26 gennaio 2008
Messaggio del Papa ai media: l'info-etica preziosa come la bioetica (Ferrari per Avvenire)
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CHE SERVA UN COMITATO GARANTE?
L’INFO-ETICA PREZIOSA COME LA BIOETICA
GIORGIO FERRARI
Un uso distorto dei mass media può ribaltare i benefici che il villaggio globalizzato, in cui l’informazione diffusa contribuisce a svecchiare le oligarchie e a mettere a nudo le prevaricazioni del potere, finora ha in qualche modo garantito. E l’allarme lanciato senza usare mezzi termini da Benedetto XVI in occasione della quarantaduesima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali non è casuale.
«Sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento», i mass media si avvalgono sempre più spesso - e il non essersene accorti sarebbe la più incresciosa delle colpe - di «volgarità, violenza, trasgressione, pubblicità ossessiva, modelli di vita distorta e fuorvianti, manipolazioni ideologiche ».
Di qui la necessità e l’urgenza di un’etica dell’informazione, una
info-etica, come dice il Papa, omologa a quella che nel campo della medicina e della ricerca scientifica chiamiamo bio-etica.
Già immaginiamo cosa potranno obiettare i volonterosi difensori della libertà di informazione ad ogni costo: che si voglia istigare qualcuno o qualcosa ad allestire una sorta di Minculpop in grado di controllare e filtrare notizie e immagini in modo da non turbare lo spirito delle persone semplici e influenzabili.
Non è così, per niente. Ci viene viceversa di fare una modesta riflessione, mediata da quelle parole ed ammettere che non da oggi il rumore di fondo dei mezzi di comunicazione si è sensibilmente elevato fino ad una soglia di disturbo che in molti avvertono ma che non sanno come contrastare. La soglia di una perdita generalizzata della decenza; e per decenza intendiamo quel pudore condiviso (o per lo meno un tempo lo era) che di fronte a certe esasperazioni della curiosità morbosa attorno alle intimità, alla vita privata, alla sfera inviolabile (inviolabile?) dell’individuo, di fronte a certe inaccettabili forzature del diritto di cronaca, di fronte a certe patenti falsificazioni della realtà (pensiamo solo ai reality show, imbarazzante ossimoro semantico perché a dispetto del nome vi è tutto fuorché qualcosa di reale) dovrebbe reagire con un diffuso rifiuto, con una scontrosa ma sacrosanta ribellione.
Un rifiuto, una ribellione che nei confronti delle reti televisive pubbliche e dei grandi organi di informazione a mezzo stampa si vanno facendo sempre più tenui, come se questa progressiva eclissi della necessità della verità fosse il segno ineluttabile dei tempi, il marchio di riconoscimento di un trapasso epocale.
E’ l’«ambiguità del progresso - dice Joseph Ratzinger - che offre inedite possibilità per il bene, ma apre al tempo stesso possibilità abissali di male che prima non esistevano ».
Ma come regolamentare, come concepire un’etica dell’informazione visto che l’autoregolamentazione e le varie Carte dei diritti del lettore che ridondano di principi e di propositi raramente hanno efficacia?
Ci vorrebbe forse un comitato di saggi, indipendenti ed estranei ad ogni logica di potere e di ideologia, chiamati a segnalare di volta in volta a tutti noi fabbricanti di informazione quando usciamo dalla linea della decenza. Perché almeno non si dica che non ce n’eravamo mai accorti.
© Copyright Avvenire, 26 gennaio 2008
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