25 giugno 2008

"Caso Orlandi-Marcinkus": lo speciale di Avvenire


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IL CASO ORLANDI

«Contro monsignor Marcinkus accuse senza fondamento»

La Santa Sede interviene dopo le ultime «rivelazioni»

Padre Lombardi: «Non si vuole in alcun modo interferire con i compiti della magistratura nella rigorosa verifica dei fatti» Nel mirino gli attacchi «infamanti» nei confronti del prelato, «morto da tempo»

Tra le incongruenze emerse nel racconto della compagna del boss della Magliana, vi è quella sulla residenza del presule: era in via della Nocetta e non in via di Porta Angelica


DA ROMA SALVATORE MAZZA

Accuse «infamanti» e «sen­za fondamento» quelle rie­merse in queste ultime o­re contro monsignor Paul Mar­cinkus, «morto da tempo e impos­sibilitato e difendersi » . E, per di più, rilanciate secondo « modi di informazione» che appaiono «più debitori al sensazionalismo che al­le esigenze della serietà e dell’eti­ca professionale». Parole secche, e inequivocabili, quelle di padre Federico Lombar­di.
Con le quali, nella tarda matti­nata di ieri, il direttore della Sala Stampa vaticana ha commentato la vicenda che, sulla scorta delle re­centi dichiarazioni di una 'super­testimone', ampiamente riprese dai giornali e dall’ultima puntata di Chi l’ha visto andata in onda lu­nedì sera, identifica nello scom­parso presidente dello Ior addirit­tura il ' mandante' dell’omicidio di Emanuela Orlandi, il quale sa­rebbe stato materialmente com­piuto da elementi della ' Banda della Magliana'.
Lombardi, nell’esprimere solida­rietà alla famiglia Orlandi, non può far a meno di rilevare il «valore e­stremamente dubbio» della nuova testimonianza, pur ribadendo che «non si vuole in alcun modo inter­ferire con i compiti della magistra­tura nella sua doverosa verifica ri­gorosa di fatti e responsabilità » . Dubbi in effetti sottolineati, anche se con evidenza diversa, da tutti i media che hanno riportato questa storia, ma senza tuttavia impedire – come successo nel corso della puntata di Chi l’ha visto? – che sul­la base delle nuove presunte 'rive­lazioni' venissero ascoltate chiose del tipo '...questa è la prova prova­ta dei rapporti della Banda della Magliana con una parte del clero romano', o anche '... (si ritorna al­la) pista interna vaticana, che por­tava direttamente a Marcinkus o comunque a un alto prelato vati­cano'.
Le incongruenze, nelle dichiara­zioni della cosiddetta supertestimone (già a­mante non pentita di u­no dei boss della fami­gerata banda, Enrico ' Renatino' De Pedis) sono diverse. La più macroscopica è quella che accosterebbe l’oc­cultamente del cadave­re di Emanuela Orlandi a quello di Domenico Nicitra, il bambino di 11 anni, figlio di uno degli imputati al processo per i delitti commessi dalla banda romana. Fatti però separati da ben dieci an­ni: Emanuela scompare nel 1983, il piccolo Domenico nel 1993. Ma ve ne sono altre, affatto seconda­rie, che certamente i magistrati sta­ranno già valutando. A comincia­re dal fatto che la stessa testimone parla delle sue visite («...in totale quattro o cinque volte, tre-quattro volte») all’abitazione di Marcinkus «in via di Porta Angelica», mentre il presule abitava in via della No­cetta ( al numero 62); e che all’e­poca del rapimento della quindi­cenne Orlandi, avvenuto il 22 giu­gno, il presule americano era sta­to di fatto già estromesso dalla ge­stione dell’Istituto per le Opere di Religione ( anche se tutte le cari­che, compresa la sua, sarebbero ri­maste ' congelate' fino alla rifor­ma del 1989), in quanto dal di­cembre precedente era al lavoro la Commissione mista italiano-vati­cana incaricata di accertare il rea­le coinvolgimento dello Ior nel crack del Banco Ambrosiano. Os­sia si trovava in una condizione in cui 'ordinare' il sequestro della ra­gazza a fine di ricatto sarebbe sta­ta, se non altro, una cosa del tutto priva di senso, non avendo più Marcinkus alcun controllo sulla si­tuazione.
Altra storia riesumata a sproposi­to nell’occasione, tanto per raffor­zare l’idea dei 'legami forti' di De Pedis con gli ' ambienti ecclesia­stici', è quella della sepoltura nel­la chiesa di Sant’Apollinare dell’e­sponente della Banda della Ma­gliana. Una vicenda che già nel 2005 Chi l’ha visto?, sulla base di una telefonata anonima aveva col­legato alla sparizione di Emanue­la Orlandi, e puntualmente ripro­posta nella puntata di lunedì sera: un invito ad approfondire il «...fa­vore che Renatino fece al cardinal Poletti» , diceva la voce al telefono. «Quale favore? – chiosava lunedì la conduttrice – Questo è più com­plicato...».
Un sospetto gettato lì, e lasciato senza risposta per tutta la punta­ta. Soprattutto, accennando solo in modo sfuggevole a fine puntata a quanto dichiarato ufficialmente il 3 ottobre del 2005 dagli «attuali responsabili del Vicariato» .
«Pur comprendendo che tale sepoltura possa sollevare notevoli perples­sità – recitava quel comunicato – (i responsabili attuali) devono preci­sare di essere venuti a conoscenza di essa solamente dopo la norte del Card. Ugo Poletti (cardinale vicario all’epoca dei fatti, ndr), che l’auto­rizzò, e di non possedere altre informazioni merito...». E lo stesso comunicato concludeva affer­mando chiaramente che, mentre «appare infondato qualsiasi colle­gamento tra la scomparsa di Ema­nuela Orlandi, che ha avuto luogo il 22 giugno del 1983, e la sepoltu­ra di Enrico De Pedis in S. Apolli­nare, avvenuta oltre sei anni do­po », lo stesso Vicariato «comunque per parte sua non si oppone a e­ventuali accertamenti in merito». Accertamenti fino a questo mo­mento mai richiesti dalla magi­stratura.

© Copyright Avvenire, 25 giugno 2008

Venticinque anni di misteri

MILANO. Sono le 19 di mercoledì 22 giugno 1983, quando Emanuela Orlandi scompare: si apre allora uno dei casi più misteriosi della storia della Repubblica. L’ultima volta viene avvistata davanti al Senato. In pochi giorni, i manifesti con la foto sorridente della quindicenne, cittadina vaticana e figlia di un commesso della prefettura della Casa pontificia, tappezzano tutta Roma.
«È alta un metro e sessanta – recitano i manifesti – Al momento della scomparsa aveva capelli lunghi, neri e lisci, indossava pantaloni jeans, camicia bianca e scarpe da ginnastica » . Il volto della ragazza fa in poche ore il giro del mondo e riempie le prime pagine dei giornali.
Tre giorni dopo la scomparsa, un telefonista afferma di averla incontrata a Campo de’ Fiori. Il 3 luglio arriva il primo appello di Papa Giovanni Paolo II, che chiede la liberazione di Emanuela Orlandi. In quelle settimane, si susseguono telefonate anonime dalla dubbia veridicità: in una di queste una persona che rimane sconosciuta chiede la liberazione di Alì Agca, l’attentatore di Papa Wojtyla.
In tutti questi anni, la famiglia mantiene sempre un atteggiamento di speranza e di attesa per un possibile ritrovamento della giovane, mentre a vario titolo vengono chiamati in causa soggetti come l’Istituto per le opere di religione e il Banco ambrosiano. In quegli anni si apre anche un’inchiesta condotta dal giudice Adele Rando, che verrà chiusa definitivamente il 19 dicembre 1997 con la dichiarazione dei magistrati, secondo cui va ritenuta falsa la pista politico­terroristica.
Alla scomparsa di Emanuela verrà anche collegata la sparizione di un’altra adolescente: si tratta di Mirella Gregori anche lei quindicenne, scomparsa il 7 maggio 1983 da Roma e mai più ritrovata. Il caso Emanuela Orlandi si è riaperto nei giorni scorsi, in occasione del venticinquesimo anniversario, quando dall’ex compagna di un boss della banda della Magliana arrivano nuove « rivelazioni » .

© Copyright Avvenire, 25 giugno 2008

Il legale di famiglia: la superteste è inattendibile La sorella: una ricostruzione da fantascienza

Molte perplessità dopo le esternazioni di Sabrina Minardi E intanto la Procura valuta la possibilità di ispezionare la tomba del suo ex convivente ucciso nel 1990 a Roma

DA ROMA

«Allo stato attuale delle cose non credo si possa attribuire attendibilità a queste novità». Il legale della famiglia Orlandi, avvocato Massimo Krogh, commenta così le nuove, presunte 'rivelazioni' sulla scomparsa di Emanuela. «Sono notizie che devono essere verificate dalla magistratura» spiega dal suo studio l’avvocato, che dice di non immaginare «cosa vorranno disporre gli inquirenti».
Una delle ipotesi che circolerebbero a piazzale Clodio sarebbe quella di ispezionare la tomba di Enrico De Pedis, detto 'Renatino', uno dei boss della banda della Magliana, ucciso nel 1990 e sepolto nella chiesa romana di Sant’Apolllinare.
Proprio la sua convivente, Sabrina Minardi, interrogata dalla magistratura ha dichiarato a raffica sulla misteriosa scomparsa del 1983. La decisione di parlare dopo 25 anni l’avrebbe maturata sentendo in tivù a Chi l’ha visto la telefonata di Antonio Mancini, un pentito della banda. Dopo avere tirato in ballo addirittura lo scomparso 'cardinale' Paul Marcinkus come mandante del sequestro, materialmente eseguito a suo dire dalla banda della Magliana, l’ultima dichiarazione della teste indica in alcuni documenti visti dal padre di Emanuela la causa della scomparsa. Secondo la Minardi, dunque, Ercole Orlandi, dipendente del Governatorato vaticano, avrebbe avuto per le mani non meglio precisate carte che dovevano restare segrete: «Una cosa fantascientifica – commenta la sorella di Emanuela, Natalina Orlandi – visto che mio padre ha combattuto per anni per la figlia». Sabrina Minardi riferisce confidenze che a suo tempo il boss De Pedis le avrebbe fatto «sotto effetto della cocaina». Ora al vaglio degli inquirenti romani ci sarebbe l’ipotesi di riesumare la salma di 'Renatino', un’ispezione sollecitata in passato dalla famiglia Orlandi così come da un’anonima telefonata alla stessa trasmissione di Rai3, in cui un misterioso interlocutore diceva che per scoprire la verità sulla ragazza bisognava andare a vedere in quella tomba. Per il rettore della chiesa di Sant’Apollinare, don Pedro Huibordo, «le valutazioni competono ai magistrati, al Vicariato di Roma e alle famiglie coinvolte.
Io – dice il sacerdote – non avrei certo niente da ridire se la decisione venisse presa in maniera regolare da queste istituzioni». Otello Lupacchini, il pm che indagò sulla scomparsa, al Tg1 dichiara, a proposito delle presunte responsabilità di monsignor Marcinkus nel rapimento, che «se c’era qualcuno che poteva essere ricattato questi era il cardinale Marcinkus», perché - ipotizza il magistrato - la criminalità attraverso il sequestro poteva voler recuperare capitali affidati a Roberto Calvi del Banco Ambrosiano, in contatto con lo Ior. Sul clamore mediatico si fa sentire il senatore a vita Francesco Cossiga: «Lasciamo in pace questa povera ragazza. Io manderei in galera tutti gli autori di questa rivelazione: si cerca di svelare questo mistero infangando la memoria di questa ragazza, la sua famiglia, Marcinkus e la Santa Sede».
(L.Liv.)

© Copyright Avvenire, 25 giugno 2008

L’indice di Mirella Poggialini

«Chi l’ha visto?» sceglie di raccontare il dramma mischiando ricordi incerti con toni da buon salotto

Puntata « speciale » quella di lunedì sera su Raitre per « Chi l’ha visto? » , de­dicata a nuove rivelazioni sul triste caso di Emanuela Orlan­di, a venticinque anni dalla sua scomparsa. Ricordata dalla fa­miglia con l’affissione dei « vec­chi » manifesti in cui la sua fac­cia è rimasta quella serena di una quindicenne: la cui vicenda, raccontata confusamente e con parecchie lacune e discor­danze da una donna in crisi, allora complice di un capobanda della trista compagine della Ma­gliana, è apparsa cupa e densa di enigmi, cul­minando con una morte atroce e la dissoluzio­ne del cadavere in una betoniera. Parole confu­se, buio drammatizzato per nascondere il viso ora gonfio della « testimone » , brani d’epoca e docufilm per riprendere i momenti nodali del­la ricerca vana: nella quale appare dimenticata l’altra figura di ragazzina svanita quasi con­temporaneamente nel nulla, Mirella Gregori, che è stata oscurata, pur nell’identità della sor­te, dalla sventura misteriosa che ha colpito E­manuela, figlia di un dipendente del Vaticano. Commovente, invece, la testimonianza som­messa e fervida della madre della ragazza, che ancora spera in un ritorno e immagina sempre bambina quella che ora sarebbe una donna di quarant’anni, « viva lontano » . Le tre sorelle e il fratello di Emanuela e la sorella di Mirella sono intervenute con i loro sorrisi coraggiosi, men­tre si intrecciavano testimonianze incerte, illa­zioni accennate e sospetti atroci, in cui le date venivano confuse ma i dati apparivano tragici. L’ombra del complotto ha sovrastato una con­versazione che, pur inquietante, Federica Scia­relli ha condotto con misura, mentre le imma­gini oscurate facevano intravedere appena la fi­gura della donna che raccontava con tono qua­si salottiero gli orrori di un mondo malato, cui l’ombra di malvagità e corruzione aggiungeva l’inquietudine di domande senza risposta.

© Copyright Avvenire, 25 giugno 2008

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Di certo ci sono due cosine che non quadrano: un uomo estremamente potente a capo di una banca estremamente potente viene coinvolto nel crack dell'ambrosiano e caso calvi. Lo Stato italiano non può portare avanti le indagini in base ai patti lateranensi e di queste accuse non si sa più nulla. Però, l'uomo potente a capo della banca potente, finisce a fare il parroco anonimo in un paesino degli USA.
Che c'entri o meno con l'omicidio orlandi, è ridicolo il modo di agire della chiesa: quando avrebbe potuto difendersi da vivo, le indagini sono state bloccate. Ora che non può difendersi perchè è morto, non bisogna parlarne male!

Anonimo ha detto...

Credo che le autorità ecclesiastiche debbano rispondere semplicemente alla domanda "Perchè in sant'apollinare vi è seppellito un criminale?". Ovviamente la risposta "era un benefattore" non è seria nè credibile.