26 aprile 2007

Creazionismo e Evoluzionismo (1)


Eccoci alle solite: eminenti scienziati e intellettuali, che pensavano di non dover piu' porsi in contraddittorio con alcuno (e men che meno con la Chiesa), si trovano a fronteggiare, ora, un "osso duro", Joseph Ratzinger!
Il Papa ha convocato, a settembre 2006, un seminario con i suoi ex allievi avente come tema "Evoluzione e Creazione". Il Pontefice ed i suoi colleghi sono arrivati ad alcune conclusioni espresse in un libro uscito in Germania duramente contestato (vedi sotto) da ampie componenti del mondo intellettuale e scientifico.
Il dibattito sarebbe molto affascinante ed istruttivo, se tali intellettuali trattassero il Papa con il dovuto rispetto. Qui non siamo di fronte ad un uomo disperatamente legato al passato ed ai suoi studi, ma ad un teologo (una sorta di "scienziato" della fede) con cui si puo' dialogare, discutere e magari litigare, ma che merita la massima stima ed un approccio intellettuale raffinato.
Smettiamola poi con i paragoni con il predecessore che, in questo caso, non hanno senso!
In questo post vengono presentati alcuni articoli critici sulla posizione del Papa. Successivamente vedremo il punto di vista della Chiesa.

Raffaella

Vedi anche:

Creazionismo e Evoluzionismo (2)

Creazione o evoluzione? La parola al Papa


IL SACRO IN DARWIN

Intervista/ Un saggio di George Levine

Assistiamo ad una aggressione vergognosa contro la scienza
Persino Ratzinger arretra rispetto alle posizioni di papa Wojtyla
Si può conciliare la teoria evoluzionista con la religione? Lo sostiene l´autore di un libro controcorrente appena uscito negli Stati Uniti
"Dawkins e Dennett sono troppo aggressivi e non si rendono conto, lo dico da ateo, che la vita delle persone richiede qualcosa di più della razionalità"


ELISABETTA AMBROSI

«Charles Darwin viene ormai associato nella coscienza pubblica ad un mondo meccanicista e brutalmente competitivo. Considerato l´autore di una teoria controversa che ha fatto di lui un Anticristo, è sopravvissuto non tanto come l´icona di un passaggio rivoluzionario nel modo in cui pensiamo alle origini dell´umanità, ma come la spiacevole incarnazione del razionalismo scientifico che, secondo Weber, disincantò il mondo».
George Levine, professore di Letteratura inglese alla Rutgers University (New Jersey), racconta di come ha deciso di contestare questo cliché interpretativo nel suo ultimo libro, Darwin Loves You. Natural Selection and the Re-enchantment of the World (Princeton University Press). Un volume dal titolo curioso, che nasce da una guerra condotta a colpi di adesivi sui paraurti delle automobili americane (invase alternativamente da stickers con su scritto «Jesus Loves you» o, provocatoriamente, «Darwin Loves you») e che ha spinto il professore statunitense a mostrare come l´opposizione radicale «Jesus vs Darwin» possa essere superata. «La frase "Darwin ti ama" può sembrare ironica, ma in realtà essa contiene una profonda verità», ci spiega. «Sono convinto infatti che, malgrado tutto quello che è stato detto, Darwin amasse il mondo. Per me leggere L´origine delle specie è stata un´esperienza di grande gioia». E´ proprio grazie al naturalista inglese, infatti, che è possibile realizzare quello che a noi moderni sembra un ossimoro, cioè un "reincantamento" del mondo, seppure "secolare".
Richard Dawkins e Daniel Dennett, noti per il loro «ateismo darwinista» militante, sono avvisati: «Sono troppo aggressivi e mi sembra che non capiscano abbastanza che la vita richiede qualcosa di più della razionalità. La razionalità è sottile (thin), la vita invece ben più densa (thick)». Ma Levine non è tenero neanche verso tutti coloro, neocreazionisti e fondamentalisti religiosi, che tentano di negare la «verità» dell´evoluzionismo. «E´ una teoria che tutti siamo costretti ad accettare. Anche Wojtyla l´ha fatto, e non si può tornare indietro. Per questo non condivido le recenti dichiarazioni di Benedetto XVI sulla non dimostrabilità della teoria darwiniana».
Leggere Darwin, secondo lei, ci può rendere più felici. Eppure non tutti, specie i credenti, sarebbero d´accordo. Che spazio resta, ad esempio, per i sentimenti morali nella teoria darwiniana?
«Devo confessare che sono un ateo, quindi per me non è stato un problema studiare Darwin. Tuttavia sono convinto che per tutti, religiosi e non, sia molto importante sentire che il mondo ha un senso: ma credo che, rileggendo gli scritti di Darwin non solo come teorie scientifiche ma anche come un´opera letteraria, si possa intravedere in essi un modello per guardare alla vita con amore, trovando in essa bellezza e sentimento, pur senza trascendenza. So bene che Darwin dimostra che la realtà è piena di male, che non c´è nessun Dio, e che tutto è creato dal caso: non si tratta certo di una cosa piccola né che suscita piacere. Tuttavia, la "fede" nell´evoluzione si può tranquillamente coniugare con un sentimento profondo di meraviglia per il mondo naturale. Darwin lavorava con amore immenso verso tutte le cose biologiche. Amava le formiche, le zanzare, i vermi, tutto. Ne era intimamente commosso. In questo senso, non era uno scienziato distaccato dalla sfera dell´etica, perché, quando scriveva, avvertiva intensamente come ogni cosa fosse un "miracolo": un miracolo vero, sebbene "materialista". Tuttavia, essere materialisti non significa non avvertire il valore profondo del mondo».
Ma come è possibile essere materialisti e, ad esempio, avere credenze religiose?
«Per spiegarmi meglio utilizzo un argomento preso da quello che considero un altro mio "eroe" intellettuale, William James. Secondo James, la qualità di un´idea o di una persona non dipende dalle sue origini, ma dai suoi effetti. Ad esempio, la religione non viene sminuita dal fatto che possiamo ricostruirne l´origine. Allo stesso modo, secondo Darwin l´etica non perde il suo valore solo perché ammettiamo che i principi morali si siano evoluti mediante l´azione della selezione naturale. Al contrario. E lo stesso vale per l´estetica, che si è sviluppata anch´essa dal mondo biologico. Insisto, il disincanto non è l´effetto inevitabile della spiegazione naturalistica. Anzi, ritengo che una forma d´incanto sia la conseguenza naturale e positiva di un impegno intenso verso ciò che è interamente "secolare". Quando Darwin guardava gli organismi, provava certamente una grande passione e malgrado molti facessero cose terribili, erano per lui sempre stupefacenti, parte di quel grande organismo in cui tutti sono imparentati con tutti».
Una sorta di panteismo, insomma?
«Quasi, ma senza Dio. So che questa è una posizione filosoficamente molto problematica. Dennett è un filosofo, Dawkins uno scienziato e senz´altro sono in grado di difendere le loro posizioni in maniera ben più sofisticata, ma io credo che siano troppo aggressivi e mi sembra che non si rendano sufficientemente conto che la vita per tutte le persone richiede qualcosa di più della razionalità: richiede anche l´inclusione nella vita dei sentimenti morali. La razionalità è una cosa molto "esile", la vita esige molto di più. Chi dunque sostiene che l´evoluzione tramite selezione naturale abbia come conseguenza la rimozione di ogni significato e consolazione dal mondo è portatore di un razionalismo "trionfalistico" che calpesta gli aspetti affettivi ed immateriali dell´esistenza».
Il darwinismo è stato spesso strumentalizzato da più parti. Perché?
«E´ molto difficile essere neutrali riguardo al darwinismo e non incappare in interpretazioni ideologiche o morali. Le teorie di Darwin sono un testo (sign) che dà luogo a interpretazioni virtualmente infinite. Tutta la storia della ricezione delle idee darwiniane è piena d´ideologia».
Ma perché Darwin viene messo in discussione proprio oggi, quando le sue teorie sembravano ormai universalmente accettate? Quanto incide su questo fenomeno il "ritorno" della religione?
«L´aggressione odierna all´evoluzionismo è vergognosa. E credo, sì, che essa sia legata a quello che lei chiama ritorno della religione. Dopo l´attacco alle Torri gemelle e l´aumento della pressione migratoria, molte persone hanno finito per rifugiarsi nella religione, come posto sicuro dove ritrovare serenità. Che ciò sia avvenuto in America non mi stupisce, perché da noi c´è sempre stata una minoranza fondamentalista e una tradizione fortemente anti-intellettualistica, che si è accentuata con i cambiamenti del mondo moderno (e di cui Bush è la massima espressione). Che avvenga in Europa, invece, mi sorprende di più, visto che l´accettazione di Darwin sembrava ormai scontata: anche Wojtyla l´aveva esplicitamente riconosciuto».
In che modo, allora, è possibile contrastare l´ideologia neocreazionista che spesso si accompagna al fondamentalismo religioso?
«Io credo sia necessario assumere un duplice atteggiamento: da un lato riconoscere i bisogni e le paure della gente, dall´altro tuttavia insistere sul fatto che Darwin ha detto la verità sull´origine della vita; ma soprattutto occorre mostrare come sia possibile accettare la verità della realtà biologica e allo stesso tempo sentirsi a casa nel mondo».

Repubblica, 26 aprile 2007


Darwin e Dico

Lo stesso rifiuto

di Orlando Franceschelli

«Mi sembra che sia stata la Provvidenza ad averti indotto, Eminenza, a scrivere una chiosa (Glosse) sul New York Times». Così Benedetto XVI, rivolto al cardinale di Vienna Schönborn, nel ringraziarlo della relazione conclusiva dell’incontro su “Creazione ed evoluzione” svoltosi a Castel Gandolfo lo scorso settembre. Una chiosa che merita davvero tanta considerazione: sebbene a colpi d’accetta, come più tardi ha riconosciuto lo stesso cardinale, con essa, appena scomparso Giovanni Paolo II, veniva riaperto l’attacco contro la teoria dell’evoluzione. Chiosando, appunto, come «vaga e trascurabile» persino la presa di posizione con cui nel 1996 papa Wojtyla aveva riconosciuto che ormai la teoria dell’evoluzione non può essere considerata più «una mera ipotesi». Ne seguirono polemiche in tutto il mondo. Con proteste anche da parte di eminenti scienziati cattolici, che si appellarono direttamente allo stesso Benedetto XVI. Oggi, grazie alla pubblicazione degli atti del convegno del 2006 (Schöpfung und Evolution, con prefazione del cardinale Schönborn), sappiamo che il 7 agosto del 2005, sulle pagine del quotidiano newyorkese, era all’opera la Provvidenza. E che forse l’alto presule viennese aveva previsto persino la battaglia sui Dico.
Per l’attuale pontefice, anche il suo predecessore, «aveva le sue ragioni» quando si espresse in quel modo nel 1996. Ma si tratta di «ragioni» che proprio a Benedetto XVI, esattamente come al cardinale Schönborn, non costa poi molto lasciar cadere. Anzi, a papa Ratzinger preme l’esatto opposto dell’apertura di Giovanni Paolo II: presentare la teoria dell’evoluzione come non scientificamente verificata (wissenschaftlich verifiziert). Di più: come non provabile (nachweisbar) per via sperimentale in molti suoi aspetti. Al punto che la comunità internazionale dei biologi non saprebbe neppure di cosa parla quando si appella alla «natura» o all’«evoluzione» che avrebbero fatto questo o quello: «Chi è propriamente la “natura” o l’“evoluzione” in quanto soggetto?», chiedono all’unisono il pontefice e il cardinale.

Il riformista, 26 aprile 2007


DISCUSSIONI Di fronte all'offensiva delle posizioni confessionali Gian Enrico Rusconi ripropone gli ideali illuministi

Dio e democrazia

La politica non si fonda sulla religione ma sulla libera ricerca scientifica

di GIULIO GIORELLO

Dio non sembra essere mai stato di moda come oggi. I religiosi ne denunciano la mancanza, e così facendo ne ribadiscono il bisogno; gli atei finiscono per scoprirlo nei posti più impensati, magari nel computer; i politici dichiarano di cercarlo (anche se non è detto che Lui si faccia trovare). Di fronte a tante voci, spesso perentorie, che provengono da autorità mondane e spirituali, verrebbe da ribattere come fece Lutero alla Dieta di Worms: «Qui io sto saldo», al proprio posto nella barca della vita, squassata da venti e tempeste. Ma qualcuno esige maggiori sicurezze: «Può una società democratica ancorarsi nell'uomo anziché nel divino?» si chiede, fin dalla quarta di copertina, Gian Enrico Rusconi nella sua ultima fatica Non abusare di Dio (Rizzoli). Non si tratta di «porre restrizioni all'espressione pubblica di argomenti e convincimenti» da parte di chi si riconosce in questa o in quella religione (ci mancherebbe!); ma di distinguere tra la «sfera pubblica», ove si dispiega il confronto di tutte le posizioni, e il «discorso pubblico», inteso invece come il processo «che mira strategicamente alla decisione politica». Anche perché «non si capisce bene» quale Dio sarebbe evocato in tale contesto, e «a quale titolo».
Ma bisogna proprio «ancorare» la democrazia a qualcosa? Mi domando se il riferimento all'umano invece che al divino cambi la sostanza del problema. Kant insegnava che le domande che motivano la riflessione filosofica (Che cosa posso conoscere? Che cosa debbo fare? Che cosa posso sperare?) si riassumevano nell'unico quesito: «Chi è l'uomo?». In pagine e pagine di «antropologia» non diede mai la risposta! A quale titolo, dunque, dovremmo riferirci a una delle tante versioni della «natura umana» che miti, religioni, filosofie ci hanno tramandato? A seconda degli atteggiamenti, l'essenza dell'uomo apparirà non meno elusiva del «Dio ignoto», oppure fin troppo esplicita, se dispone di questo o quel sostegno ideologico. Abbiamo guadagnato qualcosa rispetto a chi dichiarava che la storia non era altro che la manifestazione di Dio? Possiamo servirci delle acquisizioni della scienza, in particolare della biologia, ma le teorie scientifiche sono per principio spiegazioni controllabili e rivedibili che possono venir modificate, o addirittura sostituite, perché non pretendono di catturare le essenze di quello che studiano. Questa caratteristica fa del «discorso» scientifico un modello del «discorso » democratico, mostrando che quest'ultimonon si riduce alla sola regola della maggioranza. Se la comunità scientifica avesse messo ai voti le idee di Galileo o quelle di Darwin al momento in cui erano state proposte, sarebbero state bocciate. Invece, ha lasciato che potessero crescere.
Qualche anno fa (2004), nel corso di un dibattito con l'allora cardinale Joseph Ratzinger, il filosofo Jürgen Habermas definiva il laico (nel senso etico caro a Rusconi), un «religioso stonato», liquidando così l'intera critica illuministica alla religione: quel filosofo è sempre stato affascinato dai meccanismi che generano consenso, dimenticando che è il dissenso, cioè il libero conflitto delle opinioni e delle forme di vita, a far crescere insieme conoscenza e democrazia. Tale aspetto era invece compreso dall'uomo di Chiesa: non perché Ratzinger indossasse per l'occasione i panni di Voltaire (o confessasse di essere «scientificamente stonato»!), ma perché riconosceva con franchezza che la concezione delineata da Darwin ci faceva capire che «la natura come tale non è razionale, anche se in essa c'è comportamento razionale». Il problema è se quel comportamento razionale vada inteso come qualcosa calato dall'alto, oppure sia emerso dal basso in un lungo processo di tentativi ed errori. Su questo punto possono entrare in conflitto mentalità religiosa e atteggiamento illuministico: ma ciò è un male o semplicemente un'occasione per riflettere anzitutto sui nostri stessi presupposti e sui nostri ruoli? Tra l'altro, non è sempre facile definire questi ultimi. Per esempio, l'astrofisico George Coyne, gesuita ed ex direttore dell'Osservatorio Vaticano, ha dichiarato (in un'intervista pubblicata in America, 23 ottobre 2006): «Il mio punto di vista è questo: Dio non vuole avere tutto sotto controllo, vuole che l'Universo abbia la sua autonomia e il suo dinamismo… Ho dovuto affrontare il cardinal Schönborn: ha detto che l'evoluzione neodarwiniana non è compatibile con la dottrina cattolica. È sbagliato. Quando lo dico, molti mi chiedono: come hai potuto contraddire un cardinale? Rispondo che essere un cardinale, o persino un Papa, non significa che tutto quel che uno dice sia giusto».
Forse, Dio non vuole tenere sotto controllo nemmeno la politica, e non gli importa che la società democratica vada alla deriva — non perché manca il timoniere, ma perché troppi sono quelli che ambiscono al ruolo. Qui torniamo alle nostre responsabilità: la sfida non è far finta che Dio non ci sia, cioè autodisciplinarsi etsi Deus non daretur («anche se non ci fosse Dio o non si curasse delle faccende umane»), quanto procedere nell'indagine scientifica e nel libero dispiegamento delle preferenze dei cittadini, ovviamente col vincolo che nessuno rechi danno ad altri: anche (e soprattutto) se Dio c'è! Non si tratta di escludere religioni o ideologie dal «discorso pubblico» (come Rusconi lo definisce), bensì di resistere alle imposizioni liberticide o totalitarie di qualsiasi Grande Timoniere — qualunque siano le sue credenze, il suo ruolo istituzionale, la sua militanza in una data Chiesa o partito. Come ricorda Tzvetan Todorov nel suo Lo spirito dell'Illuminismo (Garzanti, pp. 127, e 11), si svuotano di significato le stesse conquiste tecnico-scientifiche e le norme morali, senza l'appello alla coscienza di ciascuno: questo vuol dire per noi il «Qui io sto saldo». L'Illuminismo è ancora tutto da realizzare — come programma nobilmente «luterano», non come piattaforma per un qualche partito degli illuministi.
Gian Enrico Rusconi, professore di Scienza politica all'Università di Torino, è l'autore del saggio «Non abusare di Dio» (pagine 192, e 12,50) edito da Rizzoli

Corriere della sera, 26 aprile 2007

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