28 giugno 2008

Card. Vallini: «Gesù sia sempre più amato e conosciuto dai romani» (Cardinale)


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intervista

AGOSTINO VALLINI

Parla il nuovo cardinale vicario della diocesi del Papa. I punti di riferimento nella sua formazione spirituale L’esperienza del Concilio E la speranza più forte «Non ho e non posso avere progetti personali Sono il vicario del Papa. Quindi accoglierò la volontà e le indicazioni del Santo Padre e cercherò di contribuire affinché si possano realizzare»

«Gesù sia sempre più amato e conosciuto dai romani»

DA ROMA GIANNI CARDINALE

Ieri Benedetto XVI ha nominato il porporato Agostino Vallini suo cardinale vicario per la diocesi di Roma al posto di Camillo Ruini.
Vallini, che dal 2004 era prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, è stato nominato anche arciprete della Basilica di San Giovanni in Laterano e Gran cancelliere della Pontificia Università Lateranense. Il neo­vicario ha accettato di rispondere ad alcune domande di Avvenire.

Eminenza, quando è venuto a conoscenza della nomina?

Come lei sa, le voci giornalistiche sono cominciate tanto tempo fa. Il mio nome veniva fatto insieme a quello di altri. Posso dire di aver saputo in modo fondato di questa nomina il 21 giugno scorso quando sono stato ricevuto dal Santo Padre Benedetto XVI in una udienza concessami per un’occasione molto importante.

Quale?

Sono stato chiamato, perché il San­to Padre ha approvato la nuova Lex propria della Segnatura Apostolica, riformata alla luce del nuovo Codi­ce di Diritto canonico, della Costi­tuzione apostolica Pastor bonus e del nuovo Regolamento generale della Curia Romana. Questa nuova legge, che disciplina la procedura del Supremo Tribunale, era stata va­rata definitivamente dalla plenaria del nostro dicastero nel novembre scorso ed io l’avevo consegnata al Santo Padre perché, dopo attento e­same, la approvasse in vista della promulgazione. Cosa che è avvenu­ta appunto il 21 giugno. In questa circostanza il Papa mi ha comuni­cato che aveva deciso di nominarmi suo vicario per la diocesi di Roma.

Davvero lei era stato titubante nell’accettare l’incarico?

Mi sono lasciato guidare da un cri­terio di fede. La preoccupazione per un ufficio così impegnativo cer­tamente la avevo. Perché le voci giornalistiche, che per lo più mi ve­nivano riferite, facevano pensare anche me. Ma nel mio animo c’è sempre stata una disponibilità po­sitiva, perché per noi sacerdoti l’ob­bedienza è anzitutto un fatto di fe­de e di cuore. E io sono un vescovo che ha promesso fedeltà al Papa e un cardinale che ha giurato obbe­dienza
usque ad effusionem sangui­nis. Quindi mi sono subito predi­sposto ad accettare la proposta, se mi veniva fatta da chi me la doveva fare.

Qual è stato nella sua vita il primo contatto con la città di Roma?

Il mio primo contatto con Roma risale al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. All’epoca abitavo nel paese di mia madre, a Corchiano nel Viterbese, perché il mio babbo maresciallo dei carabiniere era prigioniero in Germania. La mamma con grandi sacrifici inviò mia sorella più grande a fare le scuole medie a Roma, dalle Suore Maestre Pie Venerini, che si trovavano in via Gioacchino Belli 31. E allora venivamo spesso a trovarla. Ricordo poi particolarmente l’Anno Santo del 1950, quando venimmo in pellegrinaggio per una udienza con Pio XII, in Piazza San Pietro.
Ricordo che era una giornata molto piovosa, ma la gioia di incontrare il Papa superò ogni difficoltà.

La sua prima permanenza stabile a Roma risale al periodo 1964-1969.
Dopo essere stato ordinato sacerdote, venne inviato dall’arcivescovo di Napoli a studiare alla Pontificia Università Lateranense
.

Si, è vero. Era il tempo del Concilio Vaticano II. Si viveva con entusiasmo quella atmosfera. Lo ricordo come un momento molto bello e ricco della mia vita. Ho vissuto il Concilio con grande passione. L’ho seguito, ne ho studiato gli atti. Insomma il Concilio Vaticano II è stato il grande orientamento del mio sacerdozio.

In quel periodo lei entra anche in contatto con il gruppo laicale «Seguimi», una realtà ecclesiale promettente, ma – a dire il vero – poco conosciuta. Di cosa si tratta?

Venni in contatto con questa associazione di fedeli perché il cofondatore era un mio professore, il claretiano spagnolo padre Anastasio Gutierrez, grande giurista e grande sacerdote. Era ed è una realtà nata per aiutare tutti i fedeli, laici ma anche sacerdoti, a sviluppare la propria vocazione. E io vi ho aderito per essere aiutato spiritualmente nel vivere pienamente la mia vocazione di sacerdote diocesano.

Sempre in quel periodo tra i suoi maestri, oltre al padre Gutierrez, ci sono anche due laici come Guido Gonella e Gabrio Lombardi.

Lombardi insegnava istituzioni di diritto romano e Gonella filosofia del diritto. Era un periodo di grande fervore ecclesiale e culturale ed era appassionante seguire le lezioni di queste due figure di cui ho un grande ricordo, come professori, ma anche come uomini e come cristiani.

Ma Gonella e Lombardi erano anche impegnati politicamente. Di lei invece si scrive che sia apolitico.

Non è esatto. Anzitutto perché sono un cittadino e come tale sono presente nella vita sociale e dunque politica, dando però alla politica il significato che le dava Paolo VI: la più alta forma di carità sociale.
Quindi non sono un apolitico, non mi sento e non voglio esserlo. Altra cosa è l’attività più propriamente partitica, che è compito eminentemente dei cristiani laici, chiamati a gestire le modalità e le forme concrete della realizzazione del bene comune nella società.

Nel 1971, dopo due anni passati a Napoli, lei ritorna a Roma, chiamato dall’allora monsignor Pietro Pavan, a insegnare diritto pubblico ecclesiastico alla Lateranense. Dove rimane fino al 1978. Furono anni caldi, sia politicamente che ecclesialmente.

In effetti erano tempi difficili.

Ricorda qualche avvenimento particolare ?

Ricordo ancora con commozione il giorno del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione della scorta. Quella mattina alla Lateranense ero impegnato in un seminario di studio sul diritto alla libertà religiosa e l’articolo 7 della dichiarazione di Helsinki. Tra i relatori c’era anche l’allora monsignore e oggi cardinale Achille Silvestrini. Nell’intervallo ci raggiunse la drammatica notizia.
Erano anni con avvenimenti che facevano molto soffrire.

Erano anche gli anni turbolenti del dopo-Concilio.

Come ho avuto di dire alcuni anni fa in una intervista a 30Giorni,
in quel periodo, che non è stato sempre sereno anche a livello ecclesiastico, il mio punto di riferimento è stato costantemente Paolo VI e il suo magistero. La mia visione del Concilio è stata quella di papa Montini, una visione, per usare la terminologia adoperata da papa Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, basata sull’ «ermeneutica della riforma» e non certo su quella «della discontinuità e della rottura».

Nel 1976 a Roma ci fu il Convegno ecclesiale intitolato «Evangelizzazione e promozione umana». Che ricordo ne ha?

Vi partecipai volentieri. Ne ho un buon ricordo. Fu un momento di grande fervore ecclesiale, molto interessante. Anche se ha avuto degli aspetti che nel corso del tempo hanno dovuto essere approfonditi ulteriormente.

La sua terza permanenza continuata a Roma risale infine al 2004, quando, dopo essere stato ausiliare di Napoli e vescovo di Albano, è stato nominato prefetto della Segnatura Apostolica. Che immagine ha della città e della diocesi di Roma in questi ultimi anni?

Per la verità conosco molto poco, perché il mio ufficio mi ha impegnato fino ad oggi in una vita quasi certosina di lavoro e di studio, il che in qualche modo mi ha estraniato dal contesto in cui pure sono vissuto. Mi impegnerò a conoscere quanto prima la realtà della diocesi di Roma.

C’è qualche figura del clero romano che la ispira particolarmente?

Ho un ricordo moto bello di monsignor Roberto Masi, rettore del Collegio Sant’Apollinare, che mi ospitò quando venni a Roma nel 1964. Era un teologo, ma soprattutto un grande sacerdote, che ci guidava con la testimonianza della vita, prima che con i suoi opportuni insegnamenti.

Ha dei progetti per questo nuovo incarico?

Non ho e non posso avere progetti personali. Sono il vicario del Papa.
Quindi accoglierò la volontà e le indicazioni del Santo Padre e, insieme al vicegerente, ai vescovi ausiliari, ai parroci e a tutti gli operatori pastorali, cercherò di contribuire affinché si possano realizzare. Con la speranza che Gesù, il Signore, sia sempre più conosciuto e amato dai romani.

Dopo un lungo periodo lei sarà il primo cardinale vicario non presidente della Cei.

Mi fa molto piacere che sia così, perché mi troverei con molta preoccupazione a dovermi occupare di una realtà ancora più grande. Credo che la diocesi di Roma meriti che mi dedichi a tempo pieno ad essa senza altre incombenze.

Eminenza, una domanda personale. Lei, come ha già accennato, è figlio di un carabiniere. Che ricordo e quale influenza ha avuto su di lei suo padre?

È stato un grande esempio di vita.
Era di umili origini, aveva un grande senso della giustizia e per questo, come si dice, non guardava in faccia a nessuno; ma insieme aveva un grande cuore ed è stata una persona che ha speso molti anni della sua vita, dopo il servizio, a favore dei poveri di Napoli, nel quartiere in cui abitavamo. Debbo confessare che ogni volta che mi trovo dinanzi ad una scelta da compiere la prima domanda che mi pongo è: ma il babbo cosa farebbe al posto mio?

© Copyright Avvenire, 28 giugno 2008

1 commento:

gemma ha detto...

con "la speranza che Gesù, il Signore, sia sempre più conosciuto e amato dai romani", anche grazie a lui,
benarrivato e buon lavoro al card. Vallini