3 marzo 2008

Il ginecologo Bovicelli: «Sulla Ru486 i medici dicano tutta la verità» (Avvenire)


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LA DIFESA DELLA VITA

«La legge 194 prevede che siano promosse tecniche meno rischiose per la salute delle donne, ma il tasso di mortalità dell’aborto medico è 10 volte superiore a quello chirurgico»

«Sulla Ru486 i medici dicano tutta la verità»

Tempi strettissimi per decidere l’aborto, che dura tre giorni e spesso richiede comunque l’intervento chirurgico. L’appello del ginecologo bolognese Bovicelli: «Alle donne va spiegato perché la pillola non è 'dolce'»

DI VIVIANA DALOISO

«Bugie, leggerezze». Fino all’in­terpretazione «del tutto fuor­viante » della legge 194, che al­l’articolo 15 prevederebbe l’introduzione di tecniche alternative all’aborto chirugico qua­lora fossero «più moderne, più rispettose del­l’integrità fisica e pscichica della donna e me­no rischiose». Sulla Ru486 – e le ragioni dei sostenitori della sua introduzione in Italia – il professor Luciano Bovicelli, ginecologo e ordinario di Clinica ginecologica e ostetrica all’Università degli Studi di Bologna, non vuole più tacere. A cominciare dai quei 'pic­coli' particolari inerenti le modalità e i tem­pi dell’aborto medico che troppo spesso ven­gono taciuti alle donne.

Professore, che cosa pensa della pillola a­bortiva?

Ne penso ogni male possibile. Come ogni male possibile penso di chi ne parla, nel no­stro Paese, facendo assoluta disinformazio­ne: cioè spacciando il farmaco per la 'pillo­la dolce', convincendo le donne che il me­todo è molto più semplice e psicologica­mente accettabile di quello chirurgico.

Ci spieghi perché le cose non stanno così.

Innanzitutto vorrei ricordare un particolare: entro quando la Ru486 può essere utilizzata per abortire. Il farmaco ha tempi strettissimi: per risultare efficace, deve essere assunto en­tro le 7settimane dall’inizio della gestazione (il 49esimo giorno di gravidanza). In pri­mo luogo, dunque, occorre un immediato riconoscimento della gravidanza, che spes­so non si verifica. Considerando, poi, che prima dell’assunzione vera e propria della pillola è necessaria un’accurata ecografia, e che accedervi non è così immediato in tut­te le strutture pubbliche, possiamo imma­ginare quanto tempo avanzerà alla donna per riflettere sulla decisione che sta pren­dendo. Senza contare che proprio qui sor­ge il problema della compatibilità del far­maco con la legge 194: in base a quest’ulti­ma, la donna deve avere sette giorni a di­sposizione per decidere se effettivamente vuole ricorrere all’interruzione di gravidan­za. Nella 'corsa' alla Ru486 appena descrit­ta, questo tempo avanzerebbe?

Poniamo che la questione dei tempi venga affrontata e superata con 'successo': la donna riesce, entro i 49 giorni, a iniziare il protocollo.

Ebbene: il medico gli consegna la prima pil­lola, le spiega che va assunta subito e ucciderà il suo bambino. Poi, due giorni dopo, dovrà prenderne un’altra: stimolerà le contrazioni del suo utero e favorirà l’espulsione del suo bambino, già morto. A quel punto, secondo i 'tifosi' del protocollo, la donna dovrebbe mandar giù, a cuor leggero. Posto che l’abor­to è sempre un evento drammatico, come so­stenere che farlo durare tre giorni e scaricar­lo completamente addosso alla madre sia più un metodo 'dolce', psicologicamente più ac­cettabile dell’intervento chirugico?

Quegli stessi 'tifosi' le direbbero, a questo punto, che l’aborto medico comporta me­no rischi, non trattandosi di un intervento...

E io tirerei fuori le pagine di innumerevoli ri­viste scientifiche internazionali, che docu­mentano come invece l’aborto da Ru486 sia ben più rischioso di quello chirurgico. Un numero su tutti, quello del tasso di morta­­lità: secondo quanto riportato dall’autore­vole «New England Journal of medicine» nel 2005 è di dieci volte maggiore rispetto a quel­lo chirugico.

Quale vantaggio allora?

L’unico vantaggio – e lo dico con tristezza, sono un ginecologo – è quello dei medici, che qualora la Ru486 fosse introdotta an­che nel nostro Paese potrebbero lavarsi completamente le mani e 'delegare' alla donna l’intera responsabilità dell’aborto. Ecco perché vorrei fare un appello ai miei colleghi.

Prego.

Come medici dobbiamo rifiutare questo metodo, spiegare in che cosa realmente con­siste. Qui posizioni ideologiche e convin­zioni personali non c’entrano: è in ballo la salute delle donne. A loro dobbiamo questo sforzo.

© Copyright Avvenire, 2 marzo 2008


DA SAPERE

Dagli esperimenti sui topi alle donne: ecco come è nata la pillola abortiva

Prima che nel 1980 l’endocrinologo francese Étienne-Émile Baulieu la trasformasse in un abortivo, la Ru486 (fino ad allora nota come Ru38486) veniva utilizzata nei laboratori nel corso di esperimenti sui topi: si trattava di una medicina capace di arrestare il funzionamento della ghiandola surrenale. Fu allora che, per la prima volta, ci si rese conto che le femmine di topo gravide abortivano e qualcuno si chiese se non si poteva utilizzare la proprietà abortiva della molecola cambiandole il nome. Ma proprio questa funzione ha portato alla morte di diverse donne: in presenza di un’infezione uterina la situazione può divenire drammatica proprio per l’insufficienza surrenale creata dalla pillola. (V. Dal.)

© Copyright Avvenire, 2 marzo 2008

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