19 aprile 2007

Gesu' di Nazaret, gli interventi dei professori Cacciari e Garrone


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La lezione di cristianesimo di Cacciari alla Curia

Città del Vaticano. “Questo libro è un appello, un appello drammatico rivolto ad ogni uomo, credente o non credente, un appello a decidersi” Così termina il suo discorso Massimo Cacciari presentando il libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazareth” che da lunedì, con 350 mila copie di tiratura invaderà le librerie italiane (insieme a quelle tedesche, polacche e greche).
Cacciari è il terzo dei relatori invitati a parlare di questo volume di 400 pagine che, già si intuisce da queste prime battute, è destinato a far parlare di sé. Prima di lui ha aperto le danze il cardinale
Schoenborn, seguito da Daniele Garrone, decano della facoltà di Teologia valdese e presidente della Società Biblica Italiana prima di lasciare il testimone al filosofo ribattezzato di recente “Anticristo” (e la battuta è ritornata spesso nelle quasi tre ore di presentazione).
Entrambi, Garrone e Cacciari, hanno elogiato e insieme criticato il libro del Papa, sentendosi “liberi di contraddirlo” come lo stesso Pontefice ha invitato a fare nell’introduzione del volume, mettendosi in dialogo con la lezione del cardinale arcivescovo di Vienna, allievo e amico di Benedetto XVI che potete leggere in questa pagina. Il più apertamente critico è stato Garrone che ha esordito dichiarandosi “grato a Dio per il tempo in cui viviamo, in cui in Vaticano vengono chiamati a commentare il libro del Papa un teologo valdese e un filosofo non credente”. Se da una parte Garrone apprezza molto “questa meditazione profonda del Papa che si pone come un semplice credente e che invita se stesso e tutti i lettori ad andare a scuola di Dio da Gesù”, dall’altra avverte il rischio dell’apologia e la cosa lo lascia perplesso.
Riprendendo il tema del paradosso già accennato da Schoenborn, Garrone si dichiara invece favorevole a una rinuncia all’apologia e, se pur apprezza la vis polemica che anima queste pagine papali, ricorda il rischio insito nell’atteggiamento di chi vuol convincere tutti a tutti i costi: quello di ingabbiare Dio nelle proprie proiezioni. Fa bene il Papa a ricordare l’Anticristo di Soloviev, dice Garrone, ma è sempre valida la provocazione di Dostoevskj e del suo Grande Inquisitore: il nemico più insidioso per la cristianità è quello interno.
Poi prende la parola l’Anticristo dei nostri giorni, Cacciari che invece preferisce parlare dello scandalo, altro tema trattato già da Schoenborn, e porta la discussione sul suo terreno, quello della filosofia.
Il Cristo che a lui (e, secondo Cacciari, anche al Papa) interessa è quello di Giovanni, il Cristo che si proclama la Via e la Verità.
Aletheia, questa parola sconosciuta per i vangeli sinottici, rappresenta a un tempo la sfida inaudita del cristianesimo e il dramma che attraversa la filosofia occidentale da due millenni a questa parte.
Nella sua dotta lezione di cristianesimo (forse non molto gradita da tutti i prelati presenti in sala) Cacciari si è dichiarato a più riprese del tutto d’accordo con l’autore del libro (anche se “Ratzinger è spesso frettoloso con la filosofia moderna”), libro che ha molto apprezzato (pur rilevandone i molti passi evangelici mancanti, che il professore cita anche in latino) soprattutto perché va all’essenza del cristianesimo: la pretesa che Cristo accampa della sua divinità e la richiesta, esigentissima, rivolta ai suoi di essere “perfetti come il Padre mio”.
Di fronte a questa pretesa l’uomo è chiamato a rispondere. La novità del cristianesimo è nella sua fiducia nell’uomo, che è “capax Dei”, capace di accogliere la grandezza infinita di Dio, di dire sì all’appello impossibile di Dio. “Un cristiano non crede solo in Dio” ha concluso Cacciari, “ma anche nell’uomo. Il non credente, come me, non riesce a fare questo drammatico salto”. (a.m.)

Il Foglio, 14 aprile 2007

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