24 aprile 2007

La tendenziosità e la malafede dei media


La tendenziosità dei media
Nella copertura giornalistica dei temi religiosi

di padre John Flynn

ROMA, domenica, 22 aprile 2007 (ZENIT.org).- Tra i mezzi di comunicazione di massa e la religione spesso non intercorrono buoni rapporti. Il problema non è tanto che i giornalisti ignorino i temi religiosi, quanto piuttosto la carenza di qualità nei loro servizi. Il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, ha di recente sottolineato alcune incongruenze dei mezzi di comunicazione.

Nell’ambito di un’intervista con una rivista francese, il Cardinale ha stigmatizzato il modo in cui la stampa riporta le notizie sulla Chiesa cattolica, secondo la Reuters del 31 marzo. Spesso i media si concentrano più sulle questioni controverse come la sessualità e l’aborto, mantenendo invece un “assordante silenzio” sul lavoro caritatevole fatto da migliaia di organizzazioni cattoliche in tutto il mondo.

“I messaggi della Chiesa sono soggetti a un certo tipo di manipolazione e falsificazione da parte di alcuni media occidentali”, ha affermato il Cardinal Bertone.

Secondo il porporato, poi, anche la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona dello scorso settembre è stata riportata in forma distorta, avendo dato eccessiva attenzione alla citazione da parte del Papa di ciò che un imperatore bizantino aveva detto circa i musulmani. Il discorso era in realtà una discussione sul ruolo che Dio riveste nella società.

“I commentatori che estrapolano frasi fuori dal contesto esercitano il loro lavoro disonestamente”, ha affermato il Cardinal Bertone.

Anche al documentario di Discovery Channel sulla presunta tomba di Gesù è stato dato eccessivo risalto. Secondo il Cardinale, la pubblicità che viene data a tali argomenti così speciosi indebolisce la fede della gente.

Il documentario, mandato in onda il 4 marzo scorso, è un esempio di come i mezzi di comunicazione possano dare un’impressione errata dei fatti. Il regista del film, James Cameron, ha affermato che vi sarebbero sufficienti elementi statistici per affermare che l’ossario rinvenuto alla periferia di Gerusalemme nel 1980 potrebbe aver contenuto i resti di Gesù e degli altri componenti della famiglia, secondo l’Associated Press del 26 febbraio.

La grande attenzione riservata dai mezzi di comunicazione al documentario è stata subito oggetto di valutazione. Secondo il Washington Post del 28 febbraio, William Dever, archeologo biblico, ha messo in evidenza l’eccessivo entusiasmo con cui è stato trattato il documentario: “È una vergogna come questa storia sia stata gonfiata e manipolata”.

“Si tratta di un’operazione pubblicitaria che renderà queste persone molto ricche, a dispetto di milioni di innocenti che non conoscono a sufficienza i fatti per saper distinguere la realtà dalla finzione”.

Ipotesi non certe

Le presunte prove statistiche che avvalorerebbero quanto affermato nel documentario sono state prese in esame da Carl Bialik, esperto di dati statistici del Wall Street Journal. In un articolo del 9 marzo, Bialik ha preso in considerazione l’affermazione secondo cui il ritrovamento di una tomba con i nomi di Gesù e di altri membri della famiglia era statisticamente così improbabile da potersi considerare come una prova dell’ipotesi che si tratti della vera tomba di Gesù.

Le affermazioni contenute nel documentario sono basate su un lavoro svolto da Andrey Feuerverger, statistico dell’Università di Toronto, secondo cui vi sarebbe solo una probabilità su 600 che i nomi sulla tomba fossero di una famiglia a cui non fosse appartenuto Gesù di Nazareth.

Ma, come ha sottolineato Bialik, questo calcolo si basa su molti assunti. Vi sono diverse opinioni su come le iscrizioni sulla tomba debbano essere considerate. Scegliendo interpretazioni diverse da quelle usate dal documentario, la tesi secondo cui si tratterebbe della tomba di Gesù verrebbe gravemente indebolita, ha affermato.

Oltre ai problemi di interpretazione dei nomi, vi sono quelli relativi alla diffusione di questi nomi nella popolazione del tempo. Ivo Dinov, professore associato di statistica presso l’Università della California, a Los Angeles, ha detto a Bialik: “Non sarei così tranquillo ad affermare una cifra simile, perché il pubblico generale non capirebbe che si tratta di un dato molto, molto soggettivo”.

Le presunte rivelazioni del documentario fanno parte di uno schema di programmazione dei media relativo a periodo di Pasqua, ha spiegato Charlotte Allen, uno dei redattori di Beliefnet, in un articolo di opinione apparso sul Los Angeles Times del 4 marzo.

“Tutte queste presunte rivelazioni fanno parte di un costante lavoro diretto a costruire versioni alternative di cristianesimo rispetto a quella che abbiamo”, ha osservato Allen. Spesso la scoperta di nuovi “vangeli” o altri documenti risponde al bisogno di gruppi di persone o organizzazioni di trovare forme dottrinali alternative, che coincidano meglio con le loro idee personali su come dovrebbe essere il cristianesimo, ha aggiunto.

“Le persone che ritengono incredibili o comunque da respingere le nozioni di peccato, salvezza, espiazione e di vita oltre la morte, usano come appiglio antichi documenti in cui questi elementi sono assenti, per giustificarne l’eliminazione dalle loro personali cosmologie”, ha osservato Allen.

Ulteriori rivelazioni

Come in un copione già programmato, il 21 marzo, il quotidiano Times di Londra ha riportato il seguente titolo: “Gesù non era un operatore di miracoli”.

Il relativo articolo verte sul libro scritto da Benjamin Iscariot, insieme a Jeffery Archer e Francis Molony, dal titolo “The Gospel Accordino to Judas” (Il Vangelo secondo Giuda). Ai lettori del Times è stato assicurato che il libro è stato “pubblicato con l’approvazione del Vaticano” e che esso dimostrerebbe che “Gesù non ha trasformato l’acqua in vino, né ha calmato la tempesta nel Mare di Galilea, né ha mai camminato sulle acque”.

Ma, come sottolineato dal quotidiano Guardian del 21 marzo, Archer è noto piuttosto per essere autore di romanzi e di recente ha scontato una pena in prigione per falsa testimonianza. Inoltre, come riporta il Guardian, il Vaticano non ha affatto dato il suo sostegno a questo libro.

Intervenendo alla presentazione del libro, padre Stephen Pisano, rettore del Pontificio Istituto Biblico, ha precisato che la sua partecipazione non significava “che l’Istituto, il Vaticano o il Papa approvino questo libro”.

Ma con l’approssimarsi della Pasqua questo tipo di notizie è continuato. Il 3 aprile il New York Times ha pubblicato un articolo sostenendo l’assenza di qualsiasi prova archeologica dell’Esodo degli ebrei dall’Egitto, guidato da Mosé. Zahi Hawass, principale archeologo egiziano, avrebbe affermato che la storia dell’Esodo sarebbe “un mito”.

Ma il contesto di questo servizio del New York Times risulta alquanto curioso. Hawass era alla guida di un gruppo in visita all’antica fortezza scoperta di recente nel nord del Sinai e la sua affermazione sull’Esodo è stata la risposta a una domanda formulata dallo stesso giornalista.

Questo commento, fatto en passant nel corso della presentazione dei reperti archeologici appartenenti ad un contesto del tutto diverso, è diventato poi la base di un articolo di 900 parole pubblicato dal New York Times. Inoltre, lo stesso articolo sorprendentemente non riporta alcuna opinione divergente o contrastante che riconfermi la veridicità storica dell’Esodo.

Come presentare le notizie

Le critiche al modo di operare dei media riguardano anche il modo in cui questi presentano e interpretano determinati eventi. Un caso interessante, in questo senso, è quello relativo alle proteste in Turchia contro la visita del Papa dello scorso novembre.

Un servizio del 27 novembre apparso su un sito Internet spagnolo, relativo alla copertura giornalistica sulla Chiesa “La Iglesia en la Prensa” (La Chiesa nella stampa), ha messo a confronto i titoli dei quotidiani spagnoli con quelli dei giornali italiani.

Durante la visita, alcuni gruppi ostili alla Chiesa cattolica e alla presenza di Benedetto XVI hanno organizzato una manifestazione di protesta. I giornali spagnoli hanno sottolineato l’ostilità riservata al Papa e la presenza di migliaia di protestanti. La stampa italiana ha invece evidenziato che il numero dei protestanti era molto inferiore rispetto alle aspettative.

Dalle notizie precedenti al giorno della protesta, si sarebbe dovuto riversare sulle strade circa un milione di persone, ma solo in 15 o 20 mila hanno effettivamente partecipato alla manifestazione. Ciò nonostante, i quotidiani spagnoli hanno volutamente ignorato il fallimento di questa protesta.

L’insegnamento, in questo caso, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica, è che “di fronte ai mass-media i fruitori si imporranno moderazione e disciplina” (n. 2496). Coloro che fruiscono dei mezzi di comunicazione di massa, prosegue il Catechismo, “si sentiranno in dovere di formarsi una coscienza illuminata e retta, al fine di resistere più facilmente alle influenze meno oneste”.

Il Catechismo consiglia giustamente i fedeli di guardarsi da una ricezione passiva di quanto veicolato dai media e raccomanda loro di non essere “consumatori poco vigili di messaggi o di spettacoli”. Considerato il modo in cui i media hanno presentano i temi religiosi recentemente sulla stampa, si tratta di una saggia raccomandazione per i nostri tempi.

Zenit

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