6 marzo 2008
La Realpolitik del Papa verso la Cina passa dalla Via Crucis al Colosseo (Rodari per "Il Riformista")
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La Realpolitik del Papa verso la Cina passa dalla Via Crucis al Colosseo
Paolo Rodari
Che Benedetto XVI, all’insegna del pragmatismo politico, tenga particolarmente ai rapporti con il governo di Pechino nel tentativo di salvaguardare il più possibile la difficile esistenza dei cattolici cinesi, lo dimostrano i fatti.
Oltre all’invio, nel maggio dello scorso anno, di una storica lettera ai cattolici del paese in cui per la prima volta sono arrivate dalla Santa Sede importanti aperture a Pechino e alla Chiesa filo governativa (oltre a questa Chiesa, in Cina, ne vive tra mille difficoltà un’altra sotterranea), è in occasione della prossima Via Crucis prevista per il venerdì santo al Colosseo che Benedetto XVI invierà oltre la Grande Muraglia un altro segnale degno di nota.
A firmare le meditazioni, infatti - la scelta, ovviamente, è tutta di Ratzinger -, sarà il vescovo di Hong Kong, Joseph Zen Ze-Kiun: 76 anni, è nato a Yang King-pang, nella diocesi di Shanghai.
A Hong Kong in qualità di coadiutore della diocesi dal settembre 1996, e dunque un anno prima del ritorno della città sotto la sovranità della Cina, Zen è divenuto vescovo della diocesi soltanto nel 2002.
E quando, il 22 febbraio 2006, Benedetto XVI ha annunciato a sorpresa l’intenzione di concedergli la berretta cardinalizia, si è ben compreso come era sul neo porporato che il Papa avrebbe contato per lavorare nei difficili rapporti diplomatici tra Santa Sede e Pechino. Le parole pronunciate da Zen subito dopo l’annuncio del Papa, infatti, dimostrano questa volontà: «Questa nomina - disse il porporato cinese - è un segno di benevolenza e di affetto del Papa per tutta la Cina. E se io accetto, l’accetto per tutta la Cina. Ho ormai quasi 75 anni e pensavo di andare in pensione. Adesso non so cosa mi accadrà. Staremo agli ordini e obbediremo. Forse il Papa avrà bisogno ogni tanto di qualche consiglio. Sulla Cina ci sarà molto da lavorare».
Dire che la scelta di fare firmare le meditazioni del venerdì santo a Zen è una mano tesa che la Santa Sede tende a un paese che, in tutti i modi, cerca di mostrare all’Occidente una faccia democratica (nel tentativo è compresa anche la difficile organizzazioni delle Olimpiadi), è senz’altro troppo.
Eppure, un vescovo cinese che dopo gli illustri nomi di Angelo Comastri (2006) e Gianfranco Ravasi (2007) offre le proprie riflessioni per uno degli appuntamenti papali più seguiti nel mondo, resta uno spot che la Cina può in qualche modo giocarsi a livello di immagine.
A conti fatti, comunque, tra i tanti presuli cinesi, Zen resta quello caratterizzato dalla linea di maggiore realismo nei confronti di Pechino. Un linea, cioè, che non vuole assolutamente nascondere le sofferenze dei cattolici cosiddetti sotterranei. Zen, infatti, si è più volte permesso di criticare apertamente Pechino anche in virtù di un certo prestigio guadagnato sul campo. Nonostante a Hong Kong i cattolici siano soltanto il 5 per cento della popolazione, il porporato ha sovente mostrato, da fedele figlio di don Bosco quale è, un coraggioso impegno sociale, grazie al quale è divenuto una delle figure più rispettate e influenti - e persino temute - della città. Non a caso, nel 2002, venne votato come “personaggio dell’anno”, ricevendo sui giornali la singolare qualifica di “coscienza morale” di Hong Kong.
Pechino è un governo che tende a rispettare le persone dure e per certi versi intransigenti come è Zen. E nonostante il giorno in cui ricevette la porpora cardinalizia diversi osservatori videro nel suo carattere controverso un ostacolo nei rapporti con Pechino, Benedetto XVI ha letto invece proprio nelle spigolature di questo carattere non facile quell’autorevolezza che Pechino attende da ogni suo interlocutore.
Fu nel 1999 che la linea di Zen nei confronti dei Pechino venne fuori in modo evidente a tutti. Allora vennero arrestati diversi esponenti del movimento per il “diritto di residenza” dei figli nati in Cina di residenti di Hong Kong. Zen prese posizione pubblicamente contro questi arresti e addirittura arrivò a incoraggiare scioperi della fame, sit-in e dimostrazioni. Mai un leader religioso aveva osato tanto.
Zen si è più volte espresso in modo positivo nei confronti della lettera inviata dal Papa ai cattolici cinesi. In particolare, ha visto come positiva la volontà di Benedetto XVI di accogliere, dopo lunghi anni di separazione forzata, la stragrande maggioranza dei vescovi della Chiesa ufficiale all’interno dell’unica Chiesa cattolica. «La Chiesa in Cina - disse in occasione del sinodo dei vescovi del 2005 -, apparentemente divisa in due, una ufficiale riconosciuta dal governo e una clandestina che rifiuta di essere indipendente da Roma, è in realtà una Chiesa sola, perché tutti vogliono stare uniti al Papa». L’auspicio, dunque, è che anche Pechino accetti questa volontà di unità «anche se - disse - gli elementi “conservatori” interni alla Chiesa ufficiale vi pongono resistenza, per ovvi motivi di interesse».
© Copyright Il Riformista, 6 marzo 2008 consultabile online anche sul blog di Paolo Rodari a questo indirizzo.
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