20 aprile 2007

Le prospettive del Pontificato di Benedetto XVI (rassegna stampa del 20 aprile 2007)


Vedi anche:

I primi due anni di uno storico pontificato

Due anni di pontificato, riflessioni...

Fumata bianca, eletto il nuovo Papa,cronaca di quei momenti indimenticabili

19 aprile 2005: l'elezione del semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI e tutti i link ivi segnalati

Mea culpa dei media?


Se il Papa buono è quello che non c’è

di Andrea Tornielli

Ha ragione il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, nel dire, con quel suo stile diretto e così poco curiale, che «per i laicisti di oggi, ma ahimé anche per qualche cattolico, sembra che l’unico Papa buono sia quello che non c’è più». Il porporato piemontese aveva risposto così alla domanda di Avvenire sulla ricorrente contrapposizione tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ieri, giorno del secondo anniversario di pontificato, ci ha pensato il settimanale Newsweek a confezionare un’articolata critica a Ratzinger, accusandolo di essere un «Papa invisibile», assente da tutte le frontiere che ne richiederebbero la presenza. Il settimanale ricorda, con una punta di nostalgia, che Giovanni Paolo II già nei primi cento giorni di regno aveva mostrato la sua attitudine di globe-trotter visitando il Messico, mentre il suo successore «è raramente uscito di casa». Lasciamo stare la possibile obiezione, facile facile, sulla differenza di età (Wojtyla è stato eletto a 58 anni, Ratzinger a 78) e fingiamo di non sapere che nei primi due anni il nuovo Papa – oggi ottantenne – è andato due volte in Germania e una volta in Polonia, Spagna e in Turchia, e ora si appresta a visitare il Brasile.

È interessante, invece, discutere l’obiezione di fondo contenuta nell’articolo di Newsweek. Benedetto XVI sarebbe interessato soltanto a ravvivare il cattolicesimo europeo malato di secolarizzazione e relativismo, si batterebbe soltanto per combattere l’aborto, l’eutanasia, la legalizzazione delle unioni gay, etc. Non si interesserebbe per nulla, invece, di altre grandi emergenze che si trova ad affrontare la Chiesa mondiale, come l’espansione delle sette in America Latina che, secondo alcune stime, causerebbe un’emorragia di ottomila persone al giorno dal cattolicesimo: «Ci ignora completamente» ha detto al settimanale il sociologo messicano Roberto Blancarte specializzato in questioni religiose. La stoccata finale riguarda l’antica messa di San Pio V, che il Pontefice si appresta a liberalizzare (e un atto di liberalizzazione, in linea con quanto già stabilito da Wojtyla, in fondo dovrebbe piacere ai liberal): un provvedimento bollato da Newsweek come «passo indietro» che tradisce la memoria di Paolo VI, il Papa delle riforme conciliari.

Sorprende, innanzitutto, la provenienza di queste critiche: Roberto Blancarte, ad esempio, sociologo anticlericale, è stato l’autore di attacchi violentissimi contro Giovanni Paolo II, contro il «romanocentrismo» del Papa polacco che sarebbe stato incapace di comprendere i fermenti dell’America Latina imponendo il suo medioevale progetto restauratore. Il suo non è un caso isolato: molti di coloro che oggi a parole rimpiangono Giovanni Paolo II e ne esaltano la grandezza per contrapporla all’«invisibilità» o al conservatorismo del suo successore, hanno scritto alcune delle pagine più critiche contro Papa Wojtyla, contro il suo presenzialismo sulla scena internazionale, contro il suo protagonismo che avrebbe mortificato le chiese locali facendo coincidere la Chiesa con la figura del Pontefice, immobilizzando di fatto il dialogo ecumenico a causa della scomoda presenza mondiale del «supervescovo di Roma». Sono gli stessi autori che polemizzavano apertamente contro i troppo frequenti viaggi del «globetrotter di Dio», contro i grandi raduni-parata, contro uno stile così diverso da quello del rimpianto Paolo VI, vero Pontefice moderno e artefice di grandi aperture sociali. Ma, se la memoria non ci inganna, erano poi sempre gli stessi critici a contrapporre proprio Papa Montini al suo beato predecessore, il «Papa buono» Giovanni XXIII. Ques’ultimo aveva aperto a tante speranze, alle quali, inspiegabilmente, Paolo VI (l’affossatore delle aperture conciliari, secondo una ben nota scuola storiografica abituata a leggere il Vaticano II come una rottura totale con il passato) non avrebbe dato seguito. Insomma, è proprio vero che per qualcuno l’unico Papa davvero buono è quello che non c’è più.

Il Giornale, 20 aprile 2007

Caro Tornielli, mi permetta di farLe i miei piu' sinceri complimenti per questo articolo! Ha colto perfettamente il punto: i mass media sono incoerenti e spesso criticano senza conoscoscere. Affermare che liberalizzare la Messa tridentina e' un passo indietro e', chiaramente, una contraddizione in termini...
Raffaella


Vian analizza Ratzinger e vede l'Osservatore

di Paolo Rodari

«Semplificazione, decentramento, servizio, esemplarità. Sulla scia del Vaticano II non separato dalla tradizione e della riforma montiniana sembrano queste le linee ispiratrici delle trasformazioni che Benedetto XVI vuole imprimere alla curia e al volto del papato: semplificando, decentrando, valorizzando le competenze dei singoli organismi (coordinati con efficacia ma non sostituiti dalla Segreteria di Stato), promuovendo una comunione rinnovata tra Roma e le Chiese locali.

Grazie al metodo del confronto e della collegialità, adottato per esempio nell'incontro del gennaio 2007 sulla Cina. Un metodo a cui Joseph Ratzinger - da teologo, da vescovo, da cardinale di curia - è rimasto costantemente fedele. Per guardare sempre all'essenziale e al servizio della verità, senza nulla anteporre a Cristo».
Ha spiegato con queste parole (sul primo numero di Vita e Pensiero del 2007), lo storico della Chiesa e ordinario di filologia patristica all'università di Roma “La Sapienza”, Gian Maria Vian, i primi due anni di pontificato di Joseph Ratzinger.
Due anni il cui anniversario cade proprio oggi, 19 aprile.
Due anni in cui, a detta di Vian, il papa ha sì guardato al «rimodellamento dell'organo del governo papale» ma lo ha fatto «all'insegna della semplificazione e del ritorno all'essenziale». Anche perché - lo scrive sempre Vian - i tempi di una riforma generale vera e propria della curia sono molto difficili da ipotizzare: Sisto V riformò la curia nel terzo anno di regno, Pio X e Paolo VI nel quinto di pontificato e nel decimo Giovanni Paolo II.
E infatti, nei prossimi mesi, se è probabile che numerose nomine verranno messe in campo dal pontefice, è altrettanto probabile che molte di esse riguarderanno principalmente posti di seconda fila all'interno dei “ministeri” ecclesiali e cioè quei posti occupati dai segretari e dai sottosegretari, coloro che da vicino supportano i lavori dei prefetti delle congregazioni e dei presidenti dei pontifici consigli.
Eppure, oltre a questi, una nomina per un posto ambito e, insieme, di grande prestigio potrebbe saltare fuori e riguardare proprio lui, lo storico ed esperto di patrologia Gian Maria Vian. Per lui, infatti, pare sia vicino il tempo perché si aprano le porte della direzione dell'Osservatore Romano, il giornale ufficioso della Santa Sede che l'altrettanto storico della Chiesa Mario Agnes dirige dal lontano 1 settembre 1982.
Se le cose andranno davvero così, al giornale vaticano non arriverebbe semplicemente uno studioso fine, competente e stimato personalmente da Ratzinger, ma anche una personalità capace di riportare su carta, “come si deve”, il pensiero della Chiesa.
Così, Vian, ha fatto negli ultimi anni firmando svariati pezzi sul quotidiano Avvenire, dove le firme sono tante e variegate ma la sua, a ben vedere, rimane tra le più lucide e competenti.
Firma lucida e ben allineata anche con gli ultimi diktat ecclesiastici in tema di politiche familiari: anche Vian, infatti, figurò tra i vari personaggi firmatari qualche settimana fa - prima dell'uscita della Nota della Cei sui Dico - di un appello diretto ai vescovi affinché questi si adoperassero per mantenere «chiara e libera la loro impostazione di dottrina e di cultura morale in tema di legislazione familiare».
Se Paolo VI aveva spiegato nel discorso alla curia romana del 21 settembre 1963 come la curia papale abbia la funzione «d'essere custode o eco delle divine verità e di farsi linguaggio e dialogo con gli spiriti umani», poi «di ascoltare e di interpretare la voce del papa e al tempo stesso di non lasciar a lui mancare ogni utile ed obbiettiva informazione», l'avvento di Vian potrebbe giovare a questo scopo.
Perché informare il mondo intorno alle vicende e ai pensieri papali è cosa che necessita competenza e soprattutto conoscenza della storia della Chiesa.
Non si può, infatti, informare senza conoscere chi si è, quale e cosa sia la propria storia.
E uno studioso che di questa storia vive e si nutre quotidianamente non può che cadere a fagiolo.
Certo, se la scelta di Vian venisse confermata, Ratzinger confermerebbe la tendenza di non concedere la direzione del quotidiano vaticano a un giornalista professionista.
Una scelta che si sposa con lo stile dell'attuale pontefice: più riflessivo e divulgatore di contenuti, con meno interesse al mondo strettamente mass-mediatico.

Il Riformista, 19 aprile 2007

Ecco l'articolo di Vian a cui si riferisce Rodari:


Papa Ratzinger, due anni nel segno dell’essenzialità

di Gian Maria Vian

Semplificazione, decentramento, servizio, esemplarità: sulla scia del Vaticano II non separato dalla tradizione sembrano queste le linee ispiratrici delle trasformazioni che Benedetto XVI vuole imprimere alla curia e al volto del papato

Quali le scelte – e soprattutto le scelte di governo – di Benedetto XVI mentre si avvicinano il suo ottantesimo compleanno e l’inizio del terzo anno di pontificato, i prossimi 16 e 19 aprile? Nel primo messaggio papale del 20 aprile 2005 il neoeletto ha delineato il compito del nuovo vescovo di Roma: “far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo”. E nell’omelia durante la messa “per l’inizio del ministero petrino”, il pontefice non ha presentato un “programma di governo” perché il “vero programma”, ha spiegato, “è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui”.
E questo ha fatto sinora papa Ratzinger, muovendosi nell’ambito del governo con cautela e discrezione, davanti a osservatori e a professionisti dell’informazione religiosa e vaticana piuttosto sconcertati dall’assenza di indiscrezioni attendibili. E che in più di un’occasione hanno mostrato scarse possibilità (o volontà) di comprensione – clamoroso è stato in questo senso lo stravolgimento della lezione di Ratisbona – di fronte a un magistero della parola tanto eccellente quanto incisivo: insegnamenti e interventi normalmente di qualità molto alta, contrassegnati tuttavia da trasparente chiarezza e seguiti da un crescente numero di fedeli, ascoltatori e lettori.

In un abbozzo di periodizzazione due sono apparse le date importanti nel corso del 2006. La prima è stata segnata dalla pubblicazione, il 25 gennaio, dell’enciclica “programmatica” sull’amore di Dio, mentre la seconda, in maggio, ha simbolicamente chiuso l’esordio del pontificato con il viaggio in Polonia, la terra amatissima del suo predecessore. Ma già a febbraio papa Ratzinger ha di fatto intrapreso il rimodellamento dell’organo del governo papale, all’insegna della semplificazione e del ritorno all’essenziale: con lo scopo appunto di lasciare risplendere “non la propria luce, ma quella di Cristo”. Sisto V riformò la curia nel terzo anno di regno, Pio X e Paolo VI nel quinto di pontificato e nel decimo Giovanni Paolo II, ma è molto difficile ipotizzare se e quando Benedetto XVI provvederà a una riforma generale, come invece probabilmente farà per le norme che regolano l’elezione del vescovo di Roma, modificate da quasi tutti i pontefici del Novecento.

I primi provvedimenti curiali del nuovo papa risalgono però già al 2005, non a caso in due ambiti che gli stanno molto a cuore, quello dottrinale e quello liturgico: dapprima con la nomina del suo successore alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, William J. Levada, e quindi del segretario per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Albert M. R. Patabendige Don. Per questi ruoli Benedetto XVI ha scelto ecclesiastici accomunati da due caratteristiche importanti. Entrambi sono infatti non europei – il primo statunitense, il secondo cingalese – ed entrambi sono stati vescovi residenziali (anche se l’itinerario del prelato asiatico ha compreso poi brevi tappe in curia e nella diplomazia).

Preceduta da queste nomine, la riforma curiale è stata avviata con una decisione inattesa (e una coincidenza forse non casuale). Nel febbraio 2006 – proprio nel giorno in cui ha concluso il ciclo delle catechesi durante le udienze generali del mercoledì già predisposto per Giovanni Paolo II e che con delicatezza ha voluto portare a termine – Benedetto XVI ha infatti nominato nunzio apostolico in Egitto e presso l’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. E poco più tardi il papa ha affidato temporaneamente questo organismo – istituito nel 1964 da Paolo VI come Segretariato per i non Cristiani – al presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.

Una misura analoga è stata nello stesso tempo adottata per il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, guidato da un cardinale giapponese, la cui rinuncia per limiti di età è stata accettata (e i cui commenti critici, in un’intervista, nei confronti di questa decisione papale – che avrebbe mostrato, secondo l’anziano porporato nipponico, scarsa considerazione per il continente asiatico – hanno suscitato sorpresa). Al suo posto è stato chiamato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. In entrambi i casi è stato specificato che i provvedimenti hanno carattere temporaneo, e l’interpretazione più probabile di questa precisazione è che i due organismi saranno ristrutturati. Allo stesso modo altri “consigli” – dicasteri minori introdotti nella curia romana a partire dal 1960 e consolidati soprattutto durante il pontificato di Giovanni Paolo II fino a raggiungere il numero di undici – potrebbero essere raggruppati.

La successiva importante scelta di papa Ratzinger relativa alla curia ha riguardato una congregazione di prima grandezza, l’antica Propaganda. Al compimento del quinquennio (scadenza introdotta da Paolo VI e confermata da papa Wojtyła), il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli è stato infatti nominato alla guida della diocesi di Napoli. Il trasferimento del “papa rosso” – così è chiamato nel gergo curiale il prefetto di Propaganda per sottolinearne gli ampi poteri – in una diocesi residenziale, sia pure di prestigio, è stato inconsueto ma significativo, anche perché per sostituirlo Benedetto XVI ha chiamato in maggio un terzo extraeuropeo (e un secondo asiatico) dopo le nomine del 2005, il cardinale arcivescovo di Bombay, Ivan Dias, diplomatico di lunga esperienza ed ecclesiastico di sicuro indirizzo dottrinale.

In giugno poi sono state annunciate le nomine del nuovo segretario di Stato e del presidente del governatorato vaticano, avvenute in settembre: il primo è il salesiano Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova, e in precedenza principale collaboratore del cardinale Ratzinger come segretario della Congregazione per la dottrina della fede; il secondo è Giovanni Lajolo, diplomatico, amministratore e segretario per i rapporti con gli Stati, sostituito in questa carica dal nunzio in Sudan, il francese Dominique Mamberti, grande conoscitore del mondo islamico. Uomo di assoluta fiducia del pontefice, il cardinale Bertone è estraneo alla formazione e alla carriera diplomatica, comuni invece alla quasi totalità dei segretari di Stato (con l’eccezione rilevante, tra il 1969 e il 1979, del francese Jean Villot, vescovo residenziale e poi cardinale di curia prima che Paolo VI lo nominasse suo primo collaboratore). Alla fine di ottobre è poi arrivata la chiamata in curia di un altro vescovo residenziale extraeuropeo, il francescano Cláudio Hummes, cardinale arcivescovo di São Paulo, come prefetto della Congregazione per il Clero.

Al segretario di Stato è affidata l’esecuzione delle grandi scelte del pontificato: l’attuazione del concilio Vaticano II in continuità con la tradizione, secondo linee spiegate dal papa il 22 dicembre 2005; l’impegno per l’unità dei cristiani, con particolare attenzione alle Chiese ortodosse; infine, il dialogo con i credenti delle altre religioni e le diverse civiltà, soprattutto con il mondo islamico. E funzionale alla messa in opera di queste linee sarà la trasformazione della curia, già avviata e segnata dallo stile fermo e mite caratteristico di un papa che è teologo e pastore: Benedetto XVI ha infatti dimostrato, con la parola e i gesti, l’inconsistenza dell’artificiosa invenzione che, non per caso già a partire dall’ultima sede vacante, contrapponeva sui media il profilo severo del teologo (se non addirittura del “grande inquisitore”) a quello di non meglio precisati modelli di pastori.

La semplificazione sembra essere la parola chiave delle scelte del governo di papa Ratzinger. Con uno scopo evidente: quello di “nulla anteporre a Cristo”, secondo le parole di san Benedetto fatte programmaticamente proprie dal pontefice che ne ha assunto il nome. Senza strappi o innovazioni, ma piuttosto valorizzando alcuni elementi della riforma paolina del 1967, confermati nel 1988: tra i principali, la collaborazione di vescovi residenziali con gli organismi curiali (auspicata dal Vaticano II e sancita nel 1967 dal motuproprio Pro comperto sane), l’internazionalizzazione – che venne preceduta da quella del collegio cardinalizio, avviata da Pio XII con il grande concistoro del 1946, appena concluso lo spaventoso conflitto mondiale – e l’avvicendamento dei curiali grazie all’introduzione del limite temporale di un quinquennio (sia pure rinnovabile).

E positive saranno certo le conseguenze sul piano ecclesiologico, e anche ecumenico, derivanti da una semplificazione, o meglio da una “essenzializzazione” – per usare un termine di Romano Guardini, caro al teologo Ratzinger – della curia romana. Benedetto XVI sembra essere specialmente attrezzato per porre mano a questa essenzializzazione della curia. Se infatti come teologo Ratzinger ha più volte mostrato di non attribuire un’eccessiva importanza alle strutture della Chiesa, inevitabilmente legate alle contingenze storiche, come responsabile per oltre ventitré anni della più importante congregazione curiale è stato testimone diretto della crescita recente della curia romana, che l’ha portata anche a un appesantimento attraverso la moltiplicazione degli organismi.

A una sobria e più tradizionale essenzialità come tratto distintivo della curia del vescovo di Roma rimandano anche la riduzione delle udienze e delle celebrazioni pontificie e le scelte della prima creazione cardinalizia, tenuta nel marzo 2005: l’elenco dei nuovi porporati – dodici con diritto di elettorato attivo in conclave, più tre ultraottantenni, nel rispetto del limite di 120 elettori introdotto da Paolo VI e più volte superato da Giovanni Paolo II – comprende tre curiali e nove vescovi residenziali. Non sono invece stati creati cardinali i presidenti di due consigli, mentre l’unico diplomatico ha più di ottant’anni. La presenza della curia (e della diplomazia pontificia) appare dunque qualificata ma contenuta.

Chiamato a Roma da Giovanni Paolo II nel 1981, Ratzinger conosce come pochi la curia di Wojtyła e la sua evoluzione. Non è quindi un caso se appena un mese dopo l’elezione, il 21 maggio 2005, Benedetto XVI ha visitato la Segreteria di Stato, improvvisando un discorso che presenta in filigrana anche la sua concezione del governo centrale della Chiesa: “Alla competenza e alla professionalità del lavoro che viene fatto qui, si aggiunge anche un aspetto particolare, una professionalità particolare: fa parte della nostra professionalità l’amore per Cristo, per la Chiesa, per le anime. Noi non lavoriamo – come dicono molti del lavoro – per difendere un potere. Non abbiamo un potere mondano, secolare. Non lavoriamo per il prestigio, non lavoriamo per far crescere una ditta o qualcosa di simile. Noi lavoriamo realmente perché le strade del mondo siano aperte a Cristo. E tutto il nostro lavoro, con tutte le sue ramificazioni, alla fine serve proprio perché il suo Vangelo, e così la gioia della Redenzione, possa arrivare nel mondo”. Così, ha concluso, siamo “collaboratori della Verità, cioè di Cristo, nel suo operare nel mondo, affinché realmente il mondo divenga il Regno di Dio”.

In senso analogo Paolo VI aveva parlato della curia nel discorso del 21 settembre 1963, paradigma di riferimento per ogni riforma dell’organismo centrale della cattolicità. Nella visione montiniana la curia papale ha la funzione “d’essere custode o eco delle divine verità e di farsi linguaggio e dialogo con gli spiriti umani”, poi “di ascoltare e di interpretare la voce del Papa e al tempo stesso di non lasciar a Lui mancare ogni utile ed obbiettiva informazione”. Secondo il papa, poi, l’intenzione riformatrice trovava “la Curia stessa all’avanguardia di quella perenne riforma, di cui la Chiesa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha perpetuo bisogno”, perché proprio da Roma “in questi ultimi cento anni è venuto quel governo regolare, indefesso, coerente, stimolatore che ha portato la Chiesa intera al grado non solo di espansione esteriore, che tutti devono riconoscere, ma di sensibilità e di vitalità interiore”. E constatava: “Oggi, per fortuna, S. Bernardo non scriverebbe più le sue pagine brucianti sul mondo ecclesiastico romano, nè le loro i riformatori del secolo decimosesto. Roma papale oggi è ben altra, e, per grazia di Dio, tanto più degna e più saggia e più santa; tanto più cosciente della sua vocazione evangelica, tanto più impegnata nella sua missione cristiana, tanto più desiderosa, suscettibile, perciò, di perenne rinnovamento”.

Di fronte ai curiali Paolo VI si schierava con i riformatori e delineava la trasformazione poi decisa nel 1967. Queste riforme, rassicurava, “saranno dalla Curia stessa formulate e promulgate! Non avrà perciò timore, ad esempio, la Curia Romana, d’essere reclutata con più larga visione sopranazionale, nè d’essere educata da più accurata preparazione ecumenica”, ed essa non sarà “avara di sue facoltà che, senza ledere l’ordine ecclesiastico universale, oggi l’Episcopato può da sè e localmente meglio esercitare”, perché “non è un corpo anonimo, insensibile ai grandi problemi spirituali”, e nemmeno “una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonista e ritualista, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano”, ma “una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione”. In questo modo, concludeva Paolo VI ricorrendo a un’immagine evangelica a lui cara, “come lucerna sul candelabro questa antica e sempre nuova Curia Romana” farà luce a quanti sono nella Chiesa intera.

Semplificazione, decentramento, servizio, esemplarità. Sulla scia del Vaticano II non separato dalla tradizione e della riforma montiniana sembrano queste le linee ispiratrici delle trasformazioni che Benedetto XVI vuole imprimere alla curia e al volto del papato: semplificando, decentrando, valorizzando le competenze dei singoli organismi (coordinati con efficacia ma non sostituiti dalla Segreteria di Stato), promuovendo una comunione rinnovata tra Roma e le Chiese locali. Grazie al metodo del confronto e della collegialità, adottato per esempio nell’incontro del gennaio 2007 sulla Cina. Un metodo a cui Joseph Ratzinger – da teologo, da vescovo, da cardinale di curia – è rimasto costantemente fedele. Per guardare sempre all’essenziale e al servizio della verità, senza nulla anteporre a Cristo.

"Vita e Pensiero" n. 1/2007


Cina e America latina le priorità del terzo anno di pontificato di Ratzinger

CITTÀ DEL VATICANO - Grande "attenzione" a Cina e America Latina.
E sforzo costante per indicare «Cristo al centro della vita della Chiesa e del mondo». È il cardinale Tarcisio Bertone a indicare le priorità del Papa all'inizio del terzo anno di pontificato, in attesa che Benedetto XVI pubblichi la sua lettera al popolo cinese e che, il 9 maggio, parta per il Brasile, suo primo viaggio intercontinentale.
Oggi pomeriggio Benedetto XVI compie due anni sul soglio di Pietro, con l'ultimo anno vissuto in prima linea: dal viaggio in Polonia, passando per l'impegno per la pace tra Libano e Israele la scorsa estate, fino ai fraintendimenti di Ratisbona, la ricucitura con l'Islam grazie al viaggio in Turchia, e il cammino ecumenico soprattutto con gli ortodossi di Costantinopoli. L'anziano Papa molto ha fatto anche all'interno della Chiesa, soprattutto costituendosi una squadra di collaboratori a lui vicini per stile e priorità pastorali. E non è escluso che stia pensando a una ulteriore razionalizzazione della curia, con l'accorpamento di alcuni dicasteri. Benedetto XVI, consapevole di essere anziano e avere poche forze da spendere, si è concentrato su alcune priorità. In primo luogo ha raccolto l'eredità più difficile di Wojtyla, quella del rapporto con i giovani, e ha significativamente dedicato il primo viaggio del suo regno alla Gmg di Colonia, nell'agosto 2005. Verso i giovani ha da quel momento manifestato una attenzione speciale e un impegno di evangelizzazione, come è stato di nuovo evidente alcune settimane fa, quando in San Pietro ha personalmente confessato alcuni ragazzi.
A maggio 2006 in Polonia ha tagliato il cordone ombelicale con papa Wojtyla, rendendo evidente, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il suo non sarebbe stato un pontificato fotocopia del precedente.
In luglio a Valencia, per l'incontro mondiale delle famiglie, ha rilanciato l'insegnamento cattolico sulla famiglia fondata sul matrimonio. Durante il soggiorno in Val d'Aosta, lo scorso luglio, Benedetto XVI si è trovato immerso nella crisi tra Israele e Libano e ha mobilitato l'intera diplomazia della Santa Sede per questa nuova crisi mediorientale. Il viaggio in Baviera ai primi di settembre, - pensato sia come un ritorno alle radici della propria vita, che come confronto con Paese europeo secolarizzato e in qualche modo simbolo delle problematiche dei cristiani europei - ha vissuto un forte momento di frattura con l'Islam, dopo la conferenza davanti agli accademici di Ratisbona. Ma con la missione di Benedetto XVI a Istanbul, è stato ricucito lo strappo.

© 1996 - 2007 Libertà On Line


Benedetto XVI: Fede e ragione la via della verità

Rapporto fra fede e ragione: il Papa teologo si sofferma su questa speciale relazione, tornando sui temi del suo primo libro da Papa, 'Gesù di Nazaret'.
Udienza generale a San Pietro da record: oltre 50mila fedeli, davanti ai quali, Benedetto XVI, alla vigilia del secondo anniversario del pontificato, ha spiegato la figura di San Clemente d'Alessandria, "uno degli alfieri del dialogo tra fede e ragione nella tradizione cristiana".
Il cristiano è colui che con le 'due ali della fede e della ragione' intraprende 'con decisione la via della verita''. I suoi scritti, ha detto Benedetto XVI, costituiscono 'una vera trilogia destinata ad accompagnare efficacemente la maturazione del cristiano'.
La catechesi clementina, ha spiegato il Santo Padre, 'accompagna passo passo il cammino del catecumeno e del battezzato perche', con le due ali della fede e della ragione, essi giungano a un'intima conoscenza della Verita', che è Gesù Cristo, il Verbo di Dio'.
'Solo questa conoscenza, indissolubilmente legata alla Rivelazione - ha ammonito Benedetto XVI - è la vera gnosi, mentre non lo è di certo quella propugnata e diffusa dagli eretici gnostici'.
Due virtù, per Clemente, costituiscono in particolare l'anima del "vero cristiano": la 'liberta' dalle passioni' e l'amore, che 'assicura l'intima unione con Dio e la contemplazione'. 'L'amore - ha detto il Papa - dona la pace perfetta, e pone il vero gnostico in grado di affrontare i più grandi sacrifici, anche il sacrificio supremo, e lo fa salire di gradino in gradino fino al vertice delle virtù.
Così l'ideale etico della filosofia antica, cioè la liberazione dalle passioni, viene da Clemente ridefinito e coniugato con l'amore, nel processo incessante di assimilazione a Dio'.
Alla 'contemplazione di Dio' - ha detto il Papa - si arriva 'attraverso la pratica della virtù, e nella fede il 'requisito morale' riveste 'tanta importanza quanta quella intellettuale'.
Per questo 'le buone opere devono accompagnare la conoscenza intellettuale come l'ombra segue il corpo: mai sono separate da quella e, d'altra parte, la 'vera gnosi' non può coesistere con le opere cattive'.

Così Clemente, per il Papa, 'continua a segnare con decisione il cammino' di chi intende "dare ragione" della propria fede in Gesù Cristo. 'Egli puo' servire d'esempio ai cristiani, ai catechisti e ai teologi del nostro tempo', ha affermato il Pontefice, ai quali Giovanni Paolo II, nella stessa enciclica, raccomandava di "recuperare ed evidenziare al meglio la dimensione metafisica della verita', per entrare in un dialogo critico ed esigente tanto con il pensiero filosofico contemporaneo quanto con tutta la tradizione filosofica".

Noi press


BENEDETTO XVI: L'OPERAIO NELLA VIGNA DEL SIGNORE

"I Cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore". Cosi, il Papa tedesco, Benedetto XVI, il 19 aprile 2005 si presentava al mondo intero alla folla riunita in piazza San Pietro. E poiche' uno studioso raffinato come il professor Joseph Ratzinger non lascia niente al caso, in queste parole vi era racchiuso il significato del suo futuro Pontificato. Egli sarebbe stato un operaio all'interno della Chiesa; un operaio che avrebbe lavorato alacremente per essa. La Chiesa del terzo millennio, la Chiesa di Gesu', la Chiesa Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa societa' di credenti, con un occhio particolare anche alla "Chiesa senza". Ma cos' è la Chiesa senza, un'espressione coniata dal colto e diplomatico Papa Paolo VI? Oggi sono molti coloro che vorrebbero una "Chiesa senza". Senza dogmi difficili, senza Dio, senza miracoli, senza Risurrezione, senza Croce, senza magistero, senza precetti morali, senza obbedienza e senza autorita'. Una Chiesa a loro misura! Dietro questa "Chiesa senza" si nasconde una carenza di pensiero, il pluralismo, la liberazione, l'autonomia della coscienza, la moralita' nuova e permissiva.
Tutti termini equivoci dietro cui c'e' il dubbio sistematico e negativo, il disimpegno, la critica corrosiva, la demolizione e la riduzione delle certezze della fede. A questo riguardo c'e' chi, invece, con criteri di uno sconcertante empirismo, si arroga di fare una selezione fra le molte verità insegnate dal nostro Credo, per respingere quelle che non piacciono, e per mantenerne alcune ritenute più gradevoli. E vi è poi chi cerca di adattare le dottrine della fede alla mentalità moderna, facendo spesso di questa mentalità, profana o spiritualista che sia, il metodo ed il metro del pensiero religioso: lo sforzo, ben degno per sé di lode e di comprensione, operato da questo sistema, di esprimere le verità della fede in termini accessibili al linguaggio e alla mentalità del nostro tempo, ha talora ceduto al desiderio d’un più facile successo, tacendo, temperando o alterando certi «dogmi difficili». Benedetto XVI proprio nell’ora in cui il mondo, nelle parole o nei fatti, dichiara di non aver bisogno della Chiesa, anzi di considerarla istituzione storicamente e culturalmente sorpassata, per di più ingombrante e nociva, ribadisce l’attualita' perenne della Chiesa di Cristo.
Papa Benedetto XVI riafferma con vigore l’inserimento della Chiesa nel processo della vita moderna. Da qui forme di radicale opposizione alla Chiesa, diffuse in varie Nazioni, e soprattutto in vari settori del pensiero e della politica: la Chiesa, si dice, non c’entra. L’ateismo poi si afferma come la forma religiosa, cioè assoluta, se così si può dire, del laicismo. E proprio di fronte a questo stato di cose, il Santo Padre, con l’audacia, che si potrebbe dire ingenua, se non fosse ispirata, si presenta al mondo intenzionalmente determinato a esercitare la sua missione di «sale della terra», di «luce del mondo» (Mt. 5, 14-15). Quindi l'obiettivo primario del Pontificato di Benedetto XVI sara' quello di costruire la Chiesa tenendo presenti alcune cose molto importanti. Innanzi tutto che si tratta di una operazione effettivamente non nostra, ma di Cristo; di Cristo stesso. Egli ha detto: «Io costruirò la mia Chiesa» (Mt. 16, 18). Egli è l’Artefice; Egli è l’operatore; in un certo senso, l’unico costruttore. Si tratta di una operazione la cui vera causa è Lui stesso. Da Lui dipende l’opera che vogliamo vedere sorgere; è opera sua, è opera divina. Noi, ha pensato Benedetto XVI due anni fa durante l'elezione - siamo chiamati nel cantiere dei divini disegni, noi siamo dei collaboratori. «Noi siamo - dice S. Paolo – i collaboratori di Dio» (1 Cor. 3, 9); siamo cause seconde nella grande esecuzione dell’opera che ha Dio, che ha Cristo, per causa prima; siamo ministri, siamo strumenti; siamo piuttosto nell’ordine della condizionalità che in quello della causalità: questione teologica, questa, che ha affaticato i più grandi pensatori, come S. Agostino (Cfr. S. Agostino, De gratia Christi, 26: PL X, 374); a noi basti ora ricordare S. Paolo: «Che cosa mai possiedi tu, che non l’abbia ricevuto?» (1 Cor. 4, 7). La seconda cosa da notare è che per Benedetto XVI non si tratta già di costruire la Chiesa, quanto di ricostruire, a meno che non ci consideriamo in campo missionario, dove l’impianto, la plantatio della Chiesa deve cominciare dal primo annuncio del Vangelo (Cfr. Ad Gentes, 3).
L’opera da compiere, nella costruzione della Chiesa, specialmente nel campo spirituale e pastorale, è sempre nuova, è sempre al principio. E finalmente una terza cosa, la più importante, che ci ha detto piu' volte in questi due anni il Papa: ricordare quando ci proponiamo di costruire la Chiesa, e cioè il fondamento sul quale la costruzione riposa e deve sorgere; e questo fondamento è la fede, la fede in Gesù Cristo. «Voi siete - scrive ancora S. Paolo - l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto, io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello già posto, che è Gesù Cristo» (1 Cor. 3 , 10-12). Questo l’Apostolo Paolo scriveva ai Corinti; ai Romani poi insegnava, aprendo la via della teologia cristiana: «sta scritto: il giusto vivrà mediante la fede» (Rom. 1, 17; cfr. 3, 22). Vivrà traendo dalla fede il principio della salvezza, della giustificazione; principio oggettivo, come dono di Dio; e principio soggettivo, come accettazione del dono della fede. I termini di questa dottrina sono così chiaramente enunciati; ma il processo ontologico della fede, cioè del dono divino, e il processo morale e psicologico, cioè umano, per cui la fede prende possesso dell’anima e ne ispira l’azione, e ne informa la vita, rimane il grande capitolo della nostra dottrina religiosa, capitolo immenso, stupendo, drammatico, sul quale si fonda l’edificio che vogliamo costruire, la Chiesa; o meglio l’edificio in cui noi troveremo la luce, la pace, la forza d’essere cristiani. La fede, ci ricorda Benedetto XVI, è la base; la fede di Pietro, che per divina ispirazione rispose a Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt. 16, 16). Per Benedetto XVI la fede e' un atto libero e responsabile che con il dono della grazia, ci porta ad accettare la Parola di Dio, la Tradizione apostolica e il Magistero della Chiesa. E, naturalmente, il Credo apostolico che è la base, è l'essenza della nostra fede come ci ha insegnato più volte Paolo VI.
Un' altra cosa. Papa Benedetto XVI nel suo stemma episcopale ha fatto scrivere come motto nel 1977: "collaboratore della Verita' ", e in questi due anni di ministero petrino abbiamo visto la sua tenacia nella difesa della Verita', come del resto nel suo ruolo di Arcivescovo di Monaco di Baviera prima e di Prefetto per la Dottrina della Fede per 25 anni poi. Oggi la verità è in crisi. Alla verità oggettiva, che ci dà il possesso conoscitivo della realtà, si sostituisce quella soggettiva: l’esperienza, la coscienza, la libera opinione personale, quando non sia la critica della nostra capacità di conoscere, di pensare validamente. La verità filosofica cede all’agnosticismo, allo scetticismo, allo «snobismo» del dubbio sistematico e negativo. Si studia, si cerca per demolire, per non trovare. Si preferisce il vuoto. Benedetto XVI come teologo e come Vescovo ne e' sempre stato consapevole al punto che riflettera' sempre sulle parole del Vangelo: «Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce» (Gv. 3, 19). Ed egli sa bene che con la crisi della verità filosofica, la verità religiosa è crollata in molti animi, che non hanno più saputo sostenere le grandi e solari affermazioni della scienza di Dio, della teologia naturale, e tantomeno quelle della teologia della rivelazione; gli occhi si sono annebbiati, poi accecati; e si è osato scambiare la propria cecità con la morte di Dio. La verità cristiana subisce oggi scosse e crisi paurose. Insofferenti dell’insegnamento del magistero, posto da Cristo a tutela ed a logico sviluppo della sua dottrina, ch’è quella di Dio (Gv. 7. 12; Lc. 10, 16; Mc. 16, 16), v’è chi cerca una fede facile vuotandola, la fede integra e vera, di quelle verità, che non sembrano accettabili dalla mentalità moderna, e scegliendo a proprio talento una qualche verità ritenuta ammissibile; altri cercano una fede nuova, specialmente circa la Chiesa, tentando di conformarla alle idee della sociologia moderna e della storia profana (ripetendo l’errore d’altri tempi, modellando la struttura canonica della Chiesa secondo le istituzioni storiche vigenti); altri vorrebbero fidarsi d’una fede puramente naturalista e filantropica, d’una fede utile, anche se fondata su valori autentici della fede stessa, quelli della carità, erigendola a culto dell’uomo, e trascurandone il valore primo, l’amore e il culto di Dio; ed altri finalmente, con una certa diffidenza verso le esigenze dogmatiche della fede, col pretesto del pluralismo, che consente di studiare le inesauribili ricchezze delle verità divine e di esprimerle in diversità di linguaggio e di mentalità, vorrebbero legittimare espressioni ambigue ed incerte della fede, accontentarsi della sua ricerca per sottrarsi alla sua affermazione, domandare all’opinione dei fedeli che cosa vogliono credere, attribuendo loro un discutibile carisma di competenza e di esperienza, che mette la verità della fede a repentaglio degli arbitri più strani e più volubili. Tutto questo avviene quando non si presta l’ossequio al magistero della Chiesa, con cui il Signore ha voluto proteggere le verità della fede (Cfr. Eb. 13, 7; 9, 17).
Ecco, papa Benedetto XVI in questi due anni di Pontificato, non solo ha difeso le verita' della fede catolica, le ha protette, ma le ha ribadite con forza. Papa Benedetto XVI portera' avanti le parole di Gesu', di cui e' Vicario sulla terra: «Sia il vostro discorso, dice il Signore, si, si, no, no» (Mt. 5, 37; Gc. 5, 12), escludendo ogni ambiguità artificiosa sui temi della vita, della famiglia, della liberta' di educazione e della promozione del bene comune in tutte le sue forme.e lo testimoniano i suoi Viaggi apostolici in Polonia, Germania, Spagna e Turchia per annunciare la Buona Novella. La sua presenza alla Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia nel 2005. Le due visite importanti al Congresso Eucaristico di Bari dove ha ribadito che l' Eucarestia non è solo Memoriale, ma è la presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo. E poi la sua partecipazione al IV Convegno ecclesiale della Chiesa italiana a Verona presieduto dal Card. Dionigi Tettamanzi. Qui il Papa chiederà che i cattolici siano coerenti con i loro valori nella società dando una testimonianza. Poi spiegherà che essi vivono in un tempo in cui l'etica è succube di relativismo ed utilitarismo. Per questo anche se la Chiesa è "segno di contraddizione" come il suo Maestro, i cattolici devono rendere ragione a chiunque gli domandi della speranza che è dentro di loro (S.Pietro). Analogo concetto viene ribadito nella recente Esortazione Apostolica "Sacramentum Caritatis" in cui il Papa ribadisce che i cristiani devono difendere la vita, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la libertà di educazione e la difesa del bene comune in ogni sua forma. La difesa della famiglia sarà una costante nel suo magistero (vedi per esempio il Congresso delle Famiglie a Valentia) cosi come quello della difesa della vita contro l'eutanasia e l'aborto. In questi due anni è stato importante il dialogo ecumenico, in particolare con le religioni monoteiste (Cristianesimo, Ebraismo, Islam).
Come non ricordare la visita alla Sinagoga di Colonia, e la struggente visita al campo di sterminio di Auschwitz? E ancora l'incontro con Bartolomeo I Patriarca ortodosso di Costantinopoli, con il Patriarca Armeno e con il Primate della Chiesa Anglicana. Non è mancata la visita alla Moschea Blu di Instanbul dopo il discorso di Ratisbona strumentalizzato da non poche persone. Il Papa qui fece una citazione storica di un imperatore bizantino il quale disse che "l'Islam si fa avanti con la spada". Il Papa commentando queta frase disse che invece occorre la ragione. Ma il suo discorso fu deformato e ha rischiato di creare un casus belli.
Chiarita la buona fede del Papa, egli ha ribadito che intende proseguire nella politica dell'ecumenismo cosi come e' scritto nella Enciclica di Giovanni Paolo II Ut Unum Sint e nel documento Unitatis Redintegratio del Vaticano II. Il Papa, infine, ha scritto una bellissima Lettera Enciclica (Deus Caritas Est) dedicata a Dio che e' Amore. Il Dio di Gesù Cristo, di Abramo, Isacco e di Giacobbe. Che abita in una luce inaccessibile, che nessuno ha mai visto, che ora vediamo in maniera confusa di riflesso come in uno speccchio, e che alla fine dei tempi incontreremo "faccia a faccia". Quel Dio che lo scientismo positivista, l'indifferentismo, il razionalismo, l'ateismo, l'agnosticismo e il laicismo mettono in discussione. Mentre Papa Ratzinger citando il suo maestro San Bonaventura e le Scritture ci spiega che Dio si puo' conoscere dalle cose create e dall'ordine dell'universo, della natura, dell'uomo e degli altri esseri viventi.

Img press


IL PAPA, DONO DI DIO ALLA CHIESA E AL MONDO

di Elio Bromuri

Non è facile superare l’immediata soggezione che spontaneamente sorge in chi si appresta ad esprimere una riflessione su Benedetto XVI, il Papa che Dio “hai scelto per noi”, come abbiamo pregato il Venerdì santo nella celebrazione della Passione e morte del Signore. La sua personalità e la vasta opera teologica di cui è autore sembrano un ostacolo insormontabile per un discorso che non sia puramente celebrativo. La nutrita serie di libri che portano il suo nome come autore o che trattano di lui, del suo pensiero e della sua vita, alcuni dei quali considerati decisivi nel dibattito culturale del nostro tempo, ci rendono attenti e controllati nell’esprimere giudizi e spostano l’attenzione dal personaggio in sé al suo pensiero.
Da uomo timido e misurato, che parla senza euforia e punta sui concetti, sull’analisi delle parole e sui ragionamenti, più che sullo slancio del cuore, egli mette a disposizione dei pastori e dei fedeli le “parole che aiutano a comprendere la Parola” e a renderla intelligibile per il mondo attuale. L’inculturazione della fede di cui si è parlato in termini accademici nei decenni trascorsi rappresenta lo sforzo di Ratzinger sia come teologo sia come Papa. Si sa, infatti, che la sua non è una teologia specializzata in un settore più che in un altro avendo come obiettivo di rendere ragione della speranza cristiana nelle categorie della cultura contemporanea.
Una teologia “catechetica”, e cioè che spiega il catechismo cattolico in parole chiare per l’uomo contemporaneo, senza tuttavia trascurare aspetti che possono risultare meno graditi e avendo il coraggio di andare contro corrente, contro il pensiero dominante. Con tale atteggiamento si è messo in questione e in dialogo con il pensiero contemporaneo, come, per esempio, con Habermas, che ultimamente gli ha offerto una specie di alleanza contro il “disfattismo” dominante. In questi giorni si è in attesa del libro su Gesù di Nazaret, in cui egli intende rispondere alla urgente esigenza di fare chiarezza sull’identità di Gesù sulla quale si è sviluppata una ridda di ipotesi e teorie che hanno radici lontane, oggi riesplose con scritti di ampio successo.
La fatica di servire la verità cristiana lo ha portato a ricercare tutte le ragioni per cui non si deve separare il Gesù della fede dal Gesù della storia. Ratzinger esprimerà un punto decisivo, anche se non ultimativo, come è stato annunciato, non essendo legato al magistero ufficiale. In questa ricerca e nella prospettiva di andare al cuore della fede cristiana si evidenzia la dimensione ecumenica oggettiva di questo pontificato, in quanto la sorte della fede in Gesù di Nazaret interessa tutte le Chiese. Ad esse in primo luogo è rivolta la domanda: “E voi chi dite che io sia?”.
Non solo. Ma messe da parte le questioni che nei secoli passati hanno infiammato i dibattiti interconfessionali, oggi la questione seria è proprio questa. Sorta in ambito evangelico, rappresenta la chiave di volta della lettura ecumenica della fede e della vita cristiana, pietra angolare o pietra d’inciampo della comunione ecclesiale. Il lungo e assiduo lavoro di teologo ha portato Ratzinger ad affrontare tanti temi sui quali non ha esitato ad esprimere un suo personale limpido e motivato giudizio, frutto di un’analisi dettagliata dei singoli aspetti di ogni problema.
Questo stile di lavoro e di pensiero induce tutti nella Chiesa e fuori di essa ad interrogarsi di nuovo e a rivedere posizioni e impostazioni e, se compreso correttamente, induce a continuare il processo di ricerca teologica e spirituale, riproponendo temi che potevano sembrare posti al sicuro e fuori campo. Nell’enciclica Deus caritas est, con il discorso sull’”eros” oltre che sull’”agape” ha indicato possibilità di sviluppo della ricerca ancora aperte ed offerte a tutti, all’intera “agorà”, e non solo ad una cerchia ristretta di pensatori.
Benedetto XVI non dismette i suoi panni di pensatore profondo e rigoroso neppure quando apre il cuore con un linguaggio caldo, anche se mai retorico, alla folla che lo ricerca e lo applaude. Nelle catechesi settimanali e soprattutto nelle grandi occasioni come per la Pasqua, ricco della sua ricerca personale di fede egli comunica con grande efficacia la parola di Dio e la dice nella bellezza del linguaggio, la profondità e luminosità dei concetti e delle immagini annunciando il Vangelo nella sua novità e come forza di trasformazione per il mondo intero.
Nell’80° compleanno, oltre ad multo annos, auguriamo a Benedetto XVI che la sua prodigiosa produzione letteraria sia come una pioggia salutare per una Chiesa che cresce e si arricchisce nella intelligenza della fede e nel coraggio di professarla con coraggio, coerenza e soprattutto con “cioia”, come pronunzia Ratzinger nel massimo di slancio retorico che si concede e che lo rende, in modo sorprendente, anche per questo vicino alla gente.

Incroci news

Nessun commento: