconoscimento della sua assoluta sovranità — che nascono la forza e il coraggio di resistere alle leggi ingiuste degli uomini. È la forza e il coraggio di chi è disposto anche ad andare in prigione o ad essere ucciso di spada, nella certezza che «in questo sta la costanza e la fede dei santi» (Ap 13, 10).

Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, «né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto».

Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. Simili casi non sono rari. Si registra infatti il dato che mentre in alcune parti del mondo continuano le campagne per l'introduzione di leggi a favore dell'aborto, sostenute non poche volte da potenti organismi internazionali, in altre Nazioni invece — in particolare in quelle che hanno già fatto l'amara esperienza di simili legislazioni permissive — si vanno manifestando segni di ripensamento. Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui.


74. L'introduzione di legislazioni ingiuste pone spesso gli uomini moralmente retti di fronte a difficili problemi di coscienza in materia di collaborazione in ragione della doverosa affermazione del proprio diritto a non essere costretti a partecipare ad azioni moralmente cattive. Talvolta le scelte che si impongono sono dolorose e possono richiedere il sacrificio di affermate posizioni professionali o la rinuncia a legittime prospettive di avanzamento nella carriera. In altri casi, può risultare che il compiere alcune azioni in se stesse indifferenti, o addirittura positive, previste nell'articolato di legislazioni globalmente ingiuste, consenta la salvaguardia di vite umane minacciate. D'altro canto, però, si può giustamente temere che la disponibilità a compiere tali azioni non solo comporti uno scandalo e favorisca l'indebolirsi della necessaria opposizione agli attentati contro la vita, ma induca insensibilmente ad arrendersi sempre più ad una logica permissiva.
Per illuminare questa difficile questione morale occorre richiamare i principi generali sulla cooperazione ad azioni cattive.

I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio.

Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male. Tale cooperazione si verifica quando l'azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell'intenzione immorale dell'agente principale. Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno personalmente compie esiste, infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi e sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso (cf. Rm 2, 6; 14, 12).

Rifiutarsi di partecipare a commettere un'ingiustizia è non solo un dovere morale, ma è anche un diritto umano basilare. Se così non fosse, la persona umana sarebbe costretta a compiere un'azione intrinsecamente incompatibile con la sua dignità e in tal modo la sua stessa libertà, il cui senso e fine autentici risiedono nell'orientamento al vero e al bene, ne sarebbe radicalmente compromessa.

Si tratta, dunque, di un diritto essenziale che, proprio perché tale, dovrebbe essere previsto e protetto dalla stessa legge civile. In tal senso, la possibilità di rifiutarsi di partecipare alla fase consultiva, preparatoria ed esecutiva di simili atti contro la vita dovrebbe essere assicurata ai medici, agli operatori sanitari e ai responsabili delle istituzioni ospedaliere, delle cliniche e delle case di cura. Chi ricorre all'obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale.


«Che giova, fratelli miei se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?» (Gc 2, 14): servire il Vangelo della vita

87-88 omissis

89. Queste strutture e luoghi di servizio alla vita (ospedali, cliniche e case di cura), e tutte le altre iniziative di sostegno e solidarietà che le situazioni potranno di volta in volta suggerire, hanno bisogno di essere animate da persone generosamente disponibili e profondamente consapevoli di quanto decisivo sia il Vangelo della vita per il bene dell'individuo e della società.

Peculiare è la responsabilità affidata agli operatori sanitari: medici, farmacisti, infermieri, cappellani, religiosi e religiose, amministratori e volontari. La loro professione li vuole custodi e servitori della vita umana. Nel contesto culturale e sociale odierno, nel quale la scienza e l'arte medica rischiano di smarrire la loro nativa dimensione etica, essi possono essere talvolta fortemente tentati di trasformarsi in artefici di manipolazione della vita o addirittura in operatori di morte.

Di fronte a tale tentazione la loro responsabilità è oggi enormemente accresciuta e trova la sua ispirazione più profonda e il suo sostegno più forte proprio nell'intrinseca e imprescindibile dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva l'antico e sempre attuale giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità.

Il rispetto assoluto di ogni vita umana innocente esige anchel'esercizio dell'obiezione di coscienza di fronte all'aborto procurato e all'eutanasia. Il «far morire» non può mai essere considerato come una cura medica, neppure quando l'intenzione fosse solo quella di assecondare una richiesta del paziente: è, piuttosto, la negazione della professione sanitaria che si qualifica come un appassionato e tenace «sì» alla vita.

Anche la ricerca biomedica, campo affascinante e promettente di nuovi grandi benefici per l'umanità, deve sempre rifiutare sperimentazioni, ricerche o applicazioni che, misconoscendo l'inviolabile dignità dell'essere umano, cessano di essere a servizio degli uomini e si trasformano in realtà che, mentre sembrano soccorrerli, li opprimono.

(dall'enciclica Evangelium Vitae del Santo Padre Giovanni Paolo II, 25 marzo 1995)


Ha letto, Menapace? Ed i Suoi colleghi hanno letto? Nel 1995 Giovanni Paolo II chiedeva esplicitamente il rispetto del diritto all'obiezione di coscienza dei medici ma ANCHE DEI FARMACISTI!
Ma tu guarda! Non risulta che questo piccolo particolare sia stato inserito nell'articolo della signora senatrice Menapace e non figura nemmeno nella didascalia, blasfema, della foto a commento dell'articolo stesso.
Parliamoci chiaro: Benedetto XVI non fa altro che ribadire la dottrina cattolica, esattamente come Giovanni Paolo II, esattamente come gli altri predecessori.
Perche', allora, scrivere articoli che inculcano nel lettore l'idea che Papa Benedetto sia oscurantista e medievale? Perche'? Nel 1995 nessuno ha letto l'enciclica Evangelium Vitae? I signori giornalisti dormivano?
A volte mi chiedo come mai Papa Ratzinger faccia tanta paura. Che cosa c'e' in lui che certe persone non riescono a sopportare? Rifletta, cara Menapace e vada a leggere i documenti dei Pontificati precedenti. Li trova sul sito della Santa Sede
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Raffaella

1 commento:

euge ha detto...

L'Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II che pochissimi di quelli che oggi sbraitano contro l'ingerenza del Papa sia sulla moralità, sia sulla difesa della vita e su altri argomenti trattati da Benedetto XVI, dovrebbero di corsa andare a leggere per capire quanto il Magistero di Sua santità sia in perfetta linea di continuità con quello del suo predecessore; ecco perchè in più di un'occasione ho sostenuto che a torto e per pura superficialità il Pontificato di Giovanni Paolo II passerà alla storia per il Pontificato dei canti dei balli delle celebrazioni colorate e rumorose e non per quello che è stato veramente e cioè un pontificato basato sulla difesa dei diritti umani intesi come difesa della vita e di tutti quei valori non negoziabili che lo stesso Benedetto XVI difende con tanta energia e determinazione. Se tutti i falsi sotenitori di Giovanni Paolo II si disturbassero a leggere le sue Encicliche, capirebbero forse finalmente che mettere a confronto due persone che hanno sostenuto gli stessi principi è un gioco assurdo, sterile poco intelligente e quanto mai superficiale
Eugenia