25 aprile 2007

Rassegna stampa del 25 aprile 2007


Vedi anche:

Luigi Accattoli: ”Benedetto XVI parla di più alla Chiesa e meno al mondo” e tutti i link ivi segnalati


Il senso di un viaggio

La vicenda del convertito ci interroga

Gian Maria Vian

La chiave della tappa a Pavia di Benedetto XVI, che domenica ha venerato le reliquie di sant'Agostino, è il "pellegrinaggio": quello di un vescovo che ha pregato davanti alla tomba di un suo predecessore nella fede e nella ricerca di Dio, mostrando così a ogni donna e a ogni uomo di oggi quanto questa fede e questa ricerca siano indispensabili. Una chiave che è autobiografica, certo, ma non solo, come ha indicato lo stesso Papa: giunto a Pavia «per esprimere sia l'omaggio di tutta la Chiesa cattolica ad uno dei suoi "padri" più grandi, sia la mia personale devozione e riconoscenza verso colui che tanta parte ha avuto nella mia vita di teologo e di pastore, ma direi prima ancora di uomo e di sacerdote».
Non è stato infatti solo l'adempimento di un desiderio dell'anima il viaggio di Benedetto, questo vescovo di Roma che con le sue parole semplici sa toccare il cuore di chi lo ascolta. E che domenica ha voluto indicare come sant'Agostino resti un modello per l'umanità di oggi. Modello significa esempio che colpisce e affascina, come il grande intellettuale e vescovo africano è stato ed è per Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI. E come può essere per chiunque si accosti alla vicenda dell'autore di quella straordinaria autobiografia interiore che sono le Confessioni: vicenda di un convertito, anzi di «uno dei più grandi convertiti della storia della Chiesa», ha sottolineato il Papa che non ha avuto paura di usare una parola per il nostro tempo quasi scandalosa.
Ma perché questo convertito di sedici secoli fa può affascinare ancora oggi, quando sembra che più nulla sia vero? Perché la conversione di sant'Agostino «non fu un evento di un unico momento», ha spiegato Benedetto XVI, ma «un cammino»: ricerca inesausta del volto di Dio che continuò sino a quando il vescovo di Ippona morente fece attaccare alla parete i salmi penitenziali per poterli leggere dal letto nell'ultima preghiera. Ma sin da giovane Agostino aveva cercato, ha detto il Papa: «Non si accontentò mai della vita così come essa si presentava e come tutti la vivevano. Era sempre tormentato dalla questione della verità. Voleva trovare la verità. Voleva riuscire a sapere che cosa è l'uomo; da dove proviene il mondo; di dove veniamo noi stessi, dove andiamo e come possiamo trovare la vita vera. Voleva trovare la retta vita e non semplicemente vivere ciecamente senza senso e senza meta. La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita».
E la ricerca della verità non è, secondo Ratzinger, né una prerogativa né un lusso da intellettuali: «Non devo dire quanto tutto ciò riguardi noi: rimanere persone che cercano, non accontentarsi di ciò che tutti dicono e fanno. Non distogliere lo sguardo dal Dio eterno e da Gesù Cristo. Imparare sempre di nuovo l'umiltà della fede nella Chiesa corporea di Gesù Cristo». Come seppe fare Agostino, chiamato a tradurre il vangelo «nel linguaggio della vita quotidiana»: riconoscendo di continuo la necessità della «bontà misericordiosa di un Dio che perdona», nella consapevolezza che «ci rendiamo simili a Cristo, il Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia».
Di questo è convinto Benedetto XVI: «Solo chi vive nell'esperienza personale dell'amore del Signore è in grado di esercitare il compito di guidare e accompagnare altri nel cammino della sequela di Cristo. Alla scuola di sant'Agostino ripeto questa verità per voi come Vescovo di Roma, mentre, con gioia sempre nuova, la accolgo con voi come cristiano». Perché Agostino, come scrisse il suo amico Possidio, è vivo e parla ancora: al Papa come a chiunque di noi.

Avvenire, 24 aprile 2007


CHIESA

LA VISITA PASTORALE DI BENEDETTO XVI A VIGEVANO E PAVIA

LA LEZIONE DI AGOSTINO

Il senso del viaggio è sulla tomba del santo. Il Papa confessa che è il teologo che ama di più. E che per la Chiesa «è un modello d’amore e di servizio a Dio».

L’arca di marmo scintilla sotto le luci. S’eleva sull’altare maggiore e quando Benedetto XVI entra e alza gli occhi, accarezza questa foresta di statue e rilievi che fa corona all’urna. Anche lui, anche il Papa, sembra nulla di fronte alla grandezza del sepolcro del Doctor Gratiae, il Dottore della Grazia, sant’Agostino. Joseph Ratzinger non era mai stato qui, anche se la frequentazione intellettuale e spirituale con Agostino d’Ippona ha segnato tutta la sua vita. E questo pellegrinaggio alla tomba nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, a Benedetto XVI non serve solo per attualizzare la figura di un grande Padre della Chiesa, ma anche per ribadire il filo che segna dall’inizio il suo Pontificato: come Agostino predica la Parola, cerca la verità, dialoga con la cultura contemporanea.

È stata definita la prima visita pastorale alle diocesi italiane quella che ha impegnato Benedetto XVI a Vigevano e a Pavia. Gli altri viaggi in Italia avevano impegni ben definiti: a Bari per il Congresso eucaristico, a Manoppello per pregare davanti al Volto Santo, a Verona per il convegno della Cei.

Eppure anche questo viaggio ha assunto alla fine la forma con la quale il Papa all’inizio lo aveva concepito. Lo dice davanti all’arca di Agostino domenica sera, al termine di una giornata che è stata una lunga e solenne lectio magistralis sul teologo che egli ama di più, al quale ha dedicato la tesi di laurea in teologia sistematica nel 1953, quello che ha citato più volte in questi anni di Pontificato, sul quale non si perde un libro.

Uno dei più grandi convertiti

Il Papa a Pavia è venuto per Agostino e per indicarlo alla Chiesa come modello «di dialogo tra le fede e la cultura», ribadisce davanti agli studenti e ai professori dell’Università, la più antica di Lombardia. Torna a essere professore Benedetto XVI, al punto che quando alla preghiera del Regina Coeli parla del suo libro su Gesù, avvisa i giovani che è «un po’ impegnativo», ma vale la pena di leggerlo perché aiuta a diventare suoi amici. Ma sopra di tutto c’è la lezione storica su sant’Agostino pronunciata nell’omelia della Messa agli Orti dell’Almo Collegio Borromeo, nella quale indica che Agostino è uno dei più grandi convertiti nella storia del cristianesimo.

Poi la lezione davanti alla tomba in Ciel d’Oro, in cui il Papa spiega l’attualità di Agostino e osserva che la sua vicenda è un paradigma per la Chiesa e la società, non solo perché non si è mai tirato indietro nella comprensione e nell’annuncio della fede, ma soprattutto perché capì che la fede gli aveva permesso di portare a compimento la sua ricerca, «consentendogli di trovare in Dio Amore il centro e il senso dell’esistenza umana, della storia e dell’universo».

Così la tomba del santo diventa per Benedetto XVI una sorta di nuova cattedra del Vescovo di Roma, dalla quale rilancia il tema dell’Enciclica Deus caritas est, la cui prima parte, rivela il Papa, è «largamente debitrice al pensiero di sant’Agostino: davanti alla sua tomba vorrei idealmente riconsegnare alla Chiesa e al mondo la mia prima Enciclica».

Papa Ratzinger spiega che «servire Cristo è anzitutto una questione d’amore». Lo ha imparato da sant’Agostino e non ha paura di nasconderlo: «Egli ha vissuto in prima persona ed esplorato fino in fondo gli interrogativi che l’uomo si porta nel cuore e ha sondato le capacità che ha di aprirsi all’infinito».

È quello che importa al Papa e, insieme, è lo stile del suo Pontificato, cioè parlare di Cristo, raccontare di Gesù: «Sulle orme di sant’Agostino siete anche voi una Chiesa che annuncia con franchezza la lieta notizia di Cristo, la sua proposta di vita, il suo messaggio di riconciliazione e di perdono».

La preoccupazione di Ratzinger si appunta sulla Chiesa, sulla necessità di «perseguire la "misura alta" della vita cristiana». E davanti alla tomba di sant’Agostino il Papa dice cosa non è e cosa invece dev’essere la Chiesa. Non è «una semplice organizzazione di manifestazioni collettive», e neppure «la somma di individui che vivono una religiosità privata». È, invece, una «comunità in cui si è educati all’amore e questa educazione avviene non malgrado, ma attraverso gli avvenimenti della vita», come è accaduto per Pietro, per Agostino e per tutti i santi. Nella Chiesa è il «vincolo della carità», e non qualcos’altro, a indicare la misura della perfezione, che deve poi tradursi in uno «stile di vita morale ispirato al Vangelo, inevitabilmente controcorrente rispetto ai criteri del mondo, ma da testimoniare sempre con uno stile umile, rispettoso e cordiale».

Lo stile di Benedetto XVI, lo stile di sant’Agostino.

Alberto Bobbio

Famiglia Cristiana, n. 17


CHIESA

COSÌ LE DUE CITTÀ HANNO PREPARATO L’ARRIVO DI BENEDETTO XVI
BIMBI, MALATI E ISLAMICI: TUTTI IN GRANDE ATTESA

Il tipico risotto, tante fotografie, le domande dei bambini, e il messaggio dei musulmani. Un’organizzazione perfetta.

Il Papa arriverà tra sei ore, ma lei è già lì, seduta sul prato del castello di Vigevano. Le tengono compagnia le pagine delle Visioni di Anne Katherine Emmerich. Perché così presto, signora? «Mi piace l’atmosfera, l’attesa è la cosa più bella». L’attesa è la parola chiave della visita del Papa a Vigevano e Pavia, terre di nebbia e riso e – dicono, ma non è vero – di gente difficile agli entusiasmi.

L’attesa è il luogo delle emozioni libere, che nessun cerimoniale può ingessare. La si legge sul viso, intimidito e trepidante, delle suore Sacramentine, uscite dalla clausura per la prima volta, nelle loro vesti bianche e rosse, schierate sul sagrato del convento neogotico in attesa della benedizione di Benedetto XVI, primo Papa, quasi sei secoli dopo Benedetto VIII, in visita alla Diocesi.

I vigevanesi sono accorsi con le macchine fotografiche: volevano fermare l’unica occasione di dare un volto alle presenze silenziose che pregano dietro le grate. Alla fine son rimasti anche un po’ delusi, mentre le suore salutavano festose con le mani, perché si aspettavano di più: una sosta della papamobile, forse che il Papa scendesse. Anche se il piano non lo prevedeva, anche se l’aereo era atterrato in ritardo.

L’attesa a volte fa strani scherzi, amplifica le aspettative: vorrebbe rompere i protocolli dove non si può, vedere il Papa andare a piedi dove non è previsto, come a Pavia al rientro in Vescovado dopo la Messa agli Orti Borromaici.

Tutti hanno fatto gli straordinari

Vorrebbero vederlo camminare, toccarlo, forse. Chiedono a un vigile: «Glielo dica lei che lo aspettiamo da tanto», come se il vigile, che sta lì di guardia a un angolo di strada, potesse correre via e andare ad avvertire il Papa.

L’attesa è anche impegno, mobilitazione, paura di essere troppo piccoli per stare due giorni, se non al centro del mondo, almeno su prime pagine diverse da quelle consuete del Ticino e dell’Informatore Vigevanese. «A un certo punto», racconta don Franco Tassone, direttore del settimanale diocesano pavese, «ci siamo accorti che dal Vaticano arrivavano cento accessi al giorno al nostro sito Internet, non capita spesso».

La stampa locale ha fatto gli straordinari, con inviati della Provincia pavese a ogni angolo, il soccorso del 118 pure, a Vigevano al servizio sicurezza si sono visti volontari con la scritta Soccorso alpino, anche se faceva un caldo estivo e a Pavia tra le 20.000 persone accorse agli Orti Borromaici per la Messa del Papa c’erano quattro bambini che giocavano con la sabbia. Tra Pavia e Vigevano si parlava di 750 volontari: gente da accompagnare, transenne da presidiare, assistenza di ogni tipo. Pavia ha scelto di non servirsi di un catering per il pranzo del Papa, ma di affidare il tradizionale risotto e il resto del menu ai fornelli di don Mauro Astroni e il servizio in tavola ai volontari. Solo i dolci sono arrivati dai pasticceri locali: una torta diplomatica, ma anche bicchierini di cioccolato con crema di zabaione, che hanno rischiato di rimanere fuori dal portone della Curia perché non si trovava il campanello giusto cui suonare.

Il saluto degli ammalati

Se l’organizzazione, ottima, senza ingorghi, nonostante la difficoltà intrinseca negli spazi ristretti dell’urbanistica vigevanese, nonostante i fiumi – molto ordinati – di parrocchiani in marcia per la Messa a Pavia, può affidare molto alla buona volontà, l’ufficialità chiede, invece, tempi e percorsi regolamentati con rigore, soprattutto nei giorni densi come la domenica pavese.

Dopo la Messa del pomeriggio a Vigevano e il saluto ai giovani di Pavia in piazza Duomo la sera, il programma ha chiesto a Benedetto XVI ben quattro appuntamenti: la visita ai malati del Policlinico San Matteo, la Messa alle 10.00 nell’area adiacente al Collegio Borromeo, gli Orti (lo spazio aperto più grande consentito a una piccola città), l’incontro pomeridiano all’Università, infine l’ultima tappa a San Pietro in Ciel d’oro, sulla tomba di sant’Agostino.

Pavia ha affidato il saluto degli ammalati alla voce di Fausta Beltranetti, moglie dell’ex ministro dell’Economia Tremonti, e a uno studente quello degli universitari. Lettere previste, ma non le uniche giunte al Papa in questi giorni.

Sabato, a Vigevano, Benedetto XVI è stato accolto dal benvenuto della comunità musulmana locale, fatto pervenire al Vescovado. Giorni prima gli avevano scritto dal sito della Diocesi gli studenti dell’Istituto Da Vinci, coordinati dal docente di religione: una lettera "tosta", che chiedeva una Chiesa meno opulenta e più francescana. E poi, le domande dei bambini della Diocesi che hanno partecipato al concorso "Scrivo al Papa". Domande franche, come solo i bambini sanno fare: «Perché non siamo uguali? Così non ci sarebbero più persone belle e brutte, bianche o nere. Io sono di colore» (Paola). Anche la loro è attesa in fondo, di crescere e rispondere a domande grandi anche per un Papa.

Elisa Chiari

Famiglia Cristiana, n. 17


Gemma ci segnala questo stralcio dell'intervista al segretario generale dell'ONU, Ban Ki Moon:

Con papa Ratzinger abbiamo parlato di pace. Mi ha colpito la purezza della sua faccia, della sua espressione. Mi ha trasmesso un senso di armonia e di tranquillità, difficile da trovare negli sguardi e nei gesti dei tanti politici che incontro. Ho rivolto l’invito al Papa per venire all’Onu e credo che il Vaticano lo stia valutando.

Quotidiano Nazionale, 24 aprile 2007


Il racconto della comunione col Papa

Mura: «Mi sentivo su una nuvola»

Filippo Poletti

«Mi sentivo come se fossi su una nuvola: non avevo la percezione dei rumori e della folla». Il segretario provinciale pavese del Carroccio Roberto Mura - 52 anni, sposato con due figli - racconta così l’emozione provata ricevendo la comunione da Benedetto XVI l’altroieri, in occasione della messa solenne celebrata agli Orti Borromaici davanti a oltre 20 mila fedeli. Cattolico praticante e primo cittadino di San Genesio ed Uniti, Mura è stato tra i pochissimi - 30 persone in tutto (tra questi anche Angelo Ciocca, assessore comunale e provinciale del Carroccio) - che hanno avuto il privilegio di fare la comunione con il Pontefice.
«Man mano che mi avvicinavo a lui sul palco papale - racconta Mura, tenore nel coro di San Genesio, lo stesso che ieri ha cantato durante la funzione liturgica - Benedetto XVI mi sembrava sempre più piccolo. La sua figura, vista da vicino, è minuta anche se la sua voce ha grandissima forza».
Non è la prima volta che Mura incontra un Papa. Accadde - pesca nella memoria - «anche nel 1984 a Milano in occasione della visita di Giovanni Paolo II». Profonde le differenze tra i due Papi: «Wojtyla riempiva le piazze, Ratzinger riempirà le chiese. Benedetto XVI è uno studioso, un fine teologo: sono convinto che sarà capace di incidere, in maniera strutturale, nella storia della Chiesa attraverso il suo magistero».
Mura, a poche ore dall’incontro con il Papa, ripercorre l’incontro di domenica: «Mi ha colpito profondamente la sua capacità di trasmettere, di entrare per così dire in “comunione spirituale”. Il suo sguardo è così profondo che sembra incontrare ciascuno». A un altro incontro - altrettanto emozionante - Mura paragona quello di domenica: quello con Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la polio e premio Nobel. «Lo incrociai per strada all’inizio degli anni Sessanta assieme a mio padre. Eravamo a Pavia, vicino all’università e lui mi salutò stringendomi la mano». Un uomo, Sabin, che con la sua scoperta salvò milioni di bambini. Un Papa, Benedetto XVI - tira le somme Mura -, «che sta salvando la nostra identità, le nostre radici cattoliche difese anche dalla Lega Nord».
Mura - direttore generale dell’Editoriale Nord - guarda al domani e, in particolare, alle radici cristiane come a una «via sicura per il futuro dell’Europa. La Lega è con il Papa quando richiama l’importanza di salvare la nostra storia». Per questo Mura apprezza «l’impostazione rigorosa data da Benedetto XVI al suo pontificato. In lui vedo un disegno rigoroso, indispensabile se vogliamo salvare il nostro presente, costruendo il domani».
Mura ricorda tanti di Papi: Giovanni XXIII prima, Paolo VI poi, per arrivare a Giovanni Paolo II. E l’affetto va anzitutto ad Angelo Roncalli, «il Papa “nostro”, della Padania, quello nato a Sotto il Monte in provincia di Bergamo». E dai ricordi d’infanzia vola a quelli dell’altroieri, vestito di scuro, con la cravatta e le scarpe nere: «La parrocchia del mio Comune, San Genesio, è stata quella che ha richiesto più ingressi per la messa papale in tutta la diocesi pavese». E bello è il ricordo dell’alba di domenica, quando - conclude Mura - «chi con le biciclette e chi in auto ha raggiunto Pavia distante pochi chilometri da San Genesio». Sembra un racconto del passato. Ma è il presente.

La Padania, 24 aprile 2007


Prima della messa il Papa si è intrattenuto con Bossi. «Non me l’aspettavo, ero commosso»

INCONTRO TRA DUE GRANDI

Il Senatur è arrivato sabato sera dove ha cenato assieme a Tremonti ed Ercole

Filippo Poletti

La storia, l’altroieri, ha fatto tappa a Pavia, alla Fondazione policlinico San Matteo: domenica, alle ore 9.45, Benedetto XVI ha incontrato Umberto Bossi. Poche parole, quelle pronunciate da Ratzinger, al Senatur, da ricordare: «Ma sei qui anche tu? Come stai?». Parole pronunciate al Capo - testimonia il consigliere di amministrazione dell’ospedale Cesare Ercole - «commosso e con gli occhi lucidi».
Un incontro - ha spiegato poi lo stesso Segretario federale, accompagnato dalla moglie Manuela Marrone e dai figli Eridano, Roberto e Renzo - «che non mi aspettavo. L’ho visto arrivare verso di me solo all’ultimo momento: il Papa mi ha spiazzato».
Emozione nell’emozione per il fondatore del Carroccio: a Pavia ha studiato medicina e - ha spiegato lui, trattenendosi con il pubblico composto da quasi 2.500 persone - «lavoravo a patologia chirurgica. Mi occupavo del laboratorio. Anni fa portai i miei figli a vedere una macchina per il cuore e per i polmoni che si trovava proprio a patologia chirurgica».
Regista dello storico incontro lo stesso Ercole, 54 anni, laurea in medicina, già sindaco di Broni e parlamentare della Lega Nord: «Quando, mesi fa, invitammo Umberto Bossi a Pavia per il Papa, lui accettò subito. Negli anni Settanta, Bossi era di casa al San Matteo, lavorando come tecnico di laboratorio. Domenica è stata, dunque, una giornata densa di significato».
Un incontro - quello tra il Papa e Bossi - anticipato dall’arrivo del segretario della Lega Nord a Pavia, la sera di sabato: intorno alle 20 Bossi è giunto con la famiglia a Cascina Scova dove ha pernottato. Poi, in una trattoria lungo il Ticino, cena a base di piatti locali come il risotto e le rane fritte in compagnia - tra gli altri - dell’ex ministro Giulio Tremonti, del segretario provinciale della Lega di Pavia Roberto Mura e dello stesso Ercole. «Bossi - spiega Ercole - ha monopolizzato l’attenzione del locale e, a un certo momento, si è anche esibito cantando O mia bela Madunina».
Sveglia di buon ora, poi, la mattina di domenica con arrivo del Senatur al San Matteo alle 8.45 in punto: ad attenderlo il presidente della fondazione Alberto Guglielmo, il direttore generale Giovanni Azzaretti e il consiglio di amministrazione dello stesso policlinico. Poi, dopo l’arrivo del Pontefice sulla “papamobile”, ecco il saluto di Guglielmo e la consegna di una copia anastatica della bolla papale con cui, nel 1449, Niccolò V mise il nuovo ospedale sotto la protezione della Santa Sede. «Il sigillo aureo che chiude la bolla pontificia - ha sottolineato Guglielmo durante il suo saluto, dopo un breve momento musicale curato dalla polifonica San Colombano - porta impresso il simbolo della pietà a testimonianza del lungo percorso di assistenza, di cura e di progressi scientifici che connota la storia dell’ospedale. I nostri valori di riferimento sono la formazione avanzata, l’innovazione tecnologica, il personale come patrimonio, la sinergia fra enti territoriali e, soprattutto, la centralità del malato».
Nel programma della visita pastorale a Pavia - ha detto il Papa dal palco, montato nel piazzale interno del policlinico - «non poteva mancare una sosta al San Matteo per incontrare voi, cari ammalati, che provenite non solo dalla provincia di Pavia ma da tutta l’Italia. A ciascuno esprimo la mia personale vicinanza e solidarietà, mentre abbraccio spiritualmente anche gli ammalati, i sofferenti e le persone in difficoltà che si trovano nella vostra diocesi e quanti se ne prendono amorevole cura».
L’ospedale - ha proseguito il Pontefice - «è un luogo che potremmo dire in qualche modo “sacro”, dove si sperimenta la fragilità della natura umana, ma anche le enormi potenzialità e le risorse dell’ingegno dell’uomo e della tecnica al servizio della vita. La vita dell’uomo, grande dono, per quanto lo si esplori, resta sempre un mistero». Al San Matteo - ha specificato rivolgendosi al personale medico - «voi cercate di alleviare la sofferenza delle persone nel tentativo di un pieno recupero delle condizioni di salute e molto spesso, grazie anche alle moderne scoperte scientifiche, ciò avviene. Qui si ottengono dei risultati veramente confortanti. Il mio vivo auspicio è che, al necessario progresso scientifico e tecnologico, si accompagni costantemente la coscienza di promuovere, insieme con il bene del malato, anche quei valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita in ogni sua fase, dai quali dipende la qualità autenticamente umana di una convivenza».
In ogni persona colpita dalla malattia - ha spiegato Benedetto XVI - «è Lui stesso che attende il nostro amore. Certo, la sofferenza ripugna all’animo umano. Rimane però sempre vero che, quando viene accolta con amore ed è illuminata dalla fede, diviene un’occasione preziosa che unisce in maniera misteriosa al Cristo Redentore, l’Uomo dei dolori, che sulla Croce ha assunto su di sé il dolore e la morte dell’uomo. Con il sacrificio della sua vita Egli ha redento la sofferenza umana e ne ha fatto il mezzo fondamentale della salvezza».
A salutare a nome dei malati il Papa è stata Fausta Beltrametti, moglie dell’ex ministro Tremonti. «Il dolore - ha testimoniato - è connaturato alla natura umana. Solo una persona che è ricoverata in ospedale, come è successo a me più volte al San Matteo, prova sulla propria pelle cosa significhi essere malati». Una condizione, quella della sofferenza, che può non essere fine a stessa: «La fede, che mi ha sorretto e continua a farlo anche nei momenti difficili, è di grande aiuto».
«Cari ammalati - ha concluso domenica il Papa lasciando il policlinico in direzione del collegio Borromeo - affidate al Signore i disagi e le pene che dovete affrontare e nel suo piano diventeranno mezzi di purificazione e di redenzione per il mondo intero. Cari amici, assicuro a ciascuno di voi il mio ricordo nella preghiera e, mentre invoco Maria Santissima perché protegga voi e le vostre famiglie, i dirigenti, i medici e l’intera comunità del policlinico, a tutti con affetto imparto una speciale benedizione apostolica».
«È stato un incontro straordinario - commenta il leghista Luciano Bresciani, assessore alla Sanità della Regione Lombardia, presente al San Matteo -. Il San Matteo ogni giorno mette a disposizione dei malati le sue capacità straordinarie». E nell’albo della storia c’è anche un tecnico di laboratorio che, negli anni, avrebbe fondato la Lega Nord. E che ieri il Santo Padre ha conosciuto di persona.

La Padania, 24 aprile 2007


«Un riconoscimento alla coerenza»

Francesca Martini commenta l’incontro a sorpresa tra il Pontefice e Umberto Bossi

ELISABETTA COLOMBO

Sarà un ricordo indelebile quello dell’incontro con Papa Ratzinger; un ricordo che il segretario federale della lega Nord Umberto Bossi si porterà per sempre nel cuore, insieme all’emozione di quelle parole che il Pontefice gli ha rivolto domenica, durante la sua visita al Policlinico San Matteo, uscendo dalle strette regole del protocollo per avvicinarsi al leader della Lega. Un incontro che, pur occasionale, assume un grande valore per chi, come Bossi, ha fatto delle esortazioni di Benedetto XVI una bandiera di vita. Un incontro che Francesca Martini, responsabile delle politiche familiari e sociali della Lega Nord e dei rapporti con il mondo cattolico, interpreta come un riconoscimento alla coerenza di Bossi.
Come legge questo gesto del Papa?
«Non ci vedo solo un riconoscimento alla figura di Bossi come uomo politico, sempre attento a quelli che sono i valori della famiglia, del matrimonio e delle relative politiche di sostegno, ma ci leggo anche un preciso riferimento alla sua statura di uomo, fatta di coerenza, di forza d’animo, di attaccamento al valore della vita. Bossi politico è colui che è stato capace di tenere la barra dritta su determinati temi, è colui che ha saputo mantenere una linea precisa e trasparente su quelli che la Lega considera valori cardine e imprescindibili, come la vita, la difesa della famiglia e quei principi del cattolicesimo che sono fondamento della politica del movimento. Bossi uomo è colui che ha avuto la capacità di non tradire le aspettative di un popolo che trova nelle radici cristiane la sua cultura più profonda»
Cosa significa tutto ciò per chi, come Lei, ha condotto dure battaglie su questi temi?
«Ovviamente provo una grande soddisfazione per questo incontro tra il Pontefice e un uomo politico che non è mai venuto meno all’impegno e alla fermezza necessari per guidarci nelle nostre battaglie, senza mai un turbamento, anche in momenti in cui in Parlamento qualcuno ha facilmente ceduto alla libertà di coscienza. D’altra parte il Santo Padre ha più volte esortato alla coerenza i cattolici che fanno politica e credo che il nostro segretario abbia saputo incarnare nella sua attività politica questo caloroso invito dando una linea chiara e trasparente all’attività del movimento».
Una linea lungo la quale sono stati affrontati temi importanti...
«Certo, penso a tante battaglie in cui anch’io sono stata impegnata in prima linea: dalla discussione sulla fecondazione assistita all’impegno a favore della famiglia svolto attraverso il ministero del Welfare con i bonus bebè, i mutui casa per le giovani coppie, gli asili nido aziendali. E tutte quelle azioni volte alla tutela e alla promozione della famiglia concepita come pilastro delle comunità e quindi della nostra identità. In tutto questo percorso non c’è dubbio che Bossi abbia saputo comprendere fino in fondo quanto sia importante essere coerenti; la sua vicenda politica e umana ha saputo incarnare al meglio quelle che sono le esortazioni di Benedetto XVI che, da quando si è insediato, non ha mai mancato di richiamare l’impegno dei politici su questi temi».
Gli stessi temi che verrano ribaditi con il Family Day
«Il Family Day del 12 maggio sarà proprio una manifestazione di promozione del valore della famiglia. Mi aspetto quindi una vasta partecipazione di famiglie a testimoniare con la loro presenza i valori portano con sè e a contrastare l’attacco che spesso viene portato a questi valori attraverso un ambiguo concetto dei diritti. La Lega invece ha sempre sostenuto, non solo a parole ma anche nei fatti, questi valori portanti della nostra cultura, con un impegno condotto in Parlamento e a livello locale. La presenza di parroci e associazioni a questa giornata non farà che testimoniare come la dottrina della chiesa possa avere concretezza proprio nel nucleo familiare, attraverso il quale si trasmette la vita e si sviluppano i valori. Il mio timore è che questa giornata possa essere strumentalizzata da coloro che a parole si dicono legati a questi valori, ma poi si piegano a certi diktat politici, cedendo a chi pone sullo stesso piano la famiglia, che assume una precisa responsabilità sociale, procreativa, educativa e di sostegno alle fasce più deboli, e una aggregazione di diverso tipo, spesso legata solo ad un’espressione di sessualità. Credo che al di là di un giudizio morale, che sta alla coscienza di ognuno, l’approvazione dei Dico rappresenti una profonda ferita a quel patto sociale che tiene unita la Nazione. “ Il bene della famiglia è il bene del Paese" è lo slogan del 12 maggio che ben incarna questo concetto e che ben rappresenta la politica di Bossi e della Lega».

La Padania, 24 aprile 2007

Nessun commento: