19 giugno 2008

I paradossi iconografici della «Madonna guerriera» e della «Vergine che allatta»: Lo sfondo teologico di una galleria d'immagini (Osservatore)


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I paradossi iconografici della «Madonna guerriera» e della «Vergine che allatta»

Lo sfondo teologico di una galleria d'immagini

Martedì 17 giugno, presso la Pontificia Università Lateranense, sono stati presentati i due volumi La Spada e il Latte di Tommaso Claudio Mineo (collana "Imago Virginis", Genova, San Giorgio Editrice, 2008, pagine 359 e 349, euro 170). All'incontro hanno partecipato, tra gli altri, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei Vescovi, e l'arcivescovo Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense. Pubblichiamo testi di due dei relatori intervenuti.

di Enrico dal Covolo

I due volumi che presentiamo sono densi di fascino e di mistero. Di fatto, essi rispecchiano da una parte - ed ecco il fascino - la bellezza di Maria, la tutta santa immacolata, piena di grazia, dall'altra - ed ecco il mistero - essi illustrano l'irripetibile cammino spirituale dell'autore, soprattutto riguardo al suo incontro personale con Maria santissima.
Tommaso Claudio Mineo è rimasto affascinato, fin da bambino, dall'immagine della Madonna a cavallo con la spada in mano, la Madonna delle Milizie, che scende armata a salvare il popolo cristiano di Scicli dai feroci attacchi dell'invasione saracena. Più tardi egli ha convertito questo infantile trasporto per la Madonna guerriera in una vera e propria "passione" nei confronti dell'icona mariana più tenera che esista, la cosiddetta Galaktotrofùsa, l'icona della santa Vergine che allatta il Bambino Gesù.
A parte dunque un doveroso quanto rapido riferimento alla statua della Madonna guerriera conservata nella chiesa madre di Scicli, i due volumi raccolgono un'antologia impressionante di affreschi, pitture, tele, icone, realizzazioni di vario genere, che raffigurano Maria mentre nutre il Bambino al suo seno.
Questo riferimento al cammino spirituale dell'autore è decisivo per accostare correttamente i nostri due volumi. Claudio Mineo, infatti, costruendo la sua preziosa galleria di immagini, e commentandola sobriamente, non ha voluto seguire altro criterio, "se non quello del ricordo e dell'emozione".
Proprio per questo motivo preferisco mettermi sull'onda emozionale dell'autore, e limitarmi a registrare un paio di "risonanze teologiche", che le pagine di questi volumi mi hanno suscitato nel cuore. Esse hanno risvegliato in me due temi centrali della mariologia.
Innanzitutto il tema della "Madonna guerriera" rappresenta la lotta senza quartiere tra il bene e il male. Una lotta che attraversa i secoli e i millenni della storia, dalla Genesi fino all'Apocalisse. Il secondo tema, quello della "Madonna che allatta", ci guida nel cuore della rivelazione neotestamentaria.
È chiaro che - al di là della contingenza storica - l'immagine della Madonna guerriera va interpretata nell'unico modo corretto, cioè quello allegorico-spirituale, come hanno insegnato i nostri Padri di fronte a molte pagine, diversamente scandalose, dell'Antico Testamento.
La Madonna è Madre di tutti, ed è Madre anche dei peccatori e dei lontani, dei vincitori come dei vinti. Il suo vero combattimento rimane quello contro Satana e contro le forze del male. Ma il tema della Madonna e della spada richiama subito a Claudio Mineo la profezia dolorosa: "A te una spada trafiggerà l'anima" (Luca, 2, 35). Queste parole del vecchio Simeone associano per sempre la Madre alla dolorosa passione del Figlio e alla sua lotta contro il male.
In un celebre Discorso nell'ottava dell'Assunzione san Bernardo di Chiaravalle (+ 1153) descrive in termini appassionati la spada di Maria e l'intima partecipazione della Madre al sacrificio della croce.
"O santa Madre di Dio - esclama il santo Abate - veramente una spada ha trapassato la tua anima! Del resto non avrebbe penetrato la carne del Figlio, se non trapassando l'anima della Madre. In verità dopo che il tuo Gesù (...) emise lo spirito, la lancia crudele non poté certo toccare la sua anima: essa aprì il suo fianco non avendo pietà neppure di un morto, al quale non poteva più recare danno, ma trapassò la tua anima. Naturalmente l'anima di lui non era già più lì: ma la tua non poteva assolutamente strapparsene. Così la violenza del dolore trapassò la tua anima, a tal punto che non immeritatamente noi ti acclamiamo più che martire, poiché in te il sentimento della partecipazione alla passione (compassionis affectus) superò la sofferenza della passione fisica del Figlio".
Maria ha con-patito con Gesù, e più di ogni altra creatura ne ha condiviso il cammino vittorioso di morte e di risurrezione.
Riecheggiando alcune espressioni eloquenti del magistero - dalla Lumen Gentium fino ai nostri giorni, passando attraverso l'enciclica Redemptoris Mater - dobbiamo credere che Maria è "compagna generosa in modo del tutto singolare" del Messia e Redentore. La Vergine entra in maniera personale nell'unica mediazione salvifica tra Dio e gli uomini, cioè nella mediazione salvifica dell'uomo Cristo Gesù.
La seconda "risonanza teologica" rimane intimamente connessa con l'icona tradizionale della Galaktotrofùsa (cioè dell'"Allattante"). Le più antiche testimonianze del genere provengono dall'Egitto, e risalgono al vi secolo. Il tipo di icona richiama la funzione materna di Maria per esaltarne la dignità, facendo eco al grido della donna in mezzo alla folla: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!" (Luca, 11, 27).
Come documenta abbondantemente il commento letterario dei due volumi, i Padri della Chiesa e i testi liturgici alludono molte volte all'allattamento di Gesù, sia per sottolineare la "condiscendenza misericordiosa" del nostro Dio (sunkatàbasis), sia per mettere in rilievo l'onore toccato alla Madre. In vari modi, i testi tradizionali ripetono questo paradosso: colui che nutre tutte le cose, Maria compresa, ora si lascia nutrire da lei.
È fondamentale per la storia di queste icone il riferimento al Concilio di Efeso del 431 e al complesso dibattito sul titolo conteso di Theotòkos, ovvero - in lingua latina - di Dei Genetrix.
Come è noto, Nestorio e i suoi seguaci accettavano al massimo il titolo di Christotòkos. Ai loro occhi, infatti, era scandaloso affermare che Maria, una di noi, fosse la Madre di Dio: questo significherebbe - dicevano - farne una dèa!
In realtà il dibattito era squisitamente cristologico. A Cirillo premeva affermare l'unità della Persona di Gesù Cristo, unico Verbo incarnato, perfetto nell'umanità come nella divinità. Ma bisogna subito aggiungere che la ricezione del Concilio di Efeso, cioè il modo in cui esso venne accolto dalle Chiese, contribuì in maniera determinante alla venerazione di Maria come Madre di Dio.
Ovviamente, lo stupore della Madre che allatta il Figlio, e la tenerezza che queste immagini ispirano, rimangono intatti. Ma queste emozioni ricchissime devono portarci oltre, fino a contemplare il centro della nostra fede, Gesù Cristo. La soteriologia patristica è chiarissima: "Solo ciò che è assunto è salvato". Solo se il Figlio di Dio ha assunto l'umanità tutta intera, questa è salvata dal peccato e dalla morte, fino a essere "divinizzata". La Vergine Maria, che allatta il Figlio Gesù, è uno dei segni più eloquenti che il Verbo di Dio si è fatto carne per davvero, senza alcuno sconto.

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Quelle Marie troppo umane censurate dall'età moderna

di Lucetta Scaraffia

Due grandi volumi di immagini sacre, corredate da commenti spirituali tratti dalle Sacre Scritture e dai testi dei santi, sono il frutto di una passione nata nell'infanzia per una Madonna combattente, la Vergine a cavallo e armata di spada protettrice di un paese siciliano, Scicli, nell'animo di un ragazzino che poi sarebbe diventato un famoso chirurgo, Tommaso Claudio Mineo. Il frutto di questa passione è una raccolta in due grandi volumi di immagini della Vergine con bambino nella sua versione più dolce e materna: quella in cui come madre allatta il suo piccolo.
Nell'infinità di Madonne del latte che i due volumi ci offrono vediamo certo differenze: fra le ieratiche icone in cui il gesto dell'allattare sembra quasi rappresentato nel suo significato simbolico, più che nella sua immediatezza fisica, e le bellissime Madonne rinascimentali che allattano compiendo gli stessi gesti delle donne, con la stessa sollecitudine amorosa di una madre verso il suo piccolo. Ma in tutte è forte e presente la concretezza dell'amore materno, che si realizza nella gravidanza e nell'allattamento. Probabilmente nessuna altra immagine come quella dell'allattamento, che significa dare il proprio corpo da mangiare a un altro essere umano bisognoso, trasmette l'idea di completa donazione amorosa, e quindi si avvicina a quella che, nella tradizione cristiana, è la più alta donazione di sé: quella di Gesù che si immola per l'umanità peccatrice e che, come nell'ultima cena e nel sacramento eucaristico, offre il suo corpo e il suo sangue ai fedeli.
Al tempo stesso, l'allattamento costituisce una prova concreta dell'Incarnazione: Gesù è stato un bambino come gli altri, allattato da sua Madre. La sua divinità non esclude la sua umanità, anche negli aspetti più fragili che questa implica.
Per questo la tradizione iconografica cristiana prima, cattolica e ortodossa poi, non ha mai avuto remore a rappresentare senza veli una parte del corpo femminile dalle riconosciute valenze erotiche come il seno, anche se l'immagine si poteva prestare ad ambivalenze: nel primo volume di questa raccolta è riprodotta l'opera di Jean Fouquet, parte del dittico di Melun, che ce ne dà un esempio. Essa era stata commissionata per celebrare le grazie dell'amante del re, piuttosto che per glorificare la maternità di Maria. Certo, l'ambiguità in questo caso è manifesta, ma la potenza simbolica dell'amore fra madre e Figlio è così forte da purificarla, almeno per gli osservatori più devoti: omnia munda mundis.
La potenza di questo soggetto si è anche trasformata nel senso opposto, quello della carità, esasperandolo: per rappresentare la Carità Romana, dopo le feroci critiche di Lutero e le invettive dei protestanti contro la città della corruzione e della dimenticanza di Dio, non si è trovata immagine più significativa che quella di una donna giovane e bella, che rappresenta la città di Roma, nell'atto di allattare un vecchio malato e ributtante. Qui l'esempio della donazione materna, così ben rappresentato dalla Vergine del latte, diventa eroismo supremo di carità che vince ogni ripugnanza, che affronta ogni sacrificio.
La raccolta qui presentata risale fino alle icone dei primi secoli, ma si ferma al XVI-XVIi secolo: da questo momento, la Madonna del Latte è presente solo nel contesto di una devozione popolare, cara alle donne, intorno alla quale sono nati riti di fertilità ben studiati dagli etnologi, ma scompare dalle chiese di città, dalla devozione delle classi superiori e dalla committenza del clero urbano. Cos'era successo? Le critiche dei protestanti contro la carnalità e la "sconvenienza" di molte immagini sacre - che ha costituito una delle ragioni dell'iconoclastia di gran parte del mondo riformato - anche se teoricamente respinta dalla Chiesa cattolica, ha determinato degli effetti nell'arte sacra: tutti sappiamo che proprio in questo lasso di tempo sono stati messi i "braghettoni" ai possenti nudi della cappella Sistina, ma è meno nota la progressiva scomparsa delle immagini della Madonna che allatta, a favore di Vergini più coperte, meno "carnali", ma anche, purtroppo, meno piene di amore, meno capaci di trasmettere quell'idea di donazione totale che tocca il cuore e la fede dei devoti, e che, per fortuna, si ritrova ancora nelle cappelle di campagna.
Con la frattura della cristianità, scompare anche nella tradizione cattolica quella che Cristina Campo chiama "la meravigliosa carnalità della vita divina". E precisa con lucidità: "Il Rinascimento, la Riforma, la necessità incessante delle dispute teologiche, l'Illuminismo soprattutto: ogni prova fu puntualmente superata dalla dottrina ma sembrò strappar via con sé un lembo dell'antica vita cristiana". Ben venga quindi questa riabilitazione, artistica e spirituale, di un'immagine così concreta e amorosa, che ricorda come la tradizione artistica cristiana abbia avuto sempre la straordinaria capacità di rappresentare il divino attraverso l'umano.

(©L'Osservatore Romano - 19 giugno 2008)

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