27 settembre 2008
Persecuzioni, i vescovi indiani: «Il governo deve fare giustizia» (Alfieri)
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Persecuzioni, i vescovi indiani: «Il governo deve fare giustizia»
«Azioni forti contro i radicali indù autori delle violenze anticristiane»
DI PAOLO M. ALFIERI
Prendono posizione collegialmente i vescovi indiani. Perché dopo settimane di continue violenze contro le comunità cristiane in almeno cinque Stati del subcontinente la propria voce suoni più forte. Per richiedere giustizia per le decine di persone uccise, per le centinaia di case e le innumerevoli chiese devastate dal fanatismo induista dapprima nell’Orissa e poi nel Karnataka, Kerala, Andhra Pradesh, Madhya Pradesh, Chattisgarh. Le misure prese dalle autorità, sostiene la Conferenza episcopale indiana in una lettera firmata dal cardinale Varkey Vithayathil, sono state finora inefficaci. E il Paese che si vanta di essere la più grande democrazia al mondo, la patria del mahatma Gandhi, non può più restare insensibile dinanzi all’odio interreligioso mascherato da finte accuse di conversioni forzate. Nella nota, riportata da Asianews, i vescovi chiedono di salvaguardare la civiltà indiana della tolleranza e garantire l’opera dei cristiani a favore dei poveri e dei fuori casta e per la riconciliazione sociale. «Persone innocenti sono state assassinate – si legge nella dichiarazione – donne molestate, chiese e luoghi religiosi dissacrati, distrutti e bruciati, case dei cristiani sono state distrutte a Kandhamal e in altri distretti dell’Orissa. Il governo dello Stato ha continuato a dare assicurazioni che tutto era nella normalità e che la sicurezza era perfetta. Ma quando sono state fatte delle critiche, esso si è scusato dicendo di essere incapace a controllare le folle che vandalizzavano proprietà ecclesiali e attaccavano personale religioso e popolazione cristiana». Era «evidente », secondo i vescovi indiani, che «gli autori di queste azioni malvagie erano addestrati agenti dell’attivismo radicale Hindutva e si muovevano sotto istruzione ed eseguendo un piano preordinato di distruzione». «Anche se la comunità cristiana in India stava agonizzando sotto questi dolorosissimi eventi, gli attacchi e il vandalismo si sono diffusi in Karnataka, Kerala, Andhra Pradesh Madhya Pradesh e Chattisgarh». La Conferenza episcopale, dopo aver sottolineato il proprio disappunto per il poco efficace intervento delle autorità, non esita a esprimere, con rispetto ma anche con la necessaria fermezza, alcune richieste. Chiedono, i vescovi, «un’azione più forte e stringente» contro gli autori delle violenze, «che violano i diritti umani e terrorizzano persone innocenti». Chi ha sbagliato, puntualizzano i religiosi, deve essere sottoposto ad azioni legali, mentre le vittime e le istituzioni colpite devono essere risarcite con «un adeguato compenso».
C’è poi la richiesta dell’apertura di un’indagine da parte del Centro di investigazione centrale «sugli incidenti dell’Orissa e il loro legame con gli attacchi alle comunità cristiane in altri Stati». Ancora due giorni fa, nell’Orissa, circa un centinaio di case e alcune chiese sono state bruciate e danneggiate nel distretto di Kandhamal, già teatro di agguati simili. E nemmeno il dispiegamento di polizia e di forze speciali riesce a far fronte alle folle di radicali indù. È necessario, per i vescovi, bandire «tutti i gruppi fondamentalisti che addestrano terroristi sotto lo striscione dell’Hindutva o altri nomi». Vanno poi allontanati quei leader «che premono sulle differenze etniche, che ispirano violenza organizzata contro persone e comunità, che usano la religione per motivi politici», mentre la polizia sia pronta ad intervenire, «senza pregiudizio», davanti a persone che domandano giustizia.
I leader religiosi sottolineano inoltre che le accuse di conversioni forzate indirizzate alle comunità cristiane «sono solo una strategia che nasconde interessi a negare servizi cristiani per la salute, l’educazione, emancipazione dalla povertà e sviluppo ai gruppi più abbandonati». «La conversione forzata dietro ricompense o con l’inganno – viene puntualmente ribadito – è contro l’insegnamento della Chiesa cattolica».
Secondo la Conferenza episcopale indiana, «la risposta cristiana alla violenza e alla persecuzione può essere espressa in una parola: perdono». Un perdono che però si accompagna alla richiesta di salvaguardia dei diritti. «Se qualcuno sceglie di considerare le sofferenze dei cristiani come una debolezza, si sbaglia», scrivono ancora i vescovi. «Anche i cristiani – sottolinea la nota – sono cittadini di questa grande nazione. Anche noi abbiamo contribuito a plasmare questa civiltà e continuiamo a contribuire molto alla crescita e allo sviluppo di questa nazione». I religiosi ci tengono a ringraziare, infine, la maggioranza degli indiani, che riconosce come «la piccola minoranza cristiana è una comunità che ama la pace, sempre pronta a servire le persone di ogni strato sociale e di ogni religione, specie coloro che sono poveri e bisognosi». Ma bisogna fare qualcosa, e le autorità locali devono essere le prime a muoversi, perché gli episodi delle ultime settimane restino solo un incubo da cancellare in fretta.
© Copyright Avvenire, 27 settembre 2008
MANIFESTAZIONI
CORTEI A NEW DELHI NEL NOME DI GANDHI: BASTA AGGRESSIONI
È ritornata anche in piazza a New Delhi la protesta pacifica dei cristiani contro le violenze dei fondamentalisti indù. Da ieri – infatti – è iniziato un sitin presso il Jantar Mantar, l’osservatorio astronomico della capitale indiana. Durerà sette giorni e si concluderà il 2 ottobre – il giorno dell’anniversario della nascita del mahatma Gandhi – con un corteo che alle due del pomeriggio dal Jantar Matar raggiungerà il Raj Ghat, cioè il memoriale che ricorda il padre della Patria. Nel luogo dove venne cremato il corpo di Gandhi e che tuttora è meta ininterrotta di pellegrinaggio da tutta l’India, i cristiani si recheranno per ricordare il suo messaggio di convivenza.
Tra l’altro – proprio in nome di una proposta avanzata dall’India durante l’Assemblea generale dell’Onu 2007 – il 2 ottobre da quest’anno è la Giornata mondiale della non-violenza. Al Raj Ghat, dunque, i cristiani si recheranno per chiedere che il richiamo all’esempio del mahatma non siano solo parole. Anche alcuni esponenti indù e di altre religioni hanno annunciato la loro partecipazione alla protesta. E oggi – al sit-in – parteciperà anche l’ex premier indiano Deve Gowda. ( G.Ber.)
© Copyright Avvenire, 27 settembre 2008
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