26 gennaio 2008
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Cari amici, non era mia intenzione parlare della caduta del governo Prodi ma ci sono state dichiarazioni che hanno coinvolto direttamente il Vaticano e la CEI e non ha senso fare finta di nulla anche perche' gli articoli contenuti in questo post sono richiamati da molti commenti odierni.
Purtroppo..."ci tocca".
Iniziamo con le dichiarazioni del ministro dell'universita' (non e' uno scherzo...), con i commenti personali (che non impegnano dunque la Santa Sede) dei cardinali Saraiva Martins e Giovanni Cheli.
Seguono gli editoriali dell'Ossevatore Romano, di Avvenire e la nota Sir.
Raffaella
Il caso
Mussi: dimissioni di Mastella "volute" dalla Cei. La replica: "Ridicolo"
ROMA - C´è una relazione tra le dimissioni del ministro Clemente Mastella e il richiamo alle autorità italiane fatte dal cardinale Angelo Bagnasco alla Cei? Se lo è chiesto ieri, il ministro dell´Università Fabio Mussi all´inaugurazione del master sulla Shoah all´università Roma III: «Le ragioni per cui Mastella ha deciso di dare la spallata al Governo non mi sono tutte chiarissime», ha detto Mussi, sostenendo pure che «Bagnasco ha fatto un intervento a piedi giunti, piuttosto hard... «.
«Sono sorpreso da queste parole», risponde monsignor Enzo Dieci, uno dei vescovi ausiliari del cardinale Camillo Ruini. «Possibile - si chiede il vescovo - che la Chiesa ha sempre torto anche quando esorta ed incoraggia come ha fatto il cardinale Bagnasco? Quanto alle dimissioni di Mastella, è ridicolo metterle in relazione alla prolusione del presidente Cei».
(o. l. r.)
© Copyright Repubblica, 25 gennaio 2008
"È il frutto del mancato dialogo coi cattolici"
Prime valutazioni dalla Santa Sede: esito inevitabile, troppa litigiosità
ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - «Inevitabile. Da una coalizione così frammentata non ci si poteva aspettare altro». «E´ il frutto di una mancanza di dialogo che ha penalizzato in modo particolare i valori cattolici». Prime valutazioni d´Oltretevere sulla caduta del governo Prodi. Ne parlano, a titolo personale, due cardinali di Curia, il portoghese Josè Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, e Giovanni Cheli, presidente emerito del Pontificio consiglio dei migranti ed itineranti, che concordano nella mancanza di attenzione dei valori cattolici uno dei principali motivi che ha portato alla fine del governo. Come lo stesso Clemente Mastella ha più volte denunziato anche quando ha giustificato le sue dimissioni da ministro subito dopo la mancata visita del Papa alla Sapienza. «C´è stata troppa frammentarietà nel centrosinistra e l´esito non poteva essere diverso», commenta Cheli, che accusa pure l´ex maggioranza di «essere stata troppo litigiosa e di aver messo in difficoltà in particolare i rappresentanti dei cattolici. Spiace, ma alla fine saranno i cittadini a farne le spese».
«Sono da oltre 30 anni in Italia - premette il cardinale Saraiva Martins - e seguo con interesse anche le vicende politiche di questo paese che considero la mia seconda patria. Ma ho notato, negli ultimi tempi che non c´è stata una volontà di dialogo tra i partiti, specialmente sui valori cattolici come famiglia, scuole e difesa della vita. Senza dialogo non si va da nessuna parte. Gli scontri non portano a nulla». Questa mancanza di dialogo, per il cardinale Saraiva Martins, ha «toccato l´apice nella mancata visita del Santo Padre alla Sapienza a causa di una minoranza che, però, ha di fatto costretto le autorità a bloccare l´iniziativa». Ora, conclude il porporato, «è bene che tutti i partiti tornino a dialogare e a pensare alle vere esigenze della gente con spirito costruttivo».
© Copyright Repubblica, 25 gennaio 2008
In Italia aperta la crisi di Governo
Prodi si è dimesso dopo il voto al Senato
Avviate le consultazioni del capo dello Stato
La fiducia è stata respinta con centosessantuno voti contro centocinquantasei
Chi non vuole andare subito alle elezioni sottolinea la necessità di porre mano alla legge elettorale
ROMA, 25.
In Italia si è aperta la crisi di Governo. Dopo il voto al Senato, dove l'esecutivo ha ricevuto il "no" alla fiducia, Romano Prodi è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni. "Ora - ha detto il Presidente del Consiglio dimissionario - ci affidiamo alle scelte del Presidente della Repubblica, tutto è nelle sue mani".
Nel voto al Senato, come era previsto, sono stati determinanti i voti dell'Udeur di Clemente Mastella, dei Liberaldemocratici di Lamberto Dini, e di Sinistra critica. Alla fine la fiducia è stata respinta con centosessantuno voti contro centocinquantasei. Un senatore, il liberaldemocratico Scalera, si è astenuto.
Aperta ufficialmente la crisi, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano comincia già da oggi pomeriggio le consultazioni attraverso le quali cercherà di capire quali sono gli orientamenti dei partiti in ordine alla soluzione della crisi. Le consultazioni, è stato reso noto, si chiuderanno martedì con gli ex Presidenti della Repubblica.
Il nodo principale da chiarire è se esista un margine per dare vita ad un nuovo Governo in grado di realizzare le riforme o se si debba andare necessariamente alle urne.
Chi non vuole andare subito alle elezioni sottolinea la necessità di porre mano alla legge elettorale, un sistema che ha portato, secondo l'impostazione vigente, all'instabilità, dimostrata dall'esigua maggioranza di cui ha potuto godere il Governo in Senato. Questa è la posizione in particolare del Partito democratico, che oggi si riunisce per esaminare compiutamente la situazione dopo la sfiducia al Governo.
Chi invece spinge per le elezioni punta sulle urgenze del Paese, che ha bisogno di un Governo con pieni poteri in tempi brevi. La legge elettorale attuale, si assicura in questo caso, è tutto sommato una buona legge elettorale. Con le nuove elezioni non è detto inoltre che si ripresenteranno le stesse difficoltà numeriche registrare finora in Parlamento. A voler andare subito alle urne è quasi tutto il centrodestra.
Teoricamente comunque rimangono in piedi tutte le possibilità, da un rinvio del Governo alle Camere per verificare la possibilità di una nuova fiducia, al Governo istituzionale o tecnico, fino allo scioglimento delle Camere e quindi alle elezioni anticipate.
Nel caso di un Governo istituzionale o tecnico l'obbiettivo sarebbe chiaramente quello di mettere mano in primo luogo alla legge elettorale. Per la guida di un esecutivo di questo tipo si fanno diversi nomi, ovviamente quelli dei presidenti di Camera e Senato - anche se Marini ha specificato questa mattina di non aspirare ad altro incarico - ma anche quelli di personalità che hanno ricoperto in passato incarichi istituzionali. Il Capo dello Stato, anche nel discorso pronunciato in occasione dell'anniversario della Costituzione, ha parlato più volte delle esigenze che sono emerse di porre mano a qualche modifica della legge elettorale, pur ribadendo che al di là dei sistemi scelti è innanzitutto il grado di coesione e di collaborazione fra le forze politiche a rendere un sistema più efficace rispetto ad un altro. Coesione e collaborazione che necessariamente possono scaturire solo da una seria assunzione di responsabilità nei confronti del Paese.
In ogni caso è nel ruolo proprio del Presidente della Repubblica italiana verificare se sia possibile in Parlamento il comporsi di una maggioranza in grado di sostenere un Governo prima di ricorrere eventualmente allo scioglimento delle Camere. Stando ai commenti a caldo fatti dai principali esponenti politici dopo il voto al Senato - voto svoltosi peraltro tra qualche intemperanza - non sembrano comunque esistere molte possibilità circa il proseguimento di questa legislatura. Secondo molti osservatori comunque le consultazioni potrebbero non avere tempi brevi e in questo lasso di tempo ci potrebbe essere il margine per trattative fra i partiti.
Il dato nuovo di questa mattina è stata intanto la dichiarazione del senatore Giuseppe Pisanu, di Forza Italia, secondo il quale un'intesa sulla legge elettorale potrebbe trovarsi in tempi brevi. "Sulla prima "bozza Bianco" l'accordo era già raggiunto - ha detto l'ex ministro - e la si potrebbe rapidamente tradurre in legge per arrivare alle elezioni nel giro di pochissimo tempo. Il quadro politico è sfasciato per cui se ne può uscire solo con nuove elezioni. L'appello agli elettori è inevitabile, ma se c'è tempo e possibilità per fare una buona legge elettorale noi non ci tireremmo certo indietro". Una dichiarazione che però al momento sembra non sia stata accolta positivamente dagli altri partiti del centrodestra.
(©L'Osservatore Romano - 26 gennaio 2008)
VENTI MESI DOPO
ULTIMO PASSO DI UNA LUNGA CRISI
MARCO TARQUINIO
La crisi della maggioranza si è conclusa. Ed è cominciata la crisi di governo. Una crisi annunciata da venti mesi. L’esatta durata del Prodi II e della continua guerra di sopravvivenza a cui l’esecutivo del Professore è stato costretto. Una crisi sempre incombente, testimoniata da una miriade di faticosi e, spesso, drammatici voti di fiducia. E scritta non nelle stelle o nelle singole – e pur importanti – scelte di questo o quel parlamentare o capopartito, ma nei numeri chiave di una legislatura segnata da un voto popolare che – ne restiamo convinti – aveva in realtà proposto alla classe politica un compito diverso e, oggettivamente, più arduo. Quello di prendere atto del sostanziale pareggio tra i due poli e, comunque, della tendenziale insufficienza politica del centrosinistra al Senato. E di avviare, perciò, una provvisoria e virtuosa collaborazione tra Unione e CdL tesa a portare l’Italia finalmente fuori dal guado in cui s’era ritrovata immersa dopo la traumatica fine della Prima Repubblica. Non si seppe e non si volle voltare pagina allora, superando gli schemi di guerra e le asprezze polemiche della campagna elettorale appena conclusa. Si volta pagina adesso.
La scelta di Romano Prodi di 'parlamentizzare' fino in fondo la crisi è, evidentemente, di quelle che lasciano il segno. Ed è d’indubbia «coerenza», come il presidente del Consiglio uscente ha rivendicato, con una visione rigorosamente bipolare delle regole e del confronto politico. Prodi – nonostante gli autorevoli consigli ad agire diversamente – ha scelto di cadere alla testa del governo che aveva formato dopo le elezioni, formalizzando l’evento e rendendolo irrimediabile. L’uscita dell’Udeur di Clemente Mastella dalla maggioranza è, infatti, diventata una sorta di catalizzatore delle dissociazioni dall’Unione (di Turigliatto, di Fisichella, dei diniani...) che si erano andate via via accumulando. E ha fatto da potente e clamoroso specchio riflettente per i fulmini scagliati sul «bipolarismo coatto», con divergenti intendimenti, sia dal padre nobile della 'cosa rossa' Fausto Bertinotti sia dal leader democratico Walter Veltroni.
La mossa del premier dimissionario appare, insomma, tesa a escludere – sebbene le decisioni del capo dello Stato siano assolutamente libere – un suo reincarico e, forse, a togliere spazio a ogni altra missione esplorativa. È, in ogni caso, una mossa compiuta per prefigurare la partecipazione da protagonista di Prodi soltanto a uno dei possibili sbocchi della crisi: le elezioni anticipate. Intese – in questa visione – come atto riparatorio di ogni slealtà.
È uno scenario plausibile e, anzi, probabile. Assai caro ai piccoli (e numerosi) acerrimi nemici del referendum che potrebbe trasferire dalle coalizioni ai partiti più votati il premio in seggi che assicura il controllo delle Camere. E anche al centrodestra – scompostosi dopo la mancata 'spallata' di novembre e fulmineamente ricompattato in quasi tutte le sue componenti e sottocomponenti dalle successive 'autospallate' nell’Unione – che sembra guardare soprattutto alle urne e, ovviamente, a descriverle come atto riparatorio del «malgoverno delle sinistre » e della sconfitta di misura del 2006. Continua, tuttavia, ad aleggiare l’idea di una fase di transizione virtuosa e provvisoria, buona per l’oggi – potrebbe essere affidata a un 'governo di scopo' – e fors’anche per il domani. Un’idea che trova motivazioni in auspici ampiamente trasversali, nella pacata insistenza dell’Udc e nel significativo invito del Pd – scandito proprio ieri in Senato da Anna Finocchiaro – a «non tagliare il filo» del «ragionamento comune sulle riforme costituzionali, elettorali, regolamentari».
Venti mesi dopo, ci si ritrova dunque al punto di partenza. Il tempo, rivendica Prodi tracciando un bilancio del suo governo, non è passato invano. Sarà certamente così se scelte e comportamenti, già nei prossimi giorni, diranno che la lezione di questa lunga crisi è stata compresa.
© Copyright Avvenire, 25 gennaio 2008
CRISI DI GOVERNO: NOTA SIR
Pubblichiamo la nota SIR sulla crisi di governo, sancita ieri sera dal voto di Palazzo Madama.
Cade al Senato il cinquantacinquesimo governo delle quindici legislature repubblicane: è crisi parlamentare, come di rado avviene, segnata dall’esito del voto di fiducia in Senato: 161 no e 156 sì, con 1 astenuto. La media di durata, dal 1948 ad oggi, resta sotto l’anno, cosicché il governo Prodi, che sfiora i due anni, risulta tra i sette di durata più lunga.
La parola ora passa al Quirinale e dalle dichiarazioni di questi giorni di crisi si profilano due opzioni: o un governo che porti alle elezioni realizzando un programma minimo o l’immediata convocazione dei comizi elettorali. Le risposte potranno arrivare già la prossima settimana. In ogni caso si dovrà fare i conti con il convitato di pietra di questa crisi, come della sua possibile soluzione: il referendum elettorale. In tempi non sospetti, non pochi esponenti politici avevano legato la sopravvivenza del governo (e della stessa legislatura) all’esito della pronuncia della Consulta. Non sarebbe la prima volta che un referendum potenzialmente dirompente porta allo scioglimento, come avvenne nel 1972, ovviamente in ben altre circostanze.
D’altra parte, è illusorio, come dimostra la storia recente, affidare alle regole, in particolare ai sistemi elettorali, la soluzione dei problemi politici. L’ultimo esito elettorale, cioè il sostanziale pareggio del 2006, lo aveva dimostrato.
Ritorna il problema strutturale cui si è supplito in questi anni con il rincorrersi di “alternanze per disperazione”: dare stabilità al sistema politico, attraverso prima di tutto la reciproca legittimazione dei suoi attori principali, i partiti, e dunque un sistema di pesi e contrappesi che permetta una dialettica vivace e virtuosa, sulla base di un tessuto solido e condiviso di principi, scelte, identità. Si tratta di pura utopia, di una vuota retorica? È piuttosto una necessità stringente. Attori deboli producono tensioni e fratture, producono uno stato di instabilità permanente, cui non può supplire una enfatizzazione del processo maggioritario, necessariamente traguardato sul brevissimo periodo.
Qualunque sia il risultato delle consultazioni presidenziali, la soluzione della crisi italiana non può che passare da qui, da un rafforzamento della buona politica, dalle istituzioni ai partiti. È compito del sistema della comunicazione e degli attori sociali investire con convinzione su questo, offrire un supporto di valori, di principi, di identità radicata e condivisa e così aiutare la politica e, dunque, l’Italia a vincere questa sfida cruciale, in un quadro europeo complesso e competitivo.
© Copyright Sir
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2 commenti:
l'ex ministro dell'Università, evidentemente, ha un modo un pò schizofrenico di gestire le sue opinioni, a seconda del momento e della sede. In privato è stato probabilmente d'accordo coi "67", in pubblico li ha abbandonati per far bella figura (strizzando loro l'occhiolino prima di parlare) e, ora, torna nuovamente ad istigare contro la Chiesa , salvo rammaricarsi alla prossima uscita ufficiale. Ormai conosciamo l'articolo, non ci meravigliamo nè pretendiamo che si imbavagli, come si vorrebbe suggerire a Bagnasco, ma almeno sia coerente, come gli amici 67 e seguaci. Forse però, prima di prendersela con gli estranei, meglio sarebbe guardare alle divisioni interne al cortile dove si è scelto di giocare e ai risvolti della vicenda umana di Mastella e signora, più che a quella clericale (a meno che, nell'arresto della signora Lonardo ci fosse ancora una volta lo zampino della Chiesa. Roba da Codice da Vinci de noantri)
Sai Malapenna che ti dico???? Che l'idea del " Codice da Vinci de noantri" per qualche mente afflitta da persecuzione clericale, potrebbe diventare una ipotesi neanche tanto impossibile!
Meglio ridere .......... perchè veramente e seriamente ci sarebbe da piangere ad amare lacrime nel vedere l'Italia ridotta ad un paese patria di soggetti che del trasformismo hanno fatto la loro ragione di vita; peccato che lo stanno imponendo anche a chi non lo vuole.......e poi è la chiesa che impone................. Se tornasse in vita Dante Alighieri e riscrivesse la Divina Commedia probabilmente si ritroverebbe con un Inferno sovraffollato.
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