27 gennaio 2008
"Caso Sapienza": la bellissima omelia del vescovo di Reggio Emilia
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Grazie al nostro Marco, abbiamo la possibilita' di leggere la bellissima omelia che il vescovo di Reggio Emilia, Sua Eccellenza Mons. Adriano Caprioli, ha tenuto domenica scorsa. E' una bella testimonianza di amore e di fedelta' al Santo Padre. Partendo dall'increscioso episodio della Sapienza, il vescovo sviluppa un ampio ragionamenteo che ci fa piacere segnalare.
Grazie ancora a Marco :-)
R.
RITORNO ALLA TESTIMONIANZA
In comunione con Benedetto XVI
Gli avvenimenti di questi giorni, che hanno coinvolto direttamente il Santo Padre, non potevano lasciarci indifferenti. Hanno toccato la nostra vita. Ci hanno resi più consapevoli che la Chiesa è comunione, che nasce dall'Eucaristia come dono per diventare poi compito, sostegno, condivisione e preghiera, come vogliamo testimoniare in questa celebrazione eucaristica.
Questi eventi accadono per noi, perché prendiamo il nostro posto nella Chiesa e nel mondo. Non potevamo non ritrovarci insieme per incoraggiarci a vivere questi momenti con verità e responsabilità. Il Papa ci vuole guidare a vivere una fede "chiara e adulta", e per questo amica della ragione per un mondo di pace, testimoniando senza timore pubblicamente la fede cristiana con umiltà e saggezza.
È così che Benedetto XVI si è presentato alla cristianità e al mondo subito dopo la sua elezione a Pontefice: come "umile servitore nella vigna del Signore". Non ricordo con precisione le ragioni della scelta del nome, per cui il Papa abbia voluto chiamarsi: "Benedetto XVI". Amo pensare, alla luce di questi avvenimenti, innanzitutto alla figura di quel grande padre dell'Europa che fu S. Benedetto, nella crisi delle culture del suo tempo ed efficace educatore delle coscienze alla civiltà dell'amore.
La testimonianza del Battista
Abbiamo da poco terminato la solennità del Santo Natale, meditato la testimonianza dei pastori, dei Magi, di questi grandi camminatori alla ricerca della verità e di Dio. Ora è la volta di Giovanni il Battista. Tentiamo di immaginare la scena (Gv 1,29-34). Giovanni sta battezzando presso il Giordano. Tra la folla c'è qualcuno che si fa avanti. Giovanni lo riconosce come l'Agnello di Dio.
La situazione è come capovolta: è Dio che in Gesù si mette sulle strade degli uomini. Dio stesso si fa ricerca, si rivela Verità amica dell'uomo: non dell'uomo ideale, che non sbaglia mai, ma di uomini e di donne reali, come l'umanità peccatrice in fila per farsi battezzare da Giovanni. Dio e l'uomo si muovono su strade destinate a incrociarsi.
Di questo Dio che in Gesù si rivela come il Dio che ha passione per l'uomo, la Verità che libera, l'Amore che salva, Giovanni Battista si fa testimone: "E io — conclude il Vangelo — ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio". Questa è la professione di fede di Giovanni. Una professione di fede — non dimentichiamolo — non statica e conclusa, ma aperta a continui interrogativi, se è vero che un giorno il Battista arriverà perfino a chiedere a Gesù: "Sei tu che devi venire, o dobbiamo aspettarne un altro?" (cf. Mt 11,3).
Anche noi siamo chiamati a esprimere questa confessione di fede su Gesù. È un cammino che durerà tutta la vita. Fino al giorno in cui "la stella del mattino si leverà sui nostri cuori", non avremo mai finito di "riconoscere" il volto di Gesù. Ma ci consola una certezza. Mentre noi ci muoviamo alla ricerca del vero volto di Dio, anche il Signore si muove verso di noi.
Inquieto è il nostro cuore
"Inquieto è il nostro cuore, finché non trova Dio", confessa in una nota pagina S. Agostino. Sappiamo quanto Papa Benedetto XVI abbia cara questa figura di grande ricercatore del volto di Dio che è S. Agostino: basta leggere le ultime due "catechesi del mercoledì" dedicate dal Papa a questo Padre della Chiesa.
Mi ha colpito, già nell'omelia delll'allora Card. Ratzinger alla Messa per l'elezione del Romano Pontefice, l'invito ai cristiani ad essere animati da una "santa inquietudine": l'inquietudine di portare a tutti il dono della fede. Tema questo caro appunto a S. Agostino, sul quale il giovane teologo tedesco aveva iniziato a farsi conoscere.
Non è un caso che, accompagnando al Concilio Vaticano II come teologo l'Arcivescovo di Colonia, il Card. Frings, quando si trattava di raccogliere tra i vescovi eventuali temi per l'imminente Concilio, Ratzinger abbia colto in una delle risposte all'Arcivescovo questa inquietudine interiore: "Cari fratelli, al Concilio voi dovete innanzitutto parlare di Dio".
Scriveva J. Maritain: "Se un tempo bastavano cinque prove per dimostrare l'esistenza di Dio, oggi l'uomo le ritiene insufficienti e ne vuole una sesta, la più completa, la più autorevole: la vita di coloro che credono in Dio".
Così il Papa, come Pastore della comunità dei credenti, orienta il suo sguardo anzitutto verso l'interno della comunità credente; Egli è colui che si prende cura di questa comunità; colui che la custodisce unita, mantenendola sulla via verso Dio. Ma questa comunità, di cui anche noi siamo parte, vive la sua fede nel mondo, così che la parola e l'esempio del Papa, influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme.
Nessuna meraviglia che il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, sia diventato sempre di più una voce delle ragioni etiche dell'umanità, che non si possono gettare nel cestino della storia delle idee. Anche Gesù nel Vangelo si presenta come "mite ed umile di cuore" (cf. Mt 11,29). Sì, mite ed umile di cuore, ma non di idee: "Avete inteso che fu detto… ma io vi dico" (cfr. Mt 5,20-43). Il Papa parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di sapienza e di esperienza etiche, che risulta importante per l'intera famiglia umana: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica, aperta al dialogo e al confronto.
Fede e ragione
Così la fede non è alternativa alla ragione. Si sente spesso dire: "tu credi da cattolico", contrapposto a "io ragiono da laico". Confesso che mi sento a disagio tutte le volte che trovo nei dibattiti e nei giornali questa contrapposizione cattolici-laici. Chi è il laico, secondo il comune modo di pensare? È colui che si affida alla ragione. È un uomo che, in forza della ragione, cerca continuamente, è curioso di tutto, non si preclude alcun spazio alla propria esplorazione intellettuale. E per il fatto di affrontare razionalmente la propria avventura umana, il laico è colui che non può accettare nessuna forma di fanatismo e di intolleranza.
Se è così, anch'io mi sento laico. Cattolico e laico insieme, perché so che la mia fede non mortifica la mia ragione. Il mio Dio mi dice: "Non stancarti mai di pensare, anche quando pensare è fatica. Anzi, cerca di pensare con coraggio, senza accettare luoghi comuni o idee prefabbricate. Cerca di esplorare fin dove puoi arrivare, come gli altri e, se ti fosse possibile, più degli altri. E là dove non puoi arrivare, perché il mistero è impenetrabile, affidati alla fede". La fede perciò non è una conoscenza mortificata, ma una conoscenza dilatata: è un di più di conoscenza, perché attinge alla conoscenza divina. Diventa lo sguardo sulla realtà che informa la ragione, aprendola a tutte le sue potenzialità.
Come cristiani — preoccupati che sia l'annuncio del Vangelo sia la parola della Chiesa sull'uomo, siano sempre fermento di dialogo e di pace — vogliamo affermare che ci riconosciamo nella riflessione di Benedetto XVI sull'accordo che ci deve essere tra fede e ragione, contro ogni violenza. Come figli che riconoscono nel Papa un padre e uno strumento nelle mani del Signore per costruire l'unità della Chiesa e favorire quella di tutto il genere umano, ci sentiamo feriti, quando questo ruolo viene duramente contrastato.
Riconosciamo che proprio il Vangelo, che ha fermentato la nostra cultura per secoli, ci permette oggi di affermare il diritto per tutti alla libertà religiosa. Essa comprende il diritto di parlare e agire secondo la propria coscienza, senza impedimenti da parte di qualunque autorità umana. È il messaggio che Benedetto XVI intendeva dare a "La Sapienza", un tempo università del Papa, ma oggi università laica con quella autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di Università.
Era questo l'intento del Papa andando all'Università. Sicuramente non a cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà; piuttosto andava a mantenere desta la sensibilità per la verità; a invitare la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana, e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro. Come ha fatto Giovanni Battista!
Conclusione
E, se invitassimo noi Benedetto XVI a Reggio a parlarci lui stesso di questo cammino di ricerca e di testimonianza? Questa è la terra che ha accolto la visita di Papa Gregorio VII a Matilde di Canossa, figura storica di donna che amava la Chiesa e la sua libertà, senza dimenticare l'altrettanto storica visita di Giovanni Paolo II in questa nostra Cattedrale venti anni fa. Il Signore ce ne dia la grazia!
+ Adriano VESCOVO
Reggio Emilia - Cattedrale, domenica 20 gennaio 2008
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1 commento:
Grazie Marco per il tuo contributo...... Tutti dovrebbero prendere esempio da questo Vescovo!
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