24 marzo 2008
La Cina è vicina alla città del Vaticano (Mondo per "La Stampa")
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La Cina è vicina alla città del Vaticano
LORENZO MONDO
La Via Crucis del Venerdì santo al Colosseo ha immesso quest’anno nella suggestiva gravità della cerimonia un nuovo, importante elemento. Le meditazioni sulle 14 «stazioni» erano infatti affidate al cardinale Zen Ze-Kiun, vescovo di Hong Kong. È un ulteriore segnale di quanto, per riprendere uno slogan trionfalistico di stagioni defunte, la Cina sia «vicina», con tutte le sue contraddittorie potenzialità. Da un lato, le Olimpiadi di Pechino, che si spera possano avvicinare il colosso asiatico alla pratica della democrazia; dall’altro la spietata repressione della rivolta tibetana, la deliberata prosecuzione di quello che il Dalai Lama definisce un genocidio culturale.
In questo scenario, l’onore conferito dalla Santa Sede al vescovo di Hong Kong acquista un significato bivalente. Sembra infatti riconoscere il tenuissimo disgelo in atto tra la Chiesa e il governo cinese, augurandosi di rafforzarlo alla luce e alla visibilità dei giochi olimpici. Ma anche se si sono astenute da ogni provocazione, le parole pronunciate nella Via Crucis riusciranno moleste alle autorità cinesi.
L’allarme per i cristiani perseguitati in ogni parte del mondo chiama in causa, investe prioritariamente le responsabilità di Pechino. Proprio perché a lanciarlo è un cinese, che esalta tra l’altro la «Chiesa del silenzio», vittima per definizione dei regimi comunisti, compreso l’ultimo, significativo comunismo rimasto.
Si aggiunga, come elemento di possibile contrasto, la precedente esortazione di Benedetto XVI a uno spirito di tolleranza per risolvere il conflitto del Tibet. Così l’invocazione, salita dal Colosseo, della libertà religiosa per i cristiani finisce con il riverberarsi, per circostanze inattese, anche sul buddismo tibetano.
Con una incidenza tutto sommato più netta delle imbarazzate, e perfino avvilenti cautele, dettate dalla Realpolitik delle diplomazie occidentali. Non sappiamo come Pechino reagirà a medio termine. Le Olimpiadi intanto, si consoli chi può, non sembrano compromesse. Prima di allora, il sangue e i silenzi hanno tutto il tempo per stingere. Dovremo sperare in altri giochi della Storia, meno esibiti e prevedibili, per registrare qualche successo nel travagliato cammino della Cina verso più umani, civili comportamenti.
© Copyright La Stampa, 23 marzo 2008 consultabile online anche qui.
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