29 maggio 2008
Mons. Paul Zinghtung Grawng (presidente della Conferenza episcopale del Myanmar): "Una Chiesa in minoranza accanto al popolo in difficoltà"
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A colloquio con monsignor Paul Zinghtung Grawng, presidente della Conferenza episcopale del Myanmar
Una Chiesa in minoranza accanto al popolo in difficoltà
di Nicola Gori
Una Chiesa affidata in larga parte alla responsabilità dei laici. Una minoranza viva e feconda in un Paese a larga maggioranza buddista. Una comunità che cerca di testimoniare il Vangelo in maniera autentica, anche attraverso opere di carità concreta, come per esempio quelle compiute durante la recente tragedia causata dal ciclone che ha colpito alcune regioni del Paese. È il ritratto della Chiesa del Myanmar riproposto al nostro giornale dall'arcivescovo Paul Zinghtung Grawng, presidente della Conferenza episcopale, a Roma in occasione della loro visita ad limina Apostolorum.
La Chiesa nel Myanmar sta vivendo un momento di espansione. Quali sono le speranze concrete per l'evangelizzazione?
Non vi è alcun dubbio che ogni momento sia un'occasione favorevole per evangelizzare. Non dobbiamo dimenticare che l'evangelizzazione è opera di Dio, che vuole che vi partecipiamo. Riteniamo che l'impegno a evangelizzare sia ben accolto da Dio e sostenuto da Lui. Le visite pastorali ai nostri fedeli, la celebrazione delle feste della Chiesa in luoghi in cui sono presenti dei non cattolici, l'educazione e l'assistenza sanitaria, il lavoro per lo sviluppo sono tutte occasioni per diffondere la buona novella. Sono opere che continuiamo a svolgere in silenzio ma in modo costante. La nostra unica speranza è, per il momento, di poter continuare a svolgere la nostra missione con maggiore impegno e con più fiducia nell'azione di Dio.
I laici costituiscono un elemento importante per l'azione missionaria. Come promuovete il loro ruolo?
Certamente i laici vivendo in stretto contatto con le realtà della vita quotidiana, hanno occasione di trasmettere il messaggio del Vangelo. Per questo, negli incontri, nei seminari e nei corsi che organizziamo per loro viene posta grande attenzione all'istruzione e alla formazione. Stiamo anche incominciando a offrire una formazione di base. Si stanno facendo i primi passi per dare vita a strutture consone a questo tipo di formazione, come la scuola per catechisti. Una caratteristica importante nel nostro Paese è che, per necessità, i nostri catechisti e i nostri laici devono assumersi la responsabilità della Chiesa. Imparano così a guidare le comunità sostenuti dai sacerdoti e dai religiosi.
In un Paese a larga maggioranza buddista, come affrontate la sfida del dialogo interreligioso?
Molti dei nostri fedeli vivono fra i buddisti. È possibile instaurare un dialogo con loro, a partire dalla condivisione della vita quotidiana. La sfida per i cattolici è di pregare e di vivere il Vangelo ogni giorno, al fine di poter essere testimoni autentici di Cristo. La presenza dell'apostolato biblico nazionale serve a promuovere l'amore per la Parola di Dio. Vivere conformemente a questa Parola è di grande aiuto nel contesto del dialogo interreligioso. Il dialogo con i seguaci delle religioni tribali è molto più semplice, perché i cattolici hanno una comprensione più profonda di queste tradizioni religiose. Anche qui la testimonianza autentica del Vangelo è una necessità.
L'aumento delle vocazioni sacerdotali è una speranza per la vostra Chiesa locale. Come spiegate il fenomeno?
Siamo profondamente grati a Dio per l'aumento delle vocazioni al sacerdozio. Tuttavia, forse dobbiamo essere più selettivi nell'accettare i candidati perché una delle ragioni per cui i giovani e le loro famiglie scelgono il sacerdozio può inconsciamente essere l'idea di una vita sicura. Nel nostro Paese la vita è piuttosto dura. È per questo che diamo grande importanza nell'utilizzo degli strumenti spirituali oltre che umani per selezionare i candidati. Se chiediamo alla gente cosa pensa del sacerdozio, la risposta spesso è che i sacerdoti sono necessari per elevare la vita della popolazione sul piano umano e sul piano della fede. Quali che siano i motivi che spingono i giovani a entrare in Seminario, dietro le numerose vocazioni al sacerdozio c'è sempre la grazia di Dio. Noi dobbiamo pensare a dare loro una formazione più adeguata.
Come avete soccorso le vittime del ciclone Nargis?
È stata una vera tragedia. Abbiamo vissuto un'esperienza drammatica. Ci siamo sentiti inadeguati alle necessità della gente, ma li abbiamo soccorsi come meglio abbiamo potuto. Abbiamo per esempio cercato di organizzare in qualche modo la ricezione dei fondi e degli aiuti. Abbiamo anche rivolto un appello ai fedeli di presentarsi per assistere i disastrati. Abbiamo trovato volontari nelle diocesi e li abbiamo preparati per questo compito. Sino a oggi siamo riusciti a convogliare nella zona medici e infermieri, religiose, seminaristi maggiori e giovani. L'impegno principale assunto è quello di eliminare le macerie, fornire abiti, cibo, acqua potabile e assistenza sanitaria. Gli aiuti e il servizio offerto dai volontari cattolici sono stati molto apprezzati. Superata la prima fase dell'emergenza, le persone colpite dal disastro hanno ora bisogno di qualcuno a cui raccontare la loro storia per condividere la loro triste e tragica esperienza e ricevere sostegno psicologico e morale. In questo i cattolici possono offrire la loro esperienza.
La difficile situazione economica e sociale interpella le coscienze dei cristiani. Come rendete concreto il Vangelo della carità?
La Chiesa locale ha un organismo per portare la carità ai bisognosi, Karuna Myanmar, che è membro di Caritas Internationalis. L'impegno principale di Karuna Myanmar è lo sviluppo integrale delle persone. Suo scopo è anche quello di favorire la nascita di un modo nuovo di pensare, la capacità di comprendere le situazioni e di rispondere adeguatamente attraverso il lavoro di squadra nello spirito del Vangelo e dell'insegnamento sociale della Chiesa.
Che atteggiamento ha avuto la Chiesa durante la rivolta dei monaci buddisti?
Da quanto abbiamo potuto capire dai discorsi che si facevano all'epoca, i monaci buddisti sono scesi in strada con l'espressa intenzione di recitare preghiere e invocare benedizioni sia per i cittadini sia per le autorità. Ed è proprio quello che all'inizio hanno fatto pacificamente, come si è potuto vedere dai notiziari trasmessi dal satellite. Volevano un cambiamento in positivo per tutto il Paese. Per i monaci si è trattata di una manifestazione coraggiosa che ha suscitato simpatie nei loro confronti.
(©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2008)
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