20 aprile 2007

La fede e la ragione in Papa Benedetto


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Unisce nella sua persona fides et ratio

del cardinale Darío Castrillón Hoyos
presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei»


Il Santo Padre sta donando al mondo intero una testimonianza inconfondibile di adesione alla verità evangelica con tutto sé stesso.
Egli unisce nella sua persona, in modo evidente, fides et ratio, che è il suo modo particolare di unirsi a Gesù Verbo incarnato.
Il suo illuminato magistero ci sta guidando ad approfondire la conoscenza di Dio, innanzitutto del Suo amore misericordioso che ci è donato, totalmente, in Cristo presente nella santissima Eucaristia.
Possa la luce della misericordia divina rischiarare sempre i sentieri di Benedetto XVI e il sostegno della Madre della Chiesa lo conforti nella vocazione di buon Pastore della Chiesa universale.

Trenta giorni


Le attese del popolo cristiano non sono rimaste deluse

del cardinale Salvatore De Giorgi
arcivescovo emerito di Palermo


Ho avuto la grazia di partecipare al conclave durante il quale il cardinale Joseph Ratzinger è stato eletto papa: un’esperienza indimenticabile che mi ha confermato nella certezza che è lo Spirito Santo a guidare la Chiesa di Gesù secondo i disegni del Padre.
Da sacerdote, avevo conosciuto il professor Ratzinger attraverso le sue molteplici e illuminanti pubblicazioni di altissimo teologo. Da vescovo, l’ho conosciuto direttamente avendolo avuto ambìto e gradito ospite come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede sia a Foggia nel 1985 sia a Palermo nel 2000. Fu grande l’entusiasmo dei fedeli che gremivano l’una e l’altra cattedrale per la capacità dell’illustre porporato di esprimere concetti elevati e profondi con un linguaggio accessibile a tutti. Colpì in modo particolare la semplicità evangelica del cardinale, segno evidente della sua grandezza.
Mi si consenta un ricordo che riguarda mia madre: era ancora viva quando il cardinale Ratzinger venne a Foggia. A sera, mentre le mie due sorelle preparavano la cena, sua eminenza preferì stare con l’anziana mamma lungo il corridoio dell’episcopio dicendole: «Noi recitiamo il rosario».
Il ricordo della visita palermitana dovette restare vivo nel cardinale, se me ne faceva cenno nei successivi incontri. Ne ho avuto conferma perfino durante il conclave, quando a pranzo nel primo giorno mi è capitato di stare allo stesso tavolo con lui.
Le congregazioni generali che hanno preceduto il conclave avevano dato a tutti i cardinali l’opportunità di apprezzare le eccezionali capacità di moderatore del decano del Sacro Collegio, la trasparente pietà, l’altissima competenza dottrinale, la disponibilità al dialogo, la fine gentilezza del tratto, l’attenzione nell’ascolto, la cordialità dell’amicizia fraterna, la fermezza nelle decisioni prese insieme e l’umorismo dell’intellettuale raffinato, facile alle sorprese. E questo spiega abbastanza la brevità del conclave.
Nella messa per l’elezione del romano pontefice avevamo chiesto al Padre di donare alla sua Chiesa un pastore secondo il suo cuore, accetto a lui per la santità della vita, pronto a illuminare il suo popolo con la verità del Vangelo e a edificarlo con la testimonianza della vita.
Come scrivevo ai fedeli palermitani all’indomani della elezione, abbiamo desiderato un papa che fosse un uomo di preghiera, animato da un sincero anelito alla santità, un maestro della fede, fondata in Gesù Cristo unico e universale salvatore degli uomini, basata su una profonda conoscenza teologica e animata da un vivo spirito di contemplazione. Abbiamo desiderato un pastore attento ai problemi della Chiesa e alle sfide della storia, sperimentato sia nella più diretta azione pastorale in mezzo al popolo, sia negli organismi collegiali della Curia romana; un pontefice immagine viva della misericordia del Padre, della donazione del Figlio, della fortezza dello Spirito Santo.
Con la scelta del cardinale Joseph Ratzinger siamo stati ascoltati. La sua profonda pietà, il suo sconfinato amore a Cristo salvatore, la vastità della sua cultura, soprattutto teologica, acquisita nel lungo servizio di docente in prestigiosi centri accademici, l’esperienza pastorale nell’impegnativa arcidiocesi di Monaco, il servizio di collaborazione prestato per oltre venticinque anni al servo di Dio il papa Giovanni Paolo II nel dicastero più delicato e importante della Santa Sede col compito di «promuovere e di tutelare la dottrina sulla fede e i costumi in tutto l’orbe cattolico» con fortezza e mitezza evangeliche, sono i tratti salienti del nuovo Papa, che sta entrando ogni giorno di più nel cuore dei fedeli.
Anche i non credenti percepiscono il fascino culturale e il prestigio morale di Benedetto XVI, che non si stanca di difendere e di proporre la verità del Vangelo in tutto il suo rigore e in tutto il suo vigore, soprattutto quella riguardante la dignità della persona, l’intangibilità della vita umana e l’autenticità della famiglia fondata sul matrimonio, mosso unicamente dalla duplice e indissociabile fedeltà a Dio e all’uomo. D’altra parte la fedeltà era già iscritta nel suo motto episcopale: «Collaboratori della verità».
Nell’omelia della messa pro eligendo Romano Pontifice da lui presieduta come decano del Sacro Collegio, non era passata inosservata l’esortazione a una fede chiara, adulta, matura, una fede cioè che «non segue le onde della moda e l’ultima novità», che non si lascia portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina «nella logica altalenante del relativismo che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie», ma una fede profonda radicata nell’amicizia con Cristo, «la misura del vero umanesimo», che fa della verità nella carità la formula fondamentale dell’esistenza cristiana.
Personalmente ho vissuto la singolare esperienza del conclave, che potremmo definire come il “natale” di un nuovo papa, nel clima di mistero che lo ha caratterizzato. Mi è sembrato come se la Chiesa, sotto l’azione dello Spirito Santo e attraverso la collaborazione dei cardinali elettori, dal suo seno stesse per dare alla luce l’eletto del Padre a Vicario del suo Figlio e Pastore della Chiesa universale.
Non potrò mai dimenticare l’emozione provata all’ingresso nella Cappella Sistina, dominata dal Giudizio universale di Michelangelo, al canto delle litanie dei santi, e a quello più suggestivo del Veni Creator, l’invocazione allo Spirito Santo, al quale si affidava ciascuno dei cardinali, soprattutto quando, dopo il giuramento sul Vangelo, ha segnato il nome dell’eletto sulla scheda che deponeva nell’urna dicendo ad alta voce: «Chiamo a testimone Cristo Signore, il Quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto». E indescrivibile è stata l’emozione quando alla quarta votazione colui che doveva essere eletto secondo Dio era il cardinale Joseph Ratzinger, col nome nuovo di Benedetto.
Davanti a lui, vestito di bianco, come tutti gli altri cardinali, mi sono inginocchiato per esprimere, col bacio del sacro anello, l’ossequio e l’obbedienza al nuovo Vicario di Cristo: veniva doppiamente spontaneo dirgli nella fede: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Ma non ci fu tempo per dirglielo, perché con un gesto di tenerezza paterna volle abbracciarmi, dicendo: «Ecco Palermo, ecco la Sicilia». In doverosa risposta toccò a me dopo la cena, su invito del cardinale camerlengo, intonare per la prima volta: «Oremus pro pontifice nostro Benedicto».
Due anni di pontificato hanno dimostrato ampiamente come le attese del popolo cristiano non solo non sono rimaste deluse, ma dal magistero ricco di luce e dal ministero fecondo di grazia di Benedetto XVI si aprono a nuovi orizzonti di speranza non solo per la Chiesa, ma per tutta l’umanità.
Il più bell’augurio che per l’ottantesimo genetliaco mi piace rivolgere al nostro grande Pastore è quello della Chiesa espresso con quel canto secolare e sempre attuale: «Dominus conservet eum et vivificet eum et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius».

Trenta giorni


È vero, il Papa compie gli anni...!

del cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga sdb
arcivescovo di Tegucigalpa, Honduras


La gente comune compie gli anni ed è giusto festeggiare; ma a persone come Benedetto XVI gli anni che restano servono per compiere la loro missione. Per questo il significato della ricorrenza è diverso, si tratta di chiedere a Dio di permettergli di portare a compimento il suo incarico per il bene della cristianità e del mondo.
Il professor Ratzinger è un pensatore brillante che ha dovuto superare i problemi della sua epoca da docente universitario, comprendendola meglio di chiunque altro e, perciò, senza alcuna tendenza a scendere a patti sulle cose fondamentali. In effetti, come professore dell’Università di Bonn, andò sviluppando nelle sue conferenze tutto quello che più tardi costituirà l’Introduzione al cristianesimo, l’opera che lo ha fatto conoscere non solo in ambito accademico ma anche da coloro che, chiamati a partecipare al Concilio Vaticano II, cercavano consiglieri e periti che sapessero veramente leggere i segni dei tempi e discernerli attraverso la Parola di Dio e del magistero. Infatti, il cardinale Frings, dell’arcidiocesi di Colonia, lo portò con sé al Concilio Vaticano II, lasciando generosamente capire che il suo pensiero nasceva dai colloqui con questo giovane teologo, da quella che qualcuno ha definito “audacie minori di quarant’anni” che non sono comuni negli ambienti tradizionali dove le istituzioni si muovono – quando lo fanno – lentamente per poi continuare il loro riposo.
Il giovane pensatore seppe dare il suo contributo e chiunque legga i documenti emanati dal Concilio sa che lì ci sono le tracce che oggi è facile riconoscere nei passi che Benedetto XVI ha compiuto nel suo già fecondo pontificato. Che Dio si è manifestato mediante Gesù Cristo è una delle idee-forza del suo pensiero teologico e della sua vita personale, come pure del suo servizio pastorale quando era arcivescovo di Monaco di Baviera. E, abituato da buon teologo ad andare più a fondo, ha sviluppato con la più grande sensibilità il tema della giustizia affermando in molte occasioni che nella storia «Dio non è mai stato dalla parte delle istituzioni, ma sempre e in ogni momento dalla parte di coloro che soffrono e di quanti sono perseguitati».
In effetti, la sua prima, importante cattedra universale fu il Concilio e oserei dire che le università di allora si privarono di ricevere, nella serenità del pensiero e della riflessione, gli insegnamenti e le intuizioni che questo pensatore, già grande a quel tempo, avrebbe potuto offrire. Bonn fu solo preliminare al Concilio e Ratzinger subito passò, anche se per periodi di diversa durata, nelle Università di Münster e Tubinga per giungere finalmente a Ratisbona, il suo ultimo approdo come cattedratico universitario.
Rimane la domanda sull’apparente scarsa considerazione per la cattedra di Ratzinger in Germania. Apprezzato dai padri conciliari e dalla critica mondiale che vedeva in lui il pensatore di Dio, i giovani del ’68 non erano disposti né ad ascoltare né a discutere ma solo a esaltare coloro i quali corrispondevano alle loro parole lontane dai valori e rivestite degli slogan poi pubblicizzate in tutto il mondo della cultura e da quello della sua negazione.
Ciò non vuol dire che il movimento del ’68 sia stato privo di significato. Vuol dire che coloro che ne gestirono l’arrivo sui mezzi di comunicazione lo presentarono come intollerante e fondarono attraverso questa operazione il “relativismo morale” nel quale siamo immersi. Nelle università molti furono i cattedratici che si barcamenarono sia per sopravvivere ai tempi sia perché non seppero riconoscere il momento né una possibile via d’uscita. In realtà scesero a patti e i superstiti oggi rimpiangono di averlo fatto e i figli non capiscono perché i padri sono scesi a patti.
Il professor Ratzinger fu tra quelli che non scesero a patti, tra quelli che si opposero al frastuono di ciò che era interiormente vuoto e che rappresentava, quindi, un pericolo.
Quelli che desiderano comprendere la battaglia di papa Benedetto XVI contro il relativismo dovranno tornare a chiarire ciò che è accaduto nel pensiero del ’68 e altri dovranno misurare le conseguenze dell’aver voluto mescolare il pensiero del Concilio, un pensiero pieno di fede, di speranza e di amore, con il pensiero del ’68, privo di senso, il che equivale alla negazione della fede, della speranza certa e della carità.
Il prendere le distanze, il non negoziare su ciò che non era negoziabile, la preoccupazione di non scendere a patti lo portarono ad approfondire la Scrittura, a intensificare le conferenze nelle quali sviluppò una capacità didattica per farsi capire senza equivoci, cosa che gli valse da parte di chi si riferiva a lui l’epiteto “bocca d’oro”. Così si allontanò dalla rivista Concilium e collaborò alla creazione della rivista Communio e seppe far capire su che cosa era e su che cosa non era d’accordo.
La Provvidenza aveva preparato alla sua fedeltà una cattedra, quella dell’arcidiocesi di Monaco di Baviera e, subito dopo, quella della Congregazione per la dottrina della fede che aveva criticato, con la libertà dei figli di Dio, al tempo del Concilio, quando era guidata da uno dei cardinali più importanti, Alfredo Ottaviani.
Tutti credevamo che il cammino del cardinale, professor Ratzinger, si sarebbe concluso con questi quasi venticinque anni di guida della Congregazione fondata da papa Paolo III . Era un compito realizzato da chi, come consultore-esperto nel Concilio, aveva l’incarico di prendersi cura del tesoro dottrinale della sua Chiesa. Era una vita realizzata, oggetto di sana invidia, meritevole di riposo, già degna di entrare nella storia con pieno diritto.
Ma Dio va sempre oltre e, alla fine dei venticinque anni di lavoro leale e altamente qualificato accanto a papa Giovanni Paolo II, il Signore lo ha chiamato a dirigere la Cattedra di San Pietro, dando in questo modo l’assenso al suo pensiero teologico, a questo uomo di Dio che riprende nei secoli XX e XXI san Tommaso d’Aquino, sant’Agostino e tanti altri che sono stati le luci che hanno reso possibile la presenza di questo faro dottrinale di pensiero sicuro, di parola chiara, di valori certi, di fede sincera e soprattutto di amore e speranza invincibili.
Il Papa compie ottant’anni, è vero, ma c’è da sperare che ciò che celebriamo non sia solo la sua vitalità biologica ma, assieme a questa, la capacità di guidare la Chiesa e il mondo “prendendo il largo” in un momento decisivo nel quale è necessario sapere dove si va, perché si va e quali sono i rischi che si devono correre. Celebriamo già il secondo anno di un pontificato dallo stile personale, che ha sconcertato quanti sono dell’ambiente e gli estranei, che credevano esaurite le capacità di stupire.
Dalla cattedra del Concilio alla Cattedra di Pietro. Così si può riassumere l’inizio di questo Papa che lo Spirito di Dio ci ha concesso. «Benedictus qui venit...», cantiamo tutti con la certezza che stiamo ricevendo il Signore Gesù Cristo e il suo Vicario che ci chiamano a continuare nella missione e a portare avanti la meravigliosa pazzia della croce. Ad multos annos, Santo Padre!

Trenta giorni


La sua passione per la verità e la bellezza è una rotta sicura

del cardinale Juan Luis Cipriani Thorne
arcivescovo di Lima, primate del Perù


Mi unisco con immensa gioia alla celebrazione del compleanno del Santo Padre che giunge agli ottant’anni guidando la barca di Pietro con forza e vitalità che, ne sono certo, gli derivano dalla sua intimità con Dio.
La parola di papa Benedetto XVI riecheggia nel mondo intero producendo una vibrazione di santità e di letizia che sta commuovendo e convertendo grandi moltitudini. La sua passione per la verità, e la bellezza con cui la esprime, indica una rotta sicura alla Chiesa cattolica e agli uomini di buona volontà.
Santo Padre, ogni giorno la accompagniamo con profondo amore nell’Eucaristia e siamo una grande moltitudine che la segue e la sostiene con la preghiera piena di fedeltà ai suoi chiari insegnamenti! «Omnes cum Petro, ad Iesum per Mariam».

Trenta giorni


I temi della fede comunicati con un linguaggio accessibile a tutti

del cardinale Severino Poletto
arcivescovo di Torino


La Chiesa di Torino attraverso questo mio scritto desidera esprimere la propria partecipazione di affetto e di vicinanza al santo padre Benedetto XVI nell’occasione della ricorrenza del suo ottantesimo compleanno. I sentimenti che animano me personalmente e tutta la comunità diocesana torinese sono soprattutto sentimenti di augurio accompagnati da fervida e quotidiana preghiera perché il Signore sostenga il Santo Padre nel suo faticoso ministero di guida della Chiesa universale. Nello stesso tempo desidero sottolineare la nostra convinta adesione al suo straordinario e quotidiano magistero su temi particolarmente delicati e importanti per tutta l’umanità quali la pace, la difesa della vita, la famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di superare il relativismo diffuso. Il Santo Padre ci sollecita a ricuperare la verità della ragionevolezza della fede, per cui fede e ragione non sono in contrasto tra loro ma sono «le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (Fides et ratio, n. 1).
In questi primi due anni di pontificato, papa Benedetto è riuscito a imporsi all’attenzione del mondo con una autorevolezza e una sapienza straordinarie. Per questi doni ringraziamo veramente il Signore, per averci donato un pastore che, pur con stile diverso, sta guidando la Chiesa con dolce fermezza in continuità con il magistero dell’indimenticabile Giovanni Paolo II.
Mi piace sottolineare un carisma specifico di questo Papa teologo: la sua capacità di comunicare importanti temi della fede con un linguaggio accessibile a tutto il popolo cristiano. Questa specifica caratteristica rende ragione della preparazione spirituale e culturale di questo Pontefice ed è anche un dono particolare per tutti i credenti, i quali guardano al Papa per sentirsi sostenuti e orientati nella loro fede, e questo si realizza quando il popolo cristiano ascolta parole accessibili a tutti. La simpatia che Benedetto XVI suscita e l’interesse crescente nei confronti del suo magistero sono confermati anche dal sempre più grande numero di presenze di pellegrini alle udienze generali del mercoledì come alla preghiera domenicale dell’Angelus. I miei voti augurali sono accompagnati dalla preghiera mia e di tutta la Chiesa torinese, affinché il Signore conceda al nostro Santo Padre lunga vita, buona salute e soprattutto gli faccia avvertire sempre quell’assistenza straordinaria dello Spirito, che ogni giorno noi constatiamo visibile nella sua persona e nel suo magistero.
Anche la delicatezza del tratto, la dolcezza del suo comunicare e la capacità di dialogo con tutte le realtà ecclesiali e del mondo sono il segno di come il Signore attraverso questo grande Papa continua a guidare la sua Chiesa, chiamata a essere, secondo l’espressione evangelica, «sale della terra, luce del mondo e città sul monte».
Auguri, Padre Santo, e ad multos annos!

Trenta giorni


Un uomo mite

del cardinale Crescenzio Sepe
arcivescovo di Napoli


Fin dal giorno della sua elezione a successore dell’apostolo Pietro, papa Benedetto XVI si è presentato al mondo intero come l’umile servo nella vigna del Signore.
Mercoledì 20 aprile 2005, nel suo primo messaggio al termine della concelebrazione eucaristica con i cardinali elettori nella Cappella Sistina, papa Benedetto XVI ha affermato: «Mi accingo a intraprendere questo peculiare ministero, il ministero petrino, al servizio della Chiesa universale con umile abbandono nelle mani della Provvidenza di Dio. È in primo luogo a Cristo che rinnovo la mia totale e fiduciosa adesione: “In Te, Domine, speravi; non confundar in aeternum!”».
Uomo di grande spiritualità e cultura, con linguaggio semplice, ma nello stesso tempo profondo, comunica Dio in modo chiaro. Tale incontro tra speranza e fermezza, non è intransigenza, ma solo la disarmante verità di Cristo, ieri oggi e sempre.
Con la lettera enciclica Deus caritas est, un vero compendio dell’amore cristiano, papa Benedetto XVI, ha indicato la sola via per arrivare all’uomo di oggi e parlare al suo cuore: lo stupore dell’amore di Cristo.
In occasione dell’ottantesimo genetliaco del Santo Padre, l’augurio che gli rivolgo, anche a nome della diocesi di Napoli – che egli ama molto –, è che possa continuare a comunicare alla Chiesa universale e al mondo intero lo stupore dell’amore di Cristo con freschezza e giovinezza di spirito, con chiarezza e umiltà, con gioiosa e incessante fecondità spirituale.
«Dominus conservet eum… ad multos annos!».

Trenta giorni

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