20 aprile 2007

Due anni di Pontificato di Papa Benedetto...analisi


Vedi anche:

Le prospettive del Pontificato di Benedetto XVI (rassegna stampa del 20 aprile 2007)

Due anni di pontificato, riflessioni...

I primi due anni di uno storico pontificato

Fumata bianca, eletto il nuovo Papa,cronaca di quei momenti indimenticabili

19 aprile 2005: l'elezione del semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI e tutti i link ivi segnalati

Mea culpa dei media?


Benedetto XVI, due anni dopo

di Gianteo Bordero

Sono numeri impressionanti quelli diffusi ieri dalla Santa Sede circa le presenze di fedeli alle udienze generali, agli Angelus e alle celebrazioni presiedute da Benedetto XVI negli ultimi dodici mesi. Nel periodo che va dal 20 aprile 2006 al 19 aprile 2007, secondo anno di pontificato di Joseph Ratzinger, a Roma sono accorsi ad ascoltare il Papa 3.368.200 pellegrini. Cifre da capogiro, se si pensa che superano persino quelle del «record» del 2006 (3.222.820), che già avevano fatto scalpore in quanto maggiori di quelle registrate da Giovanni Paolo II, universalmente ritenuto un «grande comunicatore». Ieri, tanto per fare un esempio, all'udienza generale erano presenti oltre 50 mila fedeli, che hanno affollato piazza San Pietro per ascoltare la catechesi del pontefice sulla figura di San Clemente alessandrino, padre della Chiesa del II secolo.

Come si spiega tale «successo»? A nostro avviso, esso nasce dal fatto che, da due anni a questa parte, Benedetto XVI, in diversi modi, sta portando avanti una grande catechesi che va alle radici del fatto cristiano e che ne mostra tutto il fascino e tutti i legami con la ragione umana e con i desideri più radicali che ogni persona porta con sé: desiderio di verità, di bellezza, di significato. Tutto il percorso che va dall'aprile del 2005 ad oggi sembra portare in questa direzione. Basti pensare, ad esempio, ai grandi discorsi di Benedetto XVI, dalla lectio magistralis di Ratisbona a quello pronunciato in occasione del Convegno ecclesiale di Verona. All'enciclica Deus caritas est e, ora, al libro su Gesù di Nazareth pubblicato da Rizzoli. E ancora, al compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica e alle udienze generali sulle figure degli apostoli e dei Padri della Chiesa.

Potrebbe apparire, questa, come la strada più facile per portare avanti il ministero petrino, ma in realtà essa è oggi resa più ardua dal fatto che molte incrostazioni e molti pregiudizi sembrano intaccare la concezione del cristianesimo non solo nell'opinione pubblica, ma anche tra gli stessi credenti. Non si tratta soltanto di «ignoranza» circa le cose di fede e i dogmi - documentata di recente da un sondaggio de Il Giornale - ma anche di una vera e propria distorsione dell'annuncio cristiano. Se il cristianesimo, infatti, viene ridotto a una semplice dottrina morale, a un insieme di regole da seguire e di pratiche da sbrigare, o - per altro verso - a un messaggio di fratellanza universale o a una religione tra le tante, è inevitabile che esso perda la sua capacità di incidenza nella vita individuale e pubblica, che si trasformi in un vestito giustapposto dall'esterno all'esistenza delle persone senza più rappresentarne il centro. E' inevitabile che prenda corpo una sorta di scissione, di sclerosi tra la dimensione spirituale e la vita reale.

A questa scissione, a questa sclerosi, Benedetto XVI ha deciso di rispondere non con un programma o con una «tecnica» pastorale, ma riandando all'origine dell'avvenimento cristiano. Papa Ratzinger ha così mostrato che ciò di cui la Chiesa ha bisogno non è innanzitutto una particolare teologia, non è una migliore organizzazione, ma una conversione dello sguardo. Una Chiesa e dei cristiani, cioè, meno ripiegati su se stessi, sulle loro capacità e sulla loro attività, più disponibili a «lasciarsi fare» dall'azione misteriosa di Cristo e più attenti alla Sua presenza. Proprio per questo egli ha insistito così tanto, a un tempo, sul discorso del rapporto e del legame tra fede e ragione, sulla figura storica di Gesù e dei discepoli e sulla centralità della liturgia nell'esperienza cristiana: perché il cristianesimo, senza una fede ragionevole, si riduce a mera devozione umana; senza la storicità di Cristo si riduce a semplice messaggio spirituale manipolabile a seconda delle diverse necessità e dei diversi contesti socio-culturali e politici; senza la consapevolezza di ciò che accade nella liturgia si riduce a puro volontarismo.

E' stato detto, giustamente, che Benedetto XVI è il Papa della riscoperta della «identità cristiana». Bisogna aggiungere però, alla luce di quanto detto, che tale identità non è uno schema preconfezionato o un prontuario culturale stiracchiabile da destra e da sinistra, un fossile da rispolverare. Perché, come diceva Charles Peguy, Gesù Cristo «non è venuto per dirci frivolezze... Non ci ha dato delle parole morte che noi dobbiamo chiudere in piccole scatole (o in grandi). E che dobbiamo conservare in dell'olio rancido come le mummie d'Egitto... Gesù Cristo non ci dà delle conserve di parole da conservare, ma ci ha dato delle parole vive da nutrire». Per questo il messaggio «culturale» di Benedetto XVI non è separabile dal suo andare alle radici del cristianesimo come avvenimento, come fatto reale nella storia e nella vita degli uomini. Il primo non si spiega senza il secondo e solo tenendo insieme queste due facce della stessa medaglia si comprende perché Papa Ratzinger trovi, ogni giorno che passa, sempre più persone che mostrano di aver sete delle sue parole e di voler guardare, attraverso di esse, alla Persona che ha affidato a San Pietro e ai suoi successori le chiavi che spalancano agli uomini la porta di accesso al Significato e alla promessa del «centuplo quaggiù e dell'eternità».

Ragion politica


BENEDETTO XVI. Ricorrenza «oscurata» dal recente compleanno e dall’uscita di «Gesù di Nazaret»

Ratzinger, due anni da Papa
Secondo anniversario dell’elezione in tono minore. Domani la visita a Pavia

Andrea Bertin

Città del Vaticano. Secondo anniversario di elezione al soglio pontificio in tono minore per Benedetto XVI, forse a causa della coincidenza degli ottanta anni, festeggiati soltanto due giorni prima, lunedì scorso, che hanno catturato gran parte dell’attenzione anche per la contemporanea uscita del primo libro di Joseph Ratzinger scritto da Papa, e dedicato alla figura di Gesù.
Ieri dunque silenzio completo dalla Sala stampa e dalle altre fonti vaticane. Soltanto in serata, nella cornice fastosa del teatro Argentina, al centro della capitale, si è svolta una festa intitolata «Vangelo e giovani», organizzata dalla diocesi di Roma per i due anni di pontificato e alla quale ha partecipato il cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Il «braccio destro» di papa Ratzinger ha ribadito la grande ammirazione mondiale nei confronti dello stile di governo e di vita di Benedetto XVI.
La pausa di ieri in realtà è stata solo apparente. Dietro le mura vaticane si lavora a pieno ritmo per i prossimi appuntamenti. Il primo, domani e domenica, riguarda la annunciata visita a Vigevano e a Pavia. Quest’ultima città ha già ospitato 23 anni fa Giovanni Paolo II, mentre la vicina Vigevano deve risalire indietro di secoli per ricordare una visita papale, quella legata alla sosta di Martino V nel 1418. Tra l’altro, a Pavia Benedetto XVI domenica pomeriggio ha in programma una visita alla basilica che contiene l’urna con i resti di sant’Agostino, arrivati avventurosamente in Occidente dall’Africa, prima con tappa in Sardegna e quindi a Pavia. Di Agostino, papa Ratzinger è un grande estimatore, avendogli dedicato la sua tesi di laurea ed avendone elogiato l’opera di teologo, predicatore e uomo di Chiesa, parlando ai seminaristi di Roma lo scorso 17 febbraio. Dietro l’angolo c’è poi la visita in Vaticano di Abu Mazen: l’incontro tra il Papa e il presidente dell’Autorità palestinese è fissato per martedì 24 aprile.
Ieri comunque è toccato ai mezzi di comunicazione della Santa Sede - Radio Vaticana ed Osservatore Romano - ricordare quanto accadde il pomeriggio del 19 aprile di due anni fa. «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», disse Benedetto XVI nel suo primo saluto dopo che alle 17.56 dal comignolo della Cappella Sistina era uscita una fumata dapprima di colore incerto, poi decisamente bianca.
Tra i temi rapidamente postisi al centro dell’attenzione nei discorsi del nuovo Papa, svettano la volontà di riportare in primo piano l’identità del cattolicesimo in un mondo secolarizzato, la denuncia del «relativismo etico» e contro l’allontanamento della società dalle verità della fede cristiana.
A questo sono rivolti i principali snodi del pontificato, come l’enciclica Deus caritas est (Dio è amore), e come lo stesso libro pubblicato lunedì, il primo che Ratzinger ha scritto da Papa, su «Gesù di Nazaret», che identifica il Gesù della storia con quello della fede e non si sofferma su decenni di dibattito tra biblisti e teologi che hanno spesso problematizzato e discusso questa troppo facile identità.
L’ultimo anno, in particolare, è stato vissuto da Benedetto XVI in continua tensione: dal viaggio in Polonia e la visita ad Auschwitz, fino alle polemiche seguite al discorso rivolto agli academici tedeschi a Ratisbona il 12 settembre scorso, suonato di condanna e critica verso l’Islam. All’interno della Chiesa, il Pontefice ha costituito una squadra di stretti collaboratori con una particolare consonanza di stile e priorità pastorali. E dopo il cambio della guardia in segreteria di Stato tra Angelo Sodano e Tarcisio Bertone, dopo la transizione alla Cei dall’era Ruini alla nuova guida di Angelo Bagnasco, non sono escluse altre nomine, atti di ulteriore razionalizzazione della Curia vaticana, nuovi accorpamenti di dicasteri.

Il Giornale di Vicenza, 20 aprile 2007


IL PAPATO DI RATZINGER, CHE OGGI COMPIE DUE ANNI, È UNA GRANDE SCUOLA DI AMICIZIA CON GESÙ

Benedetto XVI, maestro di spiritualità

Sono passati due anni da quel 19 aprile del 2005, quando, alle sei del pomeriggio, dopo la fumata bianca proveniente dal comignolo della cappella Sistina, fece capolino dalla loggia delle benedizioni della basilica di San Pietro il cardinale protodiacono, il cileno Medina Estevez, per annunciare l’elezione di Joseph Ratzinger al soglio pontificio. Sono passati due anni, e ritornare ora con la memoria a quel giorno e a quei momenti può essere utile non tanto per fare un bilancio del papato di Benedetto XVI da allora ad oggi, quanto per centrare l’attenzione su quella che potremmo definire la sua essenza.
Certo, si potrebbero prendere in considerazione i grandi discorsi del pontificato ratzingeriano, da quello sulla corretta interpretazione del Concilio Vaticano II a quello pronunciato al Convegno ecclesiale di Verona, passando per l’indimenticabile lectio magistralis di Regensburg. Ancora, si potrebbe esaminare la prima enciclica di Benedetto XVI, la “Deus caritas est”, o la sua prima esortazione apostolica, la “Sacramentum caritatis”, o i messaggi annuali per la Giornata mondiale della pace. Oppure, si potrebbero leggere i due anni di papato di Joseph Ratzinger alla luce dei suoi viaggi, da quello in Germania in occasione della Giornata mondiale della gioventù, nell’agosto del 2005, a quello in Turchia dello scorso novembre, così denso di significato sul piano del confronto tra civiltà e dell’ecumenismo; da quello in Spagna, a Valencia, durante l’Incontro mondiale delle famiglie, nel luglio passato, a quello in Polonia, con il coraggioso discorso tenuto ad Auschwitz. Si potrebbe puntare l’attenzione sulle nomine e sullo snellimento della Curia vaticana, o, per altro verso, sulla pubblicazione del compendio al Catechismo, sulle catechesi del mercoledì. Sull’incontro con Oriana Fallaci e su molto altro ancora… Tanti gesti, tanti discorsi, di cui moltissimo si potrebbe scrivere e parlare. Ma per trovare il filo conduttore di tutto ciò occorre tornare là, in piazza San Pietro, al pomeriggio del 19 aprile 2005. E ripensare alle prime parole pronunciate dal cardinal Ratzinger appena eletto Papa, perché in esse è racchiuso e da esse è sotteso il senso profondo dei gesti e dei discorsi di questi due anni di pontificato. “Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II - disse Benedetto XVI - i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere”. Quanto sono lontane, queste espressioni e l’intenzione con cui esse furono pronunciate, dall’immagine che molta stampa e perfino certo mondo cattolico avevano per anni cucito addosso al cardinale Ratzinger: un rigido inquisitore, un freddo conservatore, un impassibile dogmatico. Fu come, in quel pomeriggio romano, se di colpo crollasse un castello di carta e venisse a galla ciò che ha reso e rende grande Joseph Ratzinger, ciò che fa accorrere ogni settimana decine di migliaia di persone ad ascoltarlo e a manifestargli il loro affetto, la loro vicinanza, il loro sentirsi in comunione con lui. Non si tratta, in prima battuta, della profondità del suo pensiero, del fascino della sua teologia, del calore della sua spiritualità. O, meglio, è attraverso il suo pensiero, la sua teologia, la sua spiritualità che filtra e traspare un’altra cosa, un’altra presenza, un’altra Persona. Benedetto XVI, il grande pensatore, il grande teologo, il maestro di spiritualità, non chiede a chi lo ascolta di diventare suo discepolo, e anche quando parla di se stesso, come è accaduto qualche giorno fa in occasione del suo ottantesimo compleanno, non lo fa per autoincensarsi. Semmai, desidera che chi gli sta di fronte diventi discepolo e bruci il suo incenso per la Persona che ha chiamato lui ad essere Suo vicario in terra. Desidera che ciascuno possa fare esperienza dell’amicizia di cui lui è testimone e che rimane il termine ultimo a cui tendono tutti i suoi scritti, tutte le sue parole, tutti i suoi gesti: l’amicizia del Dio fattosi uomo in Gesù Cristo. Il papato di Benedetto XVI è soprattutto questo: una grande scuola di amicizia con Gesù. Una grande scuola di cristianesimo. Perché, come diceva Wittgenstein, “il cristianesimo non è una dottrina, non è una teoria di ciò che è stato e di ciò che sarà dell’anima umana, bensì la descrizione di un evento reale nella vita dell’uomo”. Così, è il fascino irripetibile di questo “evento reale” che fa dire al grande teologo, al grande pensatore, al grande maestro di spiritualità, che oltre a tutto e più di tutto, più dei libri, più della capacità speculativa, più dell’introspezione, conta nel cristianesimo l’esperienza dell’amicizia misericordiosa di Colui che scelse di affidare al discepolo che Lo aveva rinnegato tre volte (a “un povero pescatore, in una lontana provincia, presso un piccolo mare, quasi segreto”, per dirla con Chesterton) la custodia e la guida della Sua barca, la Chiesa, tra le onde della storia.

Gianteo Bordero

L'Avanti, 20 aprile 2007

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