30 maggio 2008

Il Papa: «Dalla fede un contributo per le sfide in Italia e in Europa: famiglia, vita e povertà» (Accornero)


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Il Papa ai vescovi: anche noi non possiamo non dare il nostro apporto a una nuova stagione di progresso e concordia «Dalla fede un contributo per le sfide in Italia e in Europa: famiglia, vita e povertà».
Il 6 giugno Berlusconi in Vaticano

Pier Giuseppe Accornero

Città del Vaticano

«L'Italia ha bisogno di uscire da un periodo difficile», caratterizzato da un affievolirsi del dinamismo economico e sociale, dalla diminuzione della fiducia nel futuro e dalla crescita del senso di insicurezza «per le condizioni di povertà di tante famiglie e dalla tendenza di ciascuno di rinchiudersi nel proprio particolare». In questo contesto «avvertiamo con particolare gioia i segnali di un clima nuovo, più fiducioso e più costruttivo», anche se i problemi etici e sociali restano gravi e insoluti.
È animato da cauto realismo il discorso di Papa Benedetto ai 250 vescovi italiani ricevuti nell'aula del Sinodo. Il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, gli presenta la prima copia della nuova traduzione Cei della Bibbia. Contemporaneamente la Sala Stampa della Santa Sede conferma che il 6 giugno Benedetto XVI riceverà il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

È un discorso ad ampio raggio e molto prudente, dato il rapido evolversi della situazione sociopolitica dell'«amata nazione».

Il «clima nuovo» – ragiona il Papa – è legato «al profilarsi di rapporti più sereni tra le forze politiche e le istituzioni» grazie a «una percezione più viva delle responsabilità comuni per il futuro della nazione». Questa percezione «sembra allargarsi al sentire popolare, al territorio e alle categorie sociali» perché «è diffuso il desiderio di riprendere il cammino, di affrontare e risolvere insieme i problemi più urgenti e gravi, di dare avvio a una nuova stagione di crescita economica, civile e morale». Ma bisogna fare in fretta a sfruttare il «clima nuovo» perché – quasi il Papa ne avverta gli scricchiolii degli ultimi giorni – esso ha urgente bisogno «di consolidarsi e potrebbe presto svanire, se non trovasse riscontro in qualche risultato concreto», come a dire che il consenso popolare che ha proiettato Berlusconi a Palazzo Chigi potrebbe evaporare se l'azione di governo non producesse in fretta frutti positivi. Il clima nuovo «è una risorsa preziosa, che è compito di ciascuno salvaguardare e rafforzare» secondo i diversi ruoli.
Il Vescovo di Roma pensa al compito dei confratelli vescovi: «Non possiamo non dare il nostro specifico contributo affinché l'Italia conosca una stagione di progresso e concordia, mettendo a frutto le energie e gli impulsi che scaturiscono dalla sua grande storia cristiana».
Ma – non si stanca di ripetere – «il problema fondamentale dell'uomo di oggi resta il problema di Dio» e «nessun altro problema umano e sociale potrà essere risolto se Dio non torna al centro della vita». Solo così è possibile «ritrovare una forte e sicura fiducia nella vita e dare consistenza e vigore ai progetti di bene».
Come disse ai vescovi Usa, ripete a quelli italiani: «Nel quadro di una laicità sana e ben compresa, occorre resistere a ogni tendenza a considerare la religione, in particolare il Cristianesimo, un fatto privato: le prospettive che nascono dalla fede possono offrire un contributo fondamentale alla soluzione dei maggiori problemi sociali e morali dell'Italia e dell'Europa».

Sono i problemi di sempre. Attenzione alla famiglia fondata sul matrimonio e «una pastorale adeguata alle sfide che essa deve affrontare»; creare «una cultura favorevole e non ostile alla famiglia e alla vita»; chiedere alle pubbliche istituzioni «una politica coerente e organica che riconosca alla famiglia il ruolo centrale che svolge nella società», specie per «la generazione e l'educazione dei figli. Di tale politica l'Italia ha urgente e grande bisogno».

Collegato alla famiglia «forte e costante deve essere l'impegno per la dignità e la tutela della vita umana in ogni momento e condizione, dal concepimento alla malattia e alla morte naturale».
Infine le grandi povertà, i disagi e le ingiustizie sociali che affliggono l'umanità. «Non possiamo chiudere gli occhi né trattenere la voce» perché le disuguaglianze «richiedono il generoso impegno di tutti, che si allarghi alle persone anche sconosciute», gli immigrati che sono nel bisogno. Tutto «nel rispetto delle leggi» che regolano «l'ordinato svolgersi della vita sociale nello Stato e verso chi giunge dall'esterno».

© Copyright Eco di Bergamo, 30 maggio 2008

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