30 maggio 2008

Il realismo e la speranza: mano salda del lavoratore della vigna (Rondoni)


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IL REALISMO E LA SPERANZA

MANO SALDA DEL LAVORATORE DELLA VIGNA

DAVIDE RONDONI

C’è come la saggezza e la premura del contadino nelle parole di Benedetto XVI.
Aveva detto del resto, all’inizio del suo pontificato, di identificarsi con il lavorato­re nella vigna di Cristo. E con la premura e la letizia del contadino ieri Benedetto ha mostrato ai suoi vescovi i segni di una pos­sibile fioritura nella vita della Chiesa e del­la Nazione. Come uno che osservi delle gemme, con la gioia tremante di chi ne è grato e trema per l’esposizione possibile al­le intemperie.
Ha innanzitutto ricordato l’attenzione ai giovani. Si è soffermato sul rischio che i gio­vani vengano lasciati 'soli davanti alle gran­di domande' che nascono nella vita. La va­sta «emergenza educativa» che si mostra in tanti modi è, per il Papa, un richiamo alla re­sponsabilità per i sacerdoti, per gli inse­gnanti e per tutti. Per questo ha invitato a «dare uno più spiccato profilo di evangeliz­zazione alle molte forme e occasioni di in­contro e di presenza» in mezzo al mondo giovanile. Specie nelle scuole. La domanda di una maggior risposta alla emergenza e­ducativa emerge, ha notato il Papa, «nel più ampio contesto sociale». Come dire che molti, nella società italiana, si accorgono che il campo va coltivato, e che le ricette di relativismo e negazione scettica soffocano la vita. In questo senso, il Papa con la pa­zienza vigile di chi sa cosa è coltivare, rico­nosce anche un «clima nuovo, più fiducio­so e costruttivo» che proviene dal «profilar­si di rapporti più sereni tra le forze politiche e le istituzioni, in virtù di una percezione più viva delle responsabilità comuni». In­somma, se la politica mira più chiaramen­te ad assumersi responsabilità di risposta alle urgenze, in un dialogo non velenoso tra le parti, il campo comune dell’Italia ne gua­dagna. Di tale possibilità positiva ne hanno percezione, dice il Papa, anche il «sentire popolare» e le «categorie sociali».
E perciò parla a questo proposito di una «particolare gioia». Che non è la gioia di un politico, ma di un contadino. Di uno che ve­de intorno e sul campo per ora diradarsi nu­bi minacciose. E questo lo fa sperare. Perché la speranza è la forza di chi coltiva. L’Italia ha bisogno di una nuova stagione di cresci­ta economica, ma avverte il Papa, «anche civile e morale». Perché chi conosce l’arte della coltivazione, sa che non c’è crescita e­conomica senza la crescita della personalità civile e morale. Questo clima può svanire. Le nubi possono velocemente addensarsi e spazzare di arido gelo il campo, spezzare e rapire i timidi segni di fiducia.
E il Papa contadino sa che il problema dei problemi, ciò che fa la differenza tra un cam­po destinato alla sterilità e uno dove invece la vita può fiorire, «resta il problema di Dio». Perché «nessun altro problema umano e so­ciale – insiste Benedetto XVI – potrà essere davvero risolto se Dio non ritorna al centro della nostra vita». Il contadino è realista: sa che cosa nutre la terra della vita. Perciò an­cora una volta il Papa invita a una sana lai­cità, intesa come spazio in cui gli uomini di fede possono dare un contributo fonda­mentale «al chiarimento dei maggiori pro­blemi sociali e morali dell’Italia». Sono me­si in cui non mancano notizie e motivi di preoccupazione. Proprio per questo non c’è bisogno di professionisti del lamento (la più facile delle professioni) o di profeti di sven­tura (altro mestiere facile, in genere eserci­tato da persone al riparo dai problemi più seri dell’esistenza). Ma di uomini con il gu­sto e la gioia del coltivare. Con la forza e la pazienza del contadino e del vignaiolo.

© Copyright Avvenire, 30 maggio 2008

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