30 aprile 2007

Il Papa ci sfida...


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Europa...ne vale la pena?

Rassegna stampa del 30 aprile 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 aprile 2007 (1)

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 aprile 2007 (2)

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 aprile 2007 (3)


La sfida del Papa e la nostra responsabilità

Un noto direttore di quotidiano italiano, qualche tempo fa, avvertiva una folta platea che qualcosa da un po’ di tempo è cambiato in quel che loro, i giornalisti (e con essi intellettuali e opinionisti), chiamano “cattolicesimo”.
E come segno acuto di questo cambiamento che veniva da una stagione recente della Chiesa, notava che per la prima volta un Papa aveva usato la parola “avvenimento” in una enciclica per descrivere la natura e l’originalità del fatto cristiano. Una parola-spia, secondo quel direttore. Il concetto del cristianesimo come avvenimento storico non è una novità, appartiene a tutta la storia della Chiesa. Ma l’uso di questa parola, precisamente, incuriosiva il direttore.
A dire il vero, l’uso di certe parole da parte di Benedetto XVI sta stupendo tanti - basta leggere le firme autorevoli che ospitiamo in questo numero di Tracce: da Riotta ad Allam, da Reale a Borgna, da Albacete a Lenoci -, e “preoccupando” altri che lo ascoltano. Il Papa parla di cuore, di amore, di ragione, di educazione, di dialogo. Insomma, si occupa di cose da “laici”. Pensi alla fede e alla religione, quello è il recinto assegnatogli. E invece ha osato impiegare proprio le parole che correnti di pensiero e ideologie ostili al cristianesimo hanno preteso di considerare “cosa loro”, e sulle quali i cristiani - figuriamoci il Papa - si possono scordare di mettere il becco. Le parole della modernità, che interessano all’uomo moderno.
Escludendo la Chiesa dall’uso e dal confronto su queste parole e sulle questioni connesse, la si presenta come un’anticaglia che non può dire più niente di utile alla vita presente. Si sbagliano. Perché la Chiesa si è sempre rivolta a quel che interessa l’uomo di tutti i secoli, a quello che il Papa ha chiamato “cuore”.
Raccogliendo e, per così dire, rilanciando la sfida della modernità, Benedetto XVI ha usato quelle parole proibite, ma soprattutto le ha indagate e riproposte nel loro significato originale. E ha lanciato la sfida più alta e più amorosa, i cui primi destinatari siamo proprio noi cristiani: verificare con l’esperienza se il senso di quelle parole è più aperto e profondo alla luce di una familiarità della vita con Cristo. La sfida di amare fino in fondo la libertà dell’uomo e, come fece Cristo, affidarsi a essa per verificare se è vera la più importante notizia che possa raggiungerci: c’è qualcosa che resiste in mezzo a tutta la confusione, la vita non è vana, un Padre ti ha voluto e ti attende, quello che ami non si perde.
Che responsabilità - e che cambiamento - per i cristiani, immersi come tutti in un mondo che ha cancellato dal proprio vocabolario certe parole, dichiarandole impossibili da vivere. Raccogliere la sfida del Papa non significa solo “ripetere” i suoi discorsi, ma soprattutto documentarne la verità, ciò in cui consiste il cristianesimo - «Cristo dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito» (Deus caritas est) -. Significa mostrare che si può vivere così, perché se gli uomini non vedono, non ci credono. E possono essere attratti solo per il cambiamento che vedono nella vita di uomini come loro. Perciò la nostra responsabilità di fronte al mondo si chiama “testimonianza”.

Tracce

Benedetto XVI/Dentro la realtà

Il dialogo/1
Magdi Allam

Solo rispettando la persona umana è possibile promuovere la pace, e solo costruendo la pace si pongono le basi per un autentico umanesimo integrale. Qui si trova la risposta alla preoccupazione di tanti nostri contemporanei sul futuro. Sì, l’avvenire potrà essere sereno se lavoriamo insieme per l’uomo. L’uomo, creato a immagine di Dio, possiede una dignità incomparabile; l’uomo è così degno d’amore agli occhi del Suo Creatore, che Dio non ha esitato a donare per lui il suo proprio Figlio. È questo il grande mistero del Natale, che abbiamo appena celebrato e la cui atmosfera gioiosa si estende anche al nostro incontro odierno. Nel suo impegno al servizio dell’uomo e alla costruzione della pace, la Chiesa si pone al fianco di tutte le persone di buona volontà offrendo una collaborazione disinteressata.
(Al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 8 gennaio 2007)

Sono pertanto lieto di essere oggi ospite della Turchia, giunto qui come amico e come apostolo del dialogo e della pace (…). La vera pace ha bisogno della giustizia, per correggere le disuguaglianze economiche e i disordini politici che sono sempre fattori di tensioni e minacce in tutta la società. Lo sviluppo recente del terrorismo e l’evoluzione di certi conflitti regionali, d’altra parte, hanno posto in evidenza la necessità di rispettare le decisioni delle Istituzioni internazionali e anzi di sostenerle, dotandole in particolare di mezzi efficaci per prevenire i conflitti e per mantenere, grazie a forze di interposizione, zone di neutralità fra i belligeranti. Questo rimane, tuttavia, insufficiente se non si giunge al vero dialogo, cioè alla concertazione tra le esigenze delle parti coinvolte, al fine di giungere a soluzioni politiche accettabili e durature, rispettose delle persone e dei popoli (…). Faccio appello ancora una volta (…) alla vigilanza della comunità internazionale perché non si sottragga alle sue responsabilità e dispieghi tutti gli sforzi necessari per promuovere, tra tutte le parti in causa, il dialogo, che solo permette di assicurare il rispetto verso gli altri, pur salvaguardando gli interessi legittimi e rifiutando il ricorso alla violenza. Come avevo scritto nel mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: «La verità della pace chiama tutti a coltivare relazioni feconde e sincere, stimola a ricercare e a percorrere le strade del perdono e della riconciliazione, ad essere trasparenti nelle trattazioni e fedeli alla parola data» (1° gennaio 2006).
(Incontro con il Corpo diplomatico presso la Repubblica di Turchia, Ankara, 28 novembre 2006)

Tutte le persone di buona volontà sono grate a Benedetto XVI per l’ispirazione religiosa, la lucidità intellettuale e il coraggio umano con cui ha definito, nello storico discorso all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006, le basi del corretto e costruttivo rapporto tra dialogo e pace, all’insegna del legame indissolubile tra fede e ragione. Papa Ratzinger ha chiarito, dall’alto del suo magistero spirituale e della autorevolezza accademica, che il presupposto scientifico del dialogo è la considerazione della realtà per quella che è, fotografandola obiettivamente e descrivendola senza alcuna suscettibilità sia per ciò che è la sua specificità sia per ciò che è la sua diversità. E che soltanto basandoci sulla consapevolezza della realtà nostra e altrui, senza alcuna mistificazione dettata dall’ignoranza o dal pregiudizio, affrancata da ogni remora imposta dalla paura o dalla viltà, diventerà possibile erigere dei ponti tra le persone che si riconoscono in religioni o fedi diverse. A condizione che questi ponti, che esprimono l’esperienza concreta che porta le persone di buona volontà a incontrarsi e interagire, trovino una sponda solida in un comune punto di approdo, incarnato dalla condivisione dei valori assoluti e universali fondanti della nostra umanità e che hanno in sé l’essenza della trascendenza religiosa e divina. In primis, il valore della sacralità della vita e il valore della dignità della persona. Ebbene il Papa ha chiaramente individuato nel nichilismo dell’estremismo islamico, che ha portato all’elevazione dell’ideologia della morte quale livello supremo di spiritualità, e nel relativismo valoriale e culturale dell’Occidente laicista, che ha finito per mettere sullo stesso piano il vero e il falso e il bene e il male, le due maggiori sfide etiche e umane che tutti noi siamo chiamati a fronteggiare per forgiare insieme una comune civiltà della verità, della vita, della libertà e della pace.

Tracce


Benedetto XVI/Dentro la realtà

Il dialogo/2
Gianni Riotta

Un esperto di comunicazione vaticana osserva: «Giovanni Paolo II era un Papa di gesti, appariva alla folla dei fedeli, apriva le braccia e bastava una telecamera a diffonderne il messaggio. Benedetto XVI comunica per concetti, è teologo, studioso: e i media globali sono in difficoltà a interpretarlo».
La chiave della comunicazione di papa Ratzinger è nel faticoso uscire dalla dialettica del post illuminismo. Adorno diceva che la ragione illuminista, dopo Auschwitz, schiariva un deserto, dove neppure la poesia aveva più luogo. E il suo collega Horkheimer parlava di critica della tolleranza, concetto troppo meccanico per governare il mondo d’oggi, dove le identità si moltiplicano e confliggono e non possono, a giudizio della vecchia Scuola di Francoforte, essere lubrificate solo dalla tolleranza.
L’agire di papa Ratzinger rispetto a papa Wojtyla è scandito dal tempo nuovo. Giovanni Paolo II operò nel contesto della guerra fredda, prima subita e poi risolta. Benedetto XVI agisce nella confusa transizione dalle promesse seguite alla fine del XX secolo alla realtà dura dell’insorgenza fondamentalista islamica e della guerra di identità. Dove lo scontro di civiltà ipotizzato dal professor Huntington rischia di diventare una profezia che si attua nel momento in cui viene posta. Perché è palese come lo scontro non sia tra due “civiltà”, ma tra chi assume il dialogo come strumento di risoluzione degli attriti e chi invece ha il dialogo come obiettivo.
Il richiamo assoluto del Papa alla pace, anche laddove la diplomazia non può farsene carico perché pressata dalla logica delle armi, vedi il Waziristan, funziona quindi come argine morale: non c’è guerra, pur necessaria, che non dissangui anche chi la impugna in vista del bene e della legittimità internazionale. Finiamo alla partenza, cioè nel luogo dei media: se Benedetto XVI invita la comunicazione a dare non solo le notizie ma anche il contesto delle notizie, evoca la critica ai media del neoilluminista e coevo tedesco Habermas. Habermas, in un saggio recentissimo, si dichiara d’accordo. Perché il dialogo è la via della pace, ma i media globali ne sono il percorso.

Tracce

DRINNNNNNNNNNNNNNN!!! I media si devono svegliare ed iniziare a comprendere che i discorsi del Papa non sono riducibili ad una frasetta ad effetto. Forza e coraggio...basta applicarsi un po' di piu' :-))
Raffaella

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