29 giugno 2008

Il Pontefice e il Patriarca: San Paolo ci guida all'unità (Bobbio)


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Alberto Bobbio

Città del Vaticano

Accendono il fuoco nel braciere in mezzo al portico della Basilica di San Paolo fuori le Mura. Qui è sepolto l'Apostolo delle genti e qui fino al 28 giugno 2009 quella fiamma arderà nel segno dell'unità della Chiesa. Benedetto XVI, il Papa vescovo di Roma, e Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, primo tra i patriarchi delle Chiese ortodosse, hanno aperto ieri sera l'Anno Paolino, che entrambi hanno decretato.
Accanto a loro vescovi e cardinali cattolici, metropoliti e archimandriti di tutte le Chiese ortodosse e il rappresentante del primate anglicano, l'arcivescovo di Canterbury, la Chiesa protestante più vicina a Roma. Entrano nella basilica per recitare i vespri della sera e per celebrare, dirà alla fine Bartolomeo I, «un uomo che stabilì un connubio tra lingua greca e mentalità romana, spogliando la cristianità, una volta per tutte, da ogni ristrettezza mentale e formando per sempre il fondamento cattolico della Chiesa ecumenica».
Sono parole che possono sorprendere, pronunciate dal più importante tra i patriarchi ortodossi. Ma sono parole impegnative perché, all'inizio dell'Anno Paolino, il patriarca di Costantinopoli riconosce le radici universali, quindi cattoliche, secondo l'insegnamento di Paolo, su cui si può fondare il cammino per riportare le Chiese cristiane alla piena unità. Restano discussioni teologiche e difficoltà storiche, ma l'eredità di Paolo di Tarso, osserva il Papa nella sua omelia, può «riportarci insieme da tutte le divisioni».
La scommessa di Benedetto XVI e di Bartolomeo I è ambiziosa. La vicenda di Paolo può aiutare, perché lui, ha spiegato papa Ratzinger ieri sera, non era uno per il quale la fede è «una teoria, un'opinione personale su Dio e sul mondo», ma la sua fede «è l'impatto dell'amore di Dio sul suo cuore» e quando «parla e agisce» lo fa «mosso dalla responsabilità dell'amore». Sulla «responsabilità dell'amore» si può ricostruire l'unità delle Chiese cristiane? Questa è la strada indicata ieri dal Papa e condivisa da Bartolomeo I. Roma e Costantinopoli sono d'accordo sullo smarrimento che «globalizzazione, una certa cultura edonistica e relativista» provocano all'«esistenza stessa della verità». Ieri mattina, ricevendo in Vaticano il Patriarca ecumenico, lo ha detto con chiarezza il Papa sapendo di trovare sintonia con l'interlocutore. Il punto centrale è la testimonianza di Cristo da parte della Chiesa.

E ieri pomeriggio a San Paolo papa Ratzinger proprio su questo punto ha insistito con particolare vigore, spiegando che la Chiesa non è «un'associazione che vuole promuovere una certa causa» e che Cristo non si è «ritirato in cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci, che mandano avanti la sua causa».

La Chiesa è la «persona di Gesù Cristo». E Gesù lo dice proprio a Paolo sulla strada di Damasco: «Tu perseguiti me». Sta qui il fondamento, ha spiegato ieri sera il Papa teologo, dell'intera dottrina sulla «Chiesa come corpo di Cristo».

Tutto il resto, anche le divisioni teologiche e dottrinali, contano poco se si parte dalla questione centrale della verità, per cui Paolo ha lottato. Ha detto il Papa: «Non ha cercato un'armonia superficiale». In effetti, ha ammesso, «sul suo cammino non sono mancate le dispute», essendo lui uomo che sapeva «maneggiare la spada della parola». Eppure non lo ha fatto in «vista di un successo», ma solo perché per lui la verità meritava «lotta, persecuzione e sofferenza».

Per Benedetto XVI l'esempio di Paolo resta attuale e vale per tutti i cristiani: «In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza». Anzi il Papa va oltre e ammonisce che «chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontano da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza». L'esempio è ancora una volta Cristo, morto addirittura per amore degli uomini. Si tratta di un insegnamento che viene alla luce, ha rilevato, «da tutte le Lettere di San Paolo» e proprio la sua sofferenza lo rende «credibile come maestro di verità, che non cerca il proprio tornaconto, la propria gloria, l'appagamento personale, ma si impegna per colui che ci ha amato».
Joseph Ratzinger, anche in occasione dell'apertura dell'Anno Paolino, continua ad intrecciare il filo rosso del pontificato, quello su cui è possibile anche ripristinare l'unità delle Chiese: l'amore.

© Copyright Eco di Bergamo, 29 giugno 2008

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