28 gennaio 2008
Domanda ingenua: se si prevedono possibili contrapposizioni mediatiche fra un vescovo ed il Papa perchè non parlare chiaro da subito?
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Piena appartenenza alla comunità ecclesiale in virtù del battesimo. Ecco perché le persone che vivono l’esperienza dolorosa di un «amore infranto» devono essere invitate a pregare e a partecipare alla Messa
Lettera di Tettamanzi Novità in concerto con tutta la Chiesa
DI LUCIANO MOIA
La data era obiettivamente a rischio. Ma don Davide Milani, responsabile delle Comunicazioni sociali per la diocesi ambrosiana, è stato buon profeta. Domenica, sulle pagine di 'Milano Sette', l’edizione locale del nostro quotidiano, presentando la lettera del cardinale Tettamanzi sui separati, aveva lanciato una sfida: «Scommettiamo che i grandi giornali 'laici' leggeranno tra le righe fantomatiche contrapposizioni nella Chiesa?». Scommessa vinta. Quello che si temeva, è puntualmente avvenuto.
Qualcuno ha letto nella riflessione del cardinale di Milano una fuga in avanti sul piano dottrinale. Altri si sono spinti a delineare addirittura una linea contrapposta rispetto al presidente della Cei. Da una parte il tono accogliente di Tettamanzi. Dall’altra il rigore di Bagnasco. Altri ancora vi hanno colto 'straordinarie aperture' addirittura mai prima azzardate dal magistero ecclesiale. Tutte letture - occorre dirlo con franchezza - viziate dalla voglia di sensazionalismo e comunque lontana dalla verità. Quello che l’arcivescovo ambrosiano scrive nella sua 'Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione' non è frutto di sorprendente improvvisazione e neppure di scriteriata indulgenza.
Innanzitutto il nuovo documento va inquadrato nel percorso pastorale triennale sulla famiglia avviato nel 2006 e che è già sfociato in due ampi testi dove Tettamanzi offre numerosi riferimenti alla necessità di guardare alla condizione delle famiglie dei separati e dei risposati «con un di più di accoglienza, di cura e di aiuto da parte della comunità cristiana». Se qualcuno avesse voluto cogliere contrapposizioni (presunte) e fantasie dottrinali (inesistenti) avrebbe avuto già in quei due documenti spunti sufficienti. Ma chi legge i testi di un percorso pastorale?
Una linea coerente dal Vaticano II a Ratzinger
Inoltre, tutte le considerazioni della nuova Lettera si inseriscono in una linea dottrinale di assoluta coerenza che parte dal Concilio vaticano e arriva a Benedetto XVI e che, in più occasioni, con grande chiarezza, ha preso in considerazione il problema dei separati e dei divorziati.
Qualcuno, in questi giorni, si è stupito perché l’arcivescovo di Milano sollecita anche i risposati a non allontanarsi dalla vita di fede e dalla Chiesa, chiede loro di «partecipare alla celebrazione eucaristica nel Giorno del Signore», spiega che anche dai divorziati e risposati «la Chiesa attende una presenza attiva e una disponibilità a servire quanti hanno bisogno del vostro aiuto».
Ribadisce però l’impossibilità di accedere alla comunione eucaristica per chi vive stabilmente un secondo legame. Indicazione che, spiega Tettamanzi, deriva direttamente dal fatto che nell’Eucaristia «abbiamo il segno dell’amore sponsale indissolubile di Cristo per noi; un amore, questo, che viene oggettivamente contraddetto dal 'segno infranto' degli sposi che hanno chiuso un’esperienza matrimoniale e vivono un secondo legame ».
L’amore di Cristo e l’amore infranto degli sposi
Chi pensa che si tratti di una richiesta fuori posto o magari di una pretesa inopportuna, rilegga quanto scriveva Giovanni Paolo II, 28 anni fa nella 'Familiaris consortio': «Esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera». E a proposito della comunione eucaristica dei divorziati risposati: «Il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia».
I medesimi concetti, più o meno le medesime parole e comunque le medesime preoccupazioni pastorali che hanno sollecitato lo scorso anno Papa Ratzinger nella 'Sacramentum caritatis' a ribadire che divorziati e risposati «continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria».
Un problema, quello dell’esclusione dall’Eucaristia, che Benedetto XVI aveva già affrontato nel discorso ai sacerdoti della diocesi di Aosta, nel luglio 2005, quando aveva tracciato una similitudine di grande efficacia tra la sofferenza dei divorziati e quella della Passione di Gesù.
«Il Cristo sofferente - aveva detto Ratzinger - abbraccia in un modo particolare queste persone e comunica con loro in un altro modo e possono quindi sentirsi abbracciate dal Signore crocifisso che cade in terra e muore e soffre per loro, con loro ». Rivolgendosi poi ai sacerdoti, il Papa aveva sollecitato a riconoscere e riaffermare la piena appartenenza alla Chiesa dei separati e dei divorziati. «È importante che il parroco e la comunità parrocchiale facciano sentire a queste persone che, da una parte, dobbiamo rispettare l’inscindibilità del Sacramento e, dall’altra parte, che amiamo queste persone che soffrono anche per noi».
Wojtyla, Ratzinger, Tettamanzi: casuali coincidenze? No, parallelismi coerenti, a proposito di separati e divorziati, che non sorprendono se si ha l’accortezza di mettere a confronto i documenti e di non limitarsi ad orecchiare qualche sintesi improvvisata.
In un altro passaggio importante della 'Lettera', anche questo sottolineato con stupore immotivato da qualche giornale, l’arcivescovo di Milano affronta il tema della responsabilità. Quella delle persone coinvolte nel fallimento che deve sollecitare a riconoscere «gesti, parole, abitudini e scelte che hanno pesato e hanno determinato un certo esito della vita a due». Ma anche quella della Chiesa, che deve raddoppiare gli sforzi per offrire ai fidanzati cammini di «vera preparazione e di vera comprensione del significato del patto coniugale con cui si sono legati reciprocamente».
Forse in qualche occasione - è il timore di Tettamanzi - non c’è stata da parte della comunità cristiana «delicatezza e attenzione» nell’accompagnare queste persone nel loro itinerario di coppia e di famiglia prima e dopo il matrimonio.
Forse chi soffre per un matrimonio finito in frantumi ha incontrato in qualche circostanza uomini o donne di Chiesa da cui è stato ferito con gli atteggiamenti e con le parole. Per tutte queste eventualità il cardinale ambrosiano chiede scusa: «Desidero dirvi il mio dispiacere e affidare tutti e ciascuno al giudizio e alla misericordia del Signore ».
Un passaggio affettuoso dettato dalla volontà di esprimere vicinanza umana ma anche dalla consapevolezza che ogni fallimento di un legame sancito da un sacramento 'sociale' come il matrimonio impoverisce la Chiesa e, di conseguenza, la società intera. «La priva - osserva ancora Tettamanzi di un segno luminoso che doveva esserle di gioia e di consolazione».
Ogni matrimonio che si spezza inocula infatti nell’intero corpo sociale virus letali di disordine, precarietà, sofferenza. E quando la famiglia soffre tutta la società va in affanno. In questa prospettiva, delineare gli effetti culturali diseducativi che potrebbero derivare da una legge sulle unioni civili o dal cosiddetto 'divorzio breve', come ha fatto il cardinale Bagnasco nella prolusione di lunedì scorso, non va in una direzione diversa.
Pastorale familiare tra casa e società
Al centro delle preoccupazioni di entrambi i porporati ci sono - da angolature diverse - la promozione e la difesa del matrimonio e della famiglia. Dal punto di vista ecclesiale ma anche da quello sociale.
La pastorale familiare infatti, che aiuta gli sposi a crescere nella vita di fede, è determinante sia quando offre alle giovani coppie ragioni convincenti per evitare la deriva del fallimento coniugale, sia quando mette a disposizioni strumenti per camminare insieme nella società. Una famiglia debole, latitante, inconsistente - come spesso diventano loro malgrado quelle lacerate dalla crisi - finirà non soltanto per determinare un vulnus nel corpo ecclesiale, ma non riuscirà più a essere quella scuola di virtù sociali - accoglienza, dialogo, generosità, gratuità, disponibilità, reciprocità che sono l’anima della vita e dello sviluppo della società stessa. E in vista di questo obiettivo pensare e scrivere che Tettamanzi e Bagnasco - o qualsiasi altro pastore possano parlare lingue diverse significa non soltanto ignorare la verità dei fatti, ma anche dimenticare la rilevanza assoluta della posta in gioco.
© Copyright Avvenire, 26 gennaio 2008
Beh, prevenire e' meglio che curare...
Anche la diocesi di Milano conosce come funzionano i media ma pare si sia limitata a fare previsioni puntualmente verificatesi.
Una sorta di profezia che si autoavvera...
R.
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4 commenti:
Ma era solo e veramente una profezia?????!!!!!!!
Se la cosa era così`prevedibile, ed in effetti lo era, perchè non mettere nel testo, frasi che avrebbero impedito ogni strumentalizzazione ? Come per esempio, un riferimento espresso al Magistero di Benedetto XVI ?
Difficile non dirsi che queste manipolazioni, se non erano volute, non sono state nemmeno evitate, e una volta verificate ,non sono state smentite.
Dunque, io resto con le mie interrogazioni e dubbi.
Inatti, anch'io ho dei dubbi giganteschi quanto i tuoi :-))))))
Condivido in toto il pensiero di Luisa e di Euge.
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