21 giugno 2008

Intervista a fratel Ignazio della Piccola Famiglia dell'Annunziata a Damasco: "Dall'appennino emiliano alle cupole siriane" (Osservatore)


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Intervista a fratel Ignazio della Piccola Famiglia dell'Annunziata a Damasco

Dall'appennino emiliano alle cupole siriane

di Monica Mondo

Dall'appennino emiliano alle cupole e torri di Damasco il viaggio non è breve. Ma la vocazione della Piccola Famiglia dell'Annunziata, la comunità fondata da don Giuseppe Dossetti, aveva dagli inizi lo sguardo a Oriente. Per fare monaci e monache a Monteveglio, a Marzabotto - sedi originarie dei primi seguaci dell'ordine riconosciuto dalle autorità ecclesiastiche a metà degli anni Cinquanta - tocca ispirarsi alle fonti del monachesimo, in Terra Santa, in Giordania, in Siria. La Piccola Famiglia è presente con i suoi fratelli e sorelle a Naim, sulle falde del Monte Nebo, là dove Mosè vide la Terra Santa e concluse la sua vita terrena; e ad Ain Arik, due passi da Ramallah, nei territori palestinesi. Sono comunità di preghiera e liturgia, che celebrano integralmente in lingua araba. È lì che fratel Ignazio, un giorno Sergio De Francesco, ha piegato la sua formazione, la sua indomabile passione e curiosità giornalistica alla conoscenza e allo studio dell'arabo e della sua cultura. Ma per diventare traduttore degli inni di Efrem il Siro, "l'arpa dello spirito", occorreva una specializzazione accademica e don Giuseppe lo mandò a Damasco. Una città, un mondo che gli è rimasto nel cuore e dove spera di tornare, "se Dio vorrà", spiega, mentre alambicca con una tisana nella foresteria accanto alla chiesetta dove vivono le sorelle e dove si celebra l'ufficio delle Ore.
"Abitavo nel dedalo di vicoli del vecchio quartiere cristiano, tra le mura ottomane, chiamato Bab Touma, ospite di un convento francese dedicato a san Paolo. Una storia gloriosa, con i suoi martiri, un'intera comunità sterminata. A poca distanza, la casa di Anania, l'uomo cui è legata la conversione di san Paolo, il suo battesimo. Tutt'intorno i campanili siro-ortodossi, e caldei, i siro-cattolici, la chiesa cattedrale del patriarca melkita, gli armeni ortodossi, la maestosa sede del patriarca greco ortodosso. Divisioni? Bisogna vedere quando la data della Pasqua coincide per tutti. L'intero quartiere vive liturgicamente, sembra di vivere nelle pagine della pellegrina Egeria".
Fratel Ignazio studia, frequenta la facoltà di lettere dell'università, e ricorda divertito il senso di paura al suo primo giorno, attraversando l'aula magna col suo povero abito da frate in una folla di barbe e veli. "Dopo un'educata diffidenza è nata una rete di rapporti cordiali, perfino confidenziali. Come cristiani siamo privilegiati, in Siria, in confronto ad altri Paesi dell'area. Recentemente il Parlamento ha votato la nuova legge sullo statuto personale dei cattolici, recependo in modo integrale il testo proposto da una commissione di periti cattolici, un passo avanti molto significativo".

È un piccolo gregge, quello cattolico.

Che sta perdendo la sua originalità e ricchezza, la cultura. Il sistema scolastico tende a selezionare gli studenti migliori per le facoltà scientifiche. Ma noi abbiamo anche bisogno di letterati, filosofi, storici, e naturalmente biblisti e teologi. L'eccellenza nel campo delle scienze umane è stata una delle carte dell'integrazione dei cristiani in questa realtà. C'è un investimento urgente da fare in questo senso, per i nostri giovani cristiani. Dare loro mezzi e tempo per crescere negli ambiti umanistici, all'università e oltre l'università.

Si è dedicato con cura alla traduzione delle fonti. Quali le più significative della tradizione siriaca? Che interesse storico e letterario hanno, per noi cristiani occidentali?

La tradizione siriaca ha un'importanza fondamentale, ancor poco conosciuta, si lega a città come Antiochia, Edessa, Nisibi. È una tradizione che fa da ponte tra il polmone greco e quello semitico del cristianesimo primitivo, a partire dalle lingue usate, il greco e l'aramaico. Ha avuto il merito storico di creare un rapporto con l'islam, soprattutto a Baghdad, durante l'epoca d'oro del califfato abbaside. I monaci e i sapienti di queste chiese traducono i monumenti della cultura greca, filosofia, medicina, astronomia, prima in siriaco, poi in arabo.

Oggi sono Chiese in difficoltà?

Come tutti i cristiani del Medio Oriente: in declino demografico, a parte forse i copti d'Egitto. Con una forte tendenza all'emigrazione, soprattutto dei giovani, le risorse più promettenti, con gli stessi nostri problemi di vocazioni. Certo, la tragedia dell'Iraq ha creato un'emergenza nuova: la Siria è sicuramente il Paese che ha dato maggior asilo ai cristiani iracheni. Ne ho visti arrivare a migliaia, a Damasco, mi tornavano in mente certe pagine dell'Esodo. Caldei, assiri, siro-ortodossi e siro-cattolici in fuga, il vuoto dietro le spalle, il vuoto davanti a sé. Un po' di sicurezza la trovano, certo, ma quale futuro?

Quali tra le opere che ha potuto leggere varrebbe la pena di tradurre in Occidente?

La biblioteca patristica siriaca è ricca, dai testi cristologici, evangelici, spirituali alle opere di teologia nate in greco, ma preservate solo in traduzione siriaca. Manoscritti che a Costantinopoli sarebbero stati dati alle fiamme venivano tradotti e messi in salvo a Edessa. Infine è una letteratura che prolunga la propria fecondità nella lingua araba. Non si tratta solo di un adattamento linguistico, ma di ricomprendersi e riproporsi, come cristiani, teologi, in un contesto del tutto nuovo, quello filmico.
Ore 16, inizia il vespro, cantato, in tono retto, dalla più giovane delle sorelle, entrata a sedici anni, a seguito della sorella maggiore, "di latte". Ignazio ricorda che l'incoraggiamento alla bellezza del canto liturgico ci viene proprio da Efrem il Siro, proclamato dottore della Chiesa da Benedetto xv nel 1920. Un gran Padre del iv secolo, amato in tutte le Chiese, campione ineguagliabile di quel filone della teologia in canto, che ha mirabilmente saputo fondere teologia e poesia.

Da Monteveglio a Damasco dunque il viaggio non è così lungo. I volti, i luoghi, i colori di quella città, di quelle terre si presentano familiari, nelle vivide descrizioni di questo frate innamorato d'Oriente.

Ricordo gli studenti che facevano la fila, in un aprile di tre anni fa, per farmi le condoglianze dopo la morte di Giovanni Paolo ii, nel loro modo solenne e tradizionale. Ricordo un uomo seduto per terra, in una strada vicino al Museo Nazionale, una mattina di gran freddo. Tirava fuori da un rozzo sacco di tela delle saponette, gliene compro un paio, pochi spiccioli, chiedendogli se hanno un buon profumo. "Di paradiso!". Scherzo: "Sicuro che in paradiso non sentiremo di meglio?". È come una scintilla che lo accende: mi parla del paradiso con tale trasporto e dolcezza che sembra rianimato, rinvigorito. È la speranza del povero.

Il dialogo sembra parola meno problematica, quando da noi è frutto di tatticismi e tensioni continue. E pure non può eludere la certezza di un'identità.

Dialogo è ascolto fine e competente, che sappia porre domande che inducono alla riflessione. C'è poi il dialogo della vita, la testimonianza, che ha la più grande presa sui cuori. Quanto al dialogo in campo religioso l'esperienza di Damasco mi dice che è possibile avere un vero scambio, ben consapevoli però di confini invalicabili: non posso in alcun modo attenuare la mia fede nella Trinità, nell'Incarnazione, ad esempio, per cercare di venir incontro al mio interlocutore, per allargare il terreno comune.

Abbiamo responsabilità culturali, oltreché politiche, per le lacerazioni che per primi soffriamo nei rapporti con l'islam?

Tra il xix e il xx secolo era emersa una corrente di riformismo religioso, a partire da uomini che avevano contatti con l'Occidente, che avevano studiato a Parigi e a Londra, sinceri ammiratori della nostra cultura. Sul piano politico il progetto del nazionalismo arabo si esplicitava nel famoso motto "La religione è di Dio, la patria è di tutti". La dignità di ogni cittadino insomma non era più definita dalla confessione religiosa. I cristiani potevano così essere attori di quel progetto che lasciava sperare in un futuro democratico per l'intera area. Oggi queste due prospettive sono implose: dal punto di vista religioso, è cresciuto il fondamentalismo, dal punto di vista politico prevalgono tendenze autoritarie. E l'Occidente ha lavorato molto per questa implosione, direttamente e indirettamente. All'enunciazione di grandi principi di civiltà corrisponde, di norma, una prassi politica ed economica profondamente contraddittoria. L'ambiguità di questa doppiezza è l'immagine dell'Occidente più diffusa tra la gente ed è percepita nel modo più amaro proprio da quegli intellettuali, una pattuglia sempre più ristretta, che sono stati educati guardando all'Occidente come a un grande faro di civiltà. Tra loro ho tanti amici. Tocca mantenere i legami, confortare in quest'amicizia: i contatti proseguono, per posta elettronica, attraverso le letture comuni, ma anche l'ascolto della stessa musica, l'esercizio della preghiera nella stessa lingua. Con la speranza di tornare a Damasco, se Dio vorrà. Damasco è un luogo ideale per il rapporto con l'islam e con il mondo intellettuale arabo. Anche la nostra Chiesa dovrebbe servirsene di più come porta di accesso al vicino Oriente, magari proprio a partire dall'Anno paolino di prossima apertura. Il Paolo cristiano non è forse nato a Damasco?

(©L'Osservatore Romano - 21 giugno 2008)

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