26 aprile 2007

Creazionismo e Evoluzionismo (2)


Dopo avere letto il punto di vista della scienza e della filosofia, possiamo passare allo studio della posizione della Chiesa sul tema dell'orgine ed evoluzione della vita.
In attesa dell'uscita in Italia del testo "Creazione ed Evoluzione" che raccoglie le conclusioni del seminario di Castel Gandolfo del settembre 2006, trovo interessante pubblicare alcuni stralci di un libro di Papa Benedetto, "In principio Dio creò il cielo e la terra Riflessioni sulla creazione e il peccato", scritto quando il Pontefice era ancora cardinale.
E' veramente interessante addentrarsi nel pensiero del Papa su questo argomento anche alla luce delle recenti polemiche. Segue una riflessione del cardinale Schönborn su "Avvenire".

Raffaella

Vedi anche:

Creazionismo e Evoluzionismo (1)

Creazione o evoluzione? La parola al Papa

Creazione od evoluzione? La Chiesa di Roma risponde così

Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, In principio Dio creò il cielo e la terra Riflessioni sulla creazione e il peccato, «I Pellicani» - religione, cristianesimo, spiritualità – Edizioni Lindau, Torino Ottobre 2006.

Profondo ma semplice e incredibilmente attuale, questo libro permette di capire quali possano essere i punti di contatto, o le differenze, tra le teorie scientifiche più avanzate (Big Bang, evoluzionismo) e la fede.
Consiste di cinque riflessioni sul significato cristiano della creazione, sulla sua intrinseca razionalità.
Il testo esprime il senso del processo creativo non solo come spiegazione causale ma soprattutto come missione che Dio ha affidato all’uomo. Da ciò il significato del peccato originale come tradimento di questa missione.
L’ultima riflessione si concentra sulle implicazioni che ha per l’uomo la credenza in un mondo creato da Dio e non ridotto a cieca materia.
Il testo risale al periodo in cui Ratzinger era ancora cardinale, ma in esso è possibile rintracciare gli stessi penetranti argomenti e lo stesso afflato spirituale dei suoi discorsi da Papa.

« La minaccia alla vita da parte dell’azione dell’uomo, di cui oggi tanto si parla, ha conferito nuova urgenza al tema della creazione. Nello stesso tempo, però, assistiamo paradossalmente alla scomparsa quasi totale dell’annuncio della creazione dalla catechesi, dalla predicazione e perfino dalla teologia.
I racconti della creazione vengono taciuti; le loro affermazioni non sembrano più proponibili. Di fronte a questa situazione, nella primavera del 1981 mi decisi a tenere quattro prediche quaresimali nella Cattedrale di Nostra Signora di Monaco e a tentare così una catechesi per adulti sulla creazione.
Allora non potei venire incontro al desiderio, avanzato da molti, di pubblicare le prediche in forma di libro perché non avevo il tempo di rielaborare le trascrizioni da registratore gentilmente effettuate da vari fedeli.
Negli anni successivi, dal punto di osservazione della mia nuova carica, mi è tuttavia diventata ancora più evidente la situazione di abbandono di questo argomento nell’annuncio dei nostri giorni. Mi sono sentito perciò spinto a riprendere i vecchi manoscritti e a rielaborarli per la stampa, senza peraltro modificarne il loro carattere di prediche, con i limiti che tale genere comporta.
Spero che queste pagine stimoleranno altri a fare meglio in modo da restituire al messaggio del Dio creatore il posto che gli spetta nella nostra predicazione».


Roma, festa di Sant’Agostino 1985
Joseph Ratzinger

Così Joseph Ratzinger in una osservazione della prefazione, dove si domanda se dopo tutto i racconti della creazione della Genesi non abbiano più alcun valore. In effetti non molto tempo fa un teologo ha detto che la creazione sarebbe diventata un concetto irreale e che bisognerebbe parlare in maniera intellettuale più onesta non più di creazione, bensì solo più di mutazione e di selezione.

L’autore ha salutato con favore la nuova edizione dei suoi testi «per richiamare di nuovo alla mente le istanze essenziali della fede cristiana nella creazione e per incoraggiare a svilupparle nella predicazione e nella teologia.

Dal libro

Creazione ed evoluzione

Qualcuno potrebbe ora dire: tutto questo è molto bello, ma non è smentito dalle nostre conoscenze scientifiche circa l’origine dell’uomo dal mondo animale? Orbene, gli spiriti più riflessivi hanno da lungo tempo riconosciuto che qui non si tratta di alternativa. Non possiamo dire: creazione o evoluzione. La formula esatta è creazione ed evoluzione, perché le due cose rispondono a due domande diverse.

Il racconto della polvere della terra e dell’alito di Dio, che abbiamo appena ascoltato, non ci narra infatti come l’uomo ha avuto origine. Esso ci dice che cosa egli è. Ci parla della sua origine più intima, illustra il disegno che sta dietro di lui. Viceversa la dottrina dell’evoluzione cerca di individuare e descrivere dei processi biologici. Non riesce a spiegare l’origine del «progetto» uomo, a spiegare la sua derivazione interiore e la sua essenza. Ci troviamo perciò di fronte a due questioni che si integrano, non si escludono.

Ma soffermiamoci ancora un momento su questo punto, perché anche in questo caso la direzione presa dal pensiero in questi ultimi due decenni ci aiuta a vedere in maniera nuova l’intima unità fra creazione ed evoluzione, tra fede e ragione. Una delle caratteristiche specifiche del XIX secolo fu quella di aver continuamente approfondito la coscienza della storicità e del divenire di tutte le cose. Esso riconobbe che certe cose, da noi ritenute immutabili e sempre uguali, sono il prodotto di un lungo divenire. Ciò vale nel campo dell’umano, ma vale anche nel campo della natura. Si capì allora che l’universo non è una specie di grande scaffale, in cui tutto è sistemato al suo posto, ma che esso va piuttosto paragonato a un albero vivo che cresce e diviene, che proietta a poco a poco i suoi rami sempre più in alto nel cielo. Questa idea generale è stata ed è spesso presentata in termini un po’ fantasiosi, ma col progredire della ricerca si vede sempre meglio qual è il modo giusto di intenderla. Farò qualche brevissimo accenno a questo argomento basandomi su Jacques Monod che, nella sua qualità di scienziato di primo piano e di deciso nemico di ogni fede nella creazione, può essere certo considerato un testimone insospettabile.

Anzitutto mi sembrano importanti due precisazioni di fondo, da lui messe a fuoco. La prima dice: nella realtà non esiste solo la necessità. Nel mondo non possiamo, come pretendeva ancora Laplace, e come Hegel cercò di elaborare nella sua sintesi concettuale, derivare tutto con assoluta necessità in successione cronologica e causale. Non esiste una formula, da cui tutto il resto deriva necessariamente. Nel mondo non esiste solo la necessità, ma anche il caso, dice Monod. Come cristiani noi andremmo ancora un gradino più a fondo e diremmo: esiste anche la libertà. Ma ritorniamo a Monod. Egli ricorda che esistono in particolare due realtà, che non dovevano necessariamente esistere: potevano, ma non dovevano necessariamente esistere. Una delle due è la vita. Secondo le leggi fisiche, la vita poteva, e non doveva, aver origine. Anzi, egli aggiunge: era estremamente inverosimile che ciò si verificasse. La probabilità matematica in questo senso era pressoché nulla, per cui possiamo anche ritenere che la vita, questo evento estremamente improbabile, si sia verificata una sola volta sulla nostra terra.

La seconda realtà, che poteva ma non doveva necessariamente essere, è il misterioso essere uomo. Anche lui è così improbabile che Monod afferma in veste di scienziato: dato l’alto grado di improbabilità può darsi benissimo che solo una volta si sia verificato l’evento che ha dato origine a questo essere. Noi siamo un caso, conclude. Abbiamo estratto un numero fortunato alla lotteria, dobbiamo paragonarci a una persona che inaspettatamente ha vinto un miliardo alla lotteria. Nel suo linguaggio ateo egli non fa che ripetere quel che la fede dei secoli passati aveva chiamato la «contingenza» dell’uomo e quel che per la fede si era tramutato in preghiera: io non dovrei essere, ma sono, e tu, o Dio, mi hai voluto. Solo che al posto della volontà di Dio Monod mette il caso e la lotteria, che ci avrebbero dato origine. Se le cose stessero così, sarebbe davvero difficile affermare che si è trattato di un colpo di fortuna. Non molto tempo fa un taxista mi faceva osservare che un numero crescente di giovani spesso ripete: «Non mi è mai stato chiesto se volevo nascere». E un maestro mi riferiva: «Ho cercato di indurre un alunno ad essere grato ai genitori dicendogli: “Devi pur loro la vita!“. Ma egli mi ha risposto: “Di questo non sono proprio grato!”». Quel piccolo non vedeva alcuna fortuna nell’essere uomo. E in effetti, se siamo stati gettati dal caso cieco nel mare del nulla, abbiamo sufficienti motivi per ritenere questo fatto un colpo di sfortuna. Solo se sappiamo che esiste uno che non ha tirato ciecamente a sorte, che noi non siamo un caso, bensì siamo dalla libertà e dall’amore, allora noi, i non necessari, possiamo ringraziare per questa libertà e riconoscere con gratitudine che è un dono essere uomini.

Affrontiamo ora direttamente la questione dell’evoluzione e dei suoi meccanismi. La microbiologia e la biochimica hanno fatto qui delle conquiste sconvolgenti. Esse penetrano sempre più nel mistero intimo della vita, cercano di decifrarne il linguaggio segreto e di riconoscere quel che essa propriamente è. Nel corso di questo lavoro esse sono giunte a riconoscere che possiamo indubbiamente mettere a confronto sotto molti aspetti un organismo e una macchina. L’uno e l’altra hanno infatti dei punti in comune: ambedue realizzano un progetto, un piano concepito e razionale, coerente e logico; il loro funzionamento è basato su una costruzione ideata con precisione e quindi in maniera riflessa. Ma accanto a questi punti in comune ci sono anche delle diversità. Una prima, piuttosto modesta, può essere così descritta: il progetto «organismo» è incomparabilmente più intelligente e ardito delle macchine più raffinate. Queste, se paragonate al progetto «organismo», sono concepite e costruite in maniera affrettata. Una seconda differenza incide più a fondo: il progetto «organismo» si muove da solo, dall’interno, non come le macchine, che sono messe in moto dall’esterno. E infine la terza differenza: il progetto «organismo» ha la forza di riprodursi; esso può rinnovare e trasmettere il progetto da lui stesso rappresentato. In altre parole: esso ha la facoltà della procreazione, mediante la quale viene di nuovo all’esistenza un vivente in tutto simile e concordante.

Qui compare ora qualcosa di importante e di inatteso, che Monod chiama il «lato platonico del mondo». Ciò significa: non esiste soltanto il divenire, nel corso del quale tutto cambia continuamente, ma esiste anche il permanente, esistono anche le idee perenni, che illuminano la realtà e ne sono stabilmente i principi direttivi. Esiste il permanente, ed esso è così fatto che ogni organismo riproduce rigorosamente il proprio modello, il progetto da esso rappresentato. Ogni organismo, come dice Monod, è per sua natura conservatore. Mediante la procreazione esso si riproduce esattamente com’è. Monod conclude perciò coerentemente: per la biologia moderna l’evoluzione non è una proprietà degli esseri viventi; una loro proprietà è piuttosto quella di essere immutabili: essi si tramandano; il loro progetto rimane.
Monod trova tuttavia ugualmente la via per l’evoluzione, constatando che nella trasmissione del progetto possono verificarsi degli errori. Questo errore, una volta verificatosi, continua a essere trasmesso, appunto perché la natura è conservatrice. Tali errori possono sommarsi e dalla loro somma può risultare qualcosa di nuovo. Segue ora una conclusione strabiliante: in questo modo è sorto tutto il mondo della vita, è sorto l’uomo; noi siamo il prodotto di errori casuali.

Che dire di questa risposta? È compito delle scienze naturali chiarire attraverso quali fattori l’albero della vita si differenzia e si sviluppa, mettendo nuovi rami. Non spetta alla fede. Però possiamo e dobbiamo avere il coraggio di dire: i grandi progetti della vita non sono un prodotto del caso e dell’errore né sono il prodotto di una selezione, cui si attribuiscono predicati divini, che in questa sede sono illogici, a-scientifici, un mito moderno. I grandi progetti della vita rimandano a una ragione creatrice, ci indicano lo Spirito creatore e lo fanno oggi in maniera più chiara e splendente che mai. Oggi pertanto possiamo dire con una certezza e una gioia nuove: Sì, l’uomo è un progetto di Dio. Solo lo Spirito creatore fu sufficientemente forte, grande e ardito da escogitare questo progetto. L’uomo non è uno sbaglio, ma è voluto, è il frutto di un amore. Egli può scoprire in sé stesso, nell’ardito progetto da lui rappresentato, il linguaggio dello Spirito creatore che gli parla e lo incoraggia a dire: Sì, Padre, tu mi hai voluto.
I soldati romani, dopo aver flagellato Gesù, averlo incoronato di spine e averlo rivestito con un manto ridicolo, lo ricondussero a Pilato. Questo militare incallito rimase evidentemente scosso alla vista di quell’uomo straziato. Appellandosi alla pietà, lo presentò alla folla con le parole: «Idu ho anthropos!», «Ecce homo», espressione che noi abitualmente traduciamo: «Ecco l’uomo». La traduzione precisa dell’espressione greca dovrebbe invece essere: «Ecco, questo è l’uomo!». Sulle labbra di Pilato queste erano le parole di un cinico che intendeva dire: noi andiamo fieri di essere uomini, ma guardatelo qui, questo verme: questo è l’uomo! Quanto è spregevole e piccolo! Ma l’evangelista Giovanni ha riconosciuto nelle parole del cinico un’affermazione profetica e le ha trasmesse così alla cristianità. Sì, Pilato ha ragione quando dice: Ecco, questo è l’uomo! In lui, in Gesù Cristo, possiamo riconoscere che cosa è l’uomo, il progetto di Dio, e quel che noi ne abbiamo fatto. In Gesù sfigurato possiamo vedere quanto l’uomo possa essere crudele, meschino e basso. In lui possiamo riconoscere la storia dell’odio e del peccato umani. Ma in lui e nel suo amore sofferente per noi possiamo ancor di più riconoscere la risposta di Dio: Sì, questo è l’uomo, l’amato da Dio fin nella polvere, l’amato in misura tale che Dio gli va dietro fin nell’estrema miseria della morte. Pure nell’umiliazione più profonda l’uomo rimane il chiamato da Dio, il fratello di Gesù Cristo e quindi il chiamato a partecipare all’eterna vita divina. La domanda «che cosa è l’uomo?» trova la sua risposta nella sequela di Gesù Cristo. Seguendo i suoi passi noi impariamo giorno dopo giorno, mediante l’amore e la sofferenza paziente, che cosa è l’uomo e diveniamo uomini.
[…]

TRADUZIONE DAL TEDESCO DI CARLO DANNA


EVOLUZIONE

È plausibile l’attuale spiegazione dell’origine della vita? E quale deve essere il rapporto tra scienza e teologia? Una riflessione del cardinale Schönborn

Darwin, mancano prove

«Oso affermare che attualmente non c’è probabilmente un’altra teoria scientifica, come quella darwiniana, contro cui esistano altrettante gravi obiezioni, e che ciononostante venga difesa da molti come sacrosanta» «Non cerchiamo di voler mostrare affrettatamente l’intelligent design ovunque, in maniera apologetica»

Di Christoph Schönborn

Quando Laplace fu in grado di dare una spiegazione «meccanica» dell'orbita dei pianeti, replicò a Napoleone, che preoccupato gli chiedeva quale fosse il posto di Dio in quella spiegazione, dicendo la celebre frase: «Je n'ai pas besoin de cette hypothèse».
Laddove Dio deve riempire le lacune del sapere, il suo posto diviene sempre minore con ogni scoperta che riesce a spiegare qualcosa fino ad allora inspiegabile. Queste «nicchie di sopravvivenza» del creatore sono divenute sempre più ristrette, e quanto maggiore è stato il successo delle scienze naturali, tanto più sicuri si sentivano tutti quegli appartenenti alla scientific community che affermavano che un giorno «l'ipotesi di Dio» sarebbe divenuta del tutto superflua.
Sotto il medesimo auspicio si è presentato anche Charles Darwin. Come il professor Stanley L. Jaki ha più volte dimostrato e accuratamente documentato, Darwin era «ossessionato» dall'idea di fornire una spiegazione scientifica plausibile dell'origine delle specie che potesse interamente fare a meno dell'atto separato della creazione divina. La sua «teoria della discendenza», che soltanto in seguito fu chiamata teoria dell'evoluzione, era una lunga argomentazione a favore di una spiegazione «intramondana», ossia puramente materiale, meccanica, dell'«origine delle specie». Laddove Newton affermava ancora che dalla cieca necessità non poteva generarsi alcun mutamento e quindi alcuna varietà delle cose, poiché ciò sarebbe possibile soltanto a partire dall'idea divina e dalla volontà divina, in Darwin valeva il contrario: l'intera varietà delle specie ha origine nelle mutazioni casuali e nelle loro opportunità di sopravvivenza. Il che non rende necessario alcun intervento separato del creatore.
Secondo le ricerche approfondite di Stanley Jaki, non resta dubbio alcuno sul fatto che Darwin, con la sua teoria, intendesse favorire la vittoria scientifica del materialismo. E Dio sa che non era l'unico a volerlo, nell'Ottocento. Non per caso Karl Marx e Friedrich Engels hanno salutato la teoria darwiniana come il fondamento scientifico della loro teoria.
Questa componente ideologica della teoria darwiniana è probabilmente anche la causa principale del fatto che sino ad oggi di essa, dell'evoluzione e creazione, si continui a discutere con altrettanta intensità e passione che in passato. Il dibattito degli ultimi mesi l'ha dimostrato ancora una volta chiaramente. [...]

La possibilità che il creatore si serva anche degli strumenti dell'evoluzione è accettabile per la fede cattolica. La questione è piuttosto se l'evoluzionismo (come visione del mondo) sia conciliabile con la fede in un creatore. Tale questione presuppone a sua volta che si differenzi fra la teoria scientifica dell'evoluzione e le sue interpretazioni ideologiche o filosofiche. Ciò presuppone dal canto suo che si addivenga ad un chiarimento dei presupposti filosofici, di pensiero, dell'intero dibattito sull'evoluzione.
Sono conciliabili la fede nella creazione e la teoria dell'evoluzione? Il «concordismo», oggi ampiamente diffuso, afferma che «la teologia e la teoria dell'evoluzione non possono mai entrare in conflitto perché le due discipline si muovono in ambiti completamente diversi» (A. Walker, Schöpfung und Evolution Jenseits des Konkordismus, in Intern. Kath. Zeitschrift Communio H 35/2006). Questo rapporto, che Stephen Gould definisce principio NOMA (Non-Overlaping Magisteria) non regge, a mio avviso. Devono necessariamente esservi delle sovrapposizioni fra la teologia e le scienze naturali, fra la fede, il pensiero e la ricerca. La fede in un creatore, nel suo progetto, nel suo «governo universale», il suo condurre il mondo ad un obiettivo da lui preposto, non può restare senza punti di contatto con la ricerca concreta del mondo. Per questo: non ogni variante della teoria dell'evoluzione è conciliabile con la fede nella creazione.
A tal proposito Adrian Walker: «Un esempio classico di una simile variante problematica della teoria dell'evoluzione è ciò che definisco darwinismo stretto: la tesi secondo cui il concorso di mutazione (genetica) e selezione naturale sia una spiegazione sufficiente della nascita di nuove forme di vita. Poiché se mutazione e selezione bastano a spiegare tale nascita, non c'è in realtà alcuna ragione del perché la materia cieca non possa essere la prima origine della vita; una tesi che è… inconciliabile con la teoria cristiana della creazione».
Spesso si cerca una via d'uscita nell'affermare che la biologia o in generale le scienze della natura sono materialistiche soltanto a livello metodologico, senza per questo professare il materialismo come visione del mondo. Anche se ciò fosse vero, resta comunque chiaro che quest'opzione metodologica è un atto spirituale che presuppone ragione, volontà, libertà. Basta già questo a dimostrare che limitando il metodo delle scienze naturali a processi meramente materiali non si può venire a capo della totalità della realtà. [...]

Quali pretese pratiche risultano dalle riflessioni abbozzate? Fra le molteplici possibili riflessioni di approfondimento ne scelgo due:

1. Perché l'evoluzionismo, con il suo materialismo ideologico, è divenuto ormai una sorta di surrogato di religione? Perché tanto spesso viene difeso con argomenti così aggressivi ed emotivi? Oso affermare che attualmente non c'è probabilmente un'altra teoria scientifica contro la quale esistano altrettante gravi obiezioni, e che ciononostante venga difesa da molti come assolutamente sacrosanta. Le obiezioni più importanti sono ben note e sono state avanzate frequentemente:

- i missing links, le numerose forme intermedie mancanti fra le specie, che anche dopo centocinquant'anni di intense ricerche semplicemente non esistono;

- il fatto, spesso ammesso, che finora non è mai stata realmente dimostrata un'unica forma di evoluzione da una specie all'altra;

- l'impossibilità a livello di «teoria dei sistemi», che un sistema vivente (ad esempio i rettili) mediante innumerevoli mutazioni di minima entità possa essere trasformato in un altro sistema vivente (ad es. gli uccelli);

- la problematica del concetto di survival of the fittest. Marco Bersanelli ha dimostrato in base ad esempi che la sopravvivenza spesso dipende soltanto dalla fortuna, è una casualità, una contingenza, e non la prova di una particolare fitness. I dinosauri, e molte altre specie, sono scomparsi per delle catastrofi naturali e non a causa della loro non adattabilità.
Queste sono soltanto alcune delle maggiori difficoltà della teoria. Ma perché è ancora così affermata, come teoria scientifica? Perché finora non ne esiste un'altra migliore, e perché come teoria scientifica è semplice ed «attraente».
Ma perché allora viene così caricata di ideologia e diviene uno shibolet materialista? Perché la visione del mondo alternativa è la fede nella creazione. Chi dice creazione, dice anche diritto del creatore. Se esiste un linguaggio leggibile del creatore, allora esiste anche un rivolgersi a noi del creatore. Da esso deriva anche un dovere, un ordinamento etico, ad esempio nella questione dell'ordine dei sessi o nella difesa della vita. Al preteso materialismo e relativismo si può più facilmente collegare una visione materialista dell'evoluzionismo. Non è un caso che l'evoluzionismo ideologico sia stato l'orpello scientifico sia del comunismo che del nazionalsocialismo. Ed è oggi l'orpello del darwinismo sociale economico, che giustifica la lotta senza quartiere per l'esistenza economica.
Ci rallegra l'illogicità dell'affermazione di Richard Dawkins, principale teorico del darwinismo ideologico, quando in un'intervista dice che non vorrebbe vivere in una società darwinistica, poiché sarebbe troppo inumana.

2. Esiste però ancora un altro motivo che rende plausibile il darwinismo. La fede in un buon creatore, nel suo «progetto intelligente del Cosmo» (Benedetto XVI, udienza generale del 9/11/05), viene messa in dubbio da una serie infinita di atti crudeli:

- perché questa strada faticosa dell'evoluzione, con innumerevoli tentativi, vicoli ciechi, con miliardi e miliardi di anni e l'espansione dell'universo, le esplosioni gigantesche delle supernovae, gli elementi che si fondono nella fusione nucleare delle stelle, la macina instancabile dell'evoluzione con i suoi infiniti inizi e distruzioni, le sue catastrofi e crudeltà, fino ad arrivare alle indicibili brutalità della vita e della sopravvivenza? Non è forse più sensato considerare il tutto come il gioco cieco della casualità di una natura priva di progetto? Non è più onesto questo, che non i tentativi di teodicea di un Leibniz, cui vengono a mancare gli argomenti? Non è forse più plausibile dire semplicemente: sì, il mondo è per l'appunto così crudele?

Giunti al termine delle nostre riflessioni occorre dire una cosa: non cerchiamo di voler affrettatamente mostrare l'intelligent design ovunque, in maniera apologetica. Come Giobbe, anche noi non conosciamo la risposta al dolore. Abbiamo ricevuto soltanto una risposta, quella scritta da Dio. Il logos attraverso il quale e nel quale tutto è creato, è divenuto carne e con essa l'intera storia dell'universo, l'evoluzione, con i suoi lati grandiosi ed orribili. Si è assunto su di sé l'intera negatività del dolore, della distruzione e soprattutto del male morale. La croce è la chiave del progetto e consiglio divino. Per quanto importante, essenziale, sia un approfondimento rinnovato della filosofia della natura, il logos della croce è l'ultima saggezza divina. Perché con la sua Santa Croce ha conciliato il mondo intero. Ma la Croce è la porta della resurrezione.
Nella sua prima omelia pasquale, Papa Benedetto ha detto quest'anno: «La risurrezione di Cristo … se possiamo una volta usare il linguaggio della teoria dell'evoluzione, è la più grande "mutazione", il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia… È un salto di qualità nella storia dell'evoluzione e della vita in genere verso una nuova vita futura, verso un mondo nuovo che, partendo da Cristo, già penetra continuamente in questo nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé» (15 aprile 2006).

Se la risurrezione di Cristo è «la più grande mutazione», o come dice Papa Benedetto nella stessa predica l'«esplosione dell'amore», che sciolse l'intreccio fino ad allora indissolubile del «muori e divieni», allora anche noi possiamo dire: questo è il traguardo «dell'evoluzione». A partire dalla sua fine, dal suo completamento, si evidenzia anche il suo senso. Se nelle sue singole fasi può forse apparire priva di fine e di orientamento, dalla Pasqua in poi quella lunga strada ha trovato un senso. Non «la strada è la meta», ma la risurrezione è il senso della strada.

Avvenire, 18 aprile 2007

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