21 aprile 2007

Credo ergo sum, rassegna stampa su "Gesu' di Nazaret"


Vedi anche:

Il cardinale Schoenborn presenta "Gesu' di Nazaret" di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI e tutti i link ivi segnalati

Rassegna stampa completa su "Gesu' di Nazaret"


L'ANALISI
C'è un filone «agostiniano» nel bestseller di Ratzinger: quello del rapporto tra fede e ragione. Parla il filosofo Giovanni Reale

Credo, ergo sum
«Molti agnostici hanno parlato di Cristo, ma sono caduti nell’errore di porlo sul piano dei grandi pensatori. Il suo ritratto perfetto sono le Beatitudini»

Di Paolo Viana

«Giù le mani da questo libro se non hai la fede». Nel commentare Gesù di Nazaret Giovanni Reale rispolvera la nettezza dei milieu accademici tedeschi, dove ha studiato negli anni Settanta, gli stessi di Joseph Ratzinger. E il nostro filosofo più «agostiniano» non ha dubbi nel giudicare l'opera «la più bella di quest'autore». Il giudizio è la spia di un coinvolgimento totale: «Le Beatitudini raccontate nel libro sono il ritratto perfetto di Cristo. E come sono commoventi le pagine su Pietro: sicuramente, le ha composte quand'era già Pontefice; chi le ha scritte sa di essere il 264° successore di Pietro».

Ratzinger dichiara che il libro vuole «favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto con Lui». È possibile leggere «Gesù di Nazaret» se non si crede?

«Effettivamente, c'è una condizione necessaria per leggerlo e intenderlo: avere la fede o essere in cerca di essa. Come dice Heidegger, soltanto un uomo religioso può comprendere la vita religiosa, altrimenti non dispone di alcun dato genuino. E soggiunge: giù le mani per colui che non si sente sul giusto terreno. Noi potremmo dire: giù le mani dal Gesù di Nazaret di Benedetto XVI per colui che non si sente nel giusto terreno. A chi non possiede la fede Cristo non lo può spiegare nessuno, neppure il Pontefice. Se uno non ha almeno un anelito alla fede lo interpreta in chiave mitologica, politica, sociologica, eccetera. Parlare a costoro di Cristo è come parlare a un cieco della luce e dei colori».

Qual è l'idea motrice dell'opera?

«La troviamo nel Salmo 27: "Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto". Ho l'impressione che corrisponda a una domanda che Ratzinger si è sentito porre: Joseph, chi pensi che io sia? Molti hanno parlato di Cristo senza credere, ma sono caduti nell'errore ermeneutico di porre Gesù sul piano dei grandi pensatori. L'ha fatto Jaspers, ponendolo accanto a Socrate, Buddha e Confucio. La risposta di Ratzinger, invece, è stupenda: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". È la risposta di Pietro e, leggendola, mi sono commosso».

Che idea di fede permea il libro del Papa?

«Che credere in Cristo è credere nel Regno di Dio in persona. Questo vuol dire essere cristiano, oggi come duemila anni fa. Rileggiamo Il sale della terra, sempre di Ratzinger: "La sostanza di questa fede è che riconosciamo Cristo figlio di Dio vivente, incarnato e divenuto uomo, e per mezzo suo crediamo nella Trinità". In Deus caritas est, poi, scrive che la fede è una decisione che riguarda l'intera struttura della vita e ha a che fare con la parte più profonda di ognuno di noi: "Se l'uomo comincia a guardare a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri, e allora un po' di ciò che deve venire è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione"».

Se l'«eschaton» è anche di questo mondo, dev'essere comprensibile anche per la ragione e non solo per la fede.

«È l'architrave dell'opera di Ratzinger ed è una convinzione agostiniana. Mi sono accorto che il Papa ama molto Giovanni e io sto traducendo il commentario di Agostino a quel Vangelo: vi si trovano delle frasi che sono assolutamente in sintonia con il pensiero del Pontefice: "Il profeta Isaia disse: se non crederete non capirete. Per mezzo della fede - scrive Agostino - ci uniamo a Lui, per mezzo dell'intelligenza veniamo vivificati". E ancora: "Abbiamo creduto per poter conoscere. Se avessimo voluto conoscere prima di credere non saremmo riusciti né a capire né a credere". Infine: "Vuoi capire? Credi". Parole di Agostino, concetti di Ratzinger. Del resto, Benedetto XVI aveva già dato ragione a Barth nel rifiutare la filosofia come fondamento della fede indipendentemente da quest'ultima».

Il rapporto tra fede e ragione in Ratzinger è sempre stato centrale, come in Agostino. Ma qual è il punto esatto in cui la seconda piega il capo?

«Per Ratzinger si potrebbe usare un sillogismo cartesiano: credo dunque sono. Pone il credere al vertice, non toglie la ragione ma l'associa e la subordina alla fede. Tu capisci, se credi. Questo dice il Papa: la fede è una decisione che coinvolge la totalità della vita e quindi non ha solo un valore assiologico, ma ha addirittura una portata ontologica: la tua vita di uomo, se credi davvero, viene cambiata e plasmata. Tu sei in rapporto a ciò in cui credi e in funzione della misura e della forza con cui credi».

Si dice che quest'opera riconcili il metodo storico-critico con l'esegesi biblica. È così?

«Il metodo del Papa richiama spesso quello storico-critico e ammette che è importante ma non sufficiente; se applichi il metodo storico-critico in modo impeccabile ma non credi, esce un Cristo storicamente ricostruito ma dai lineamenti sfuocati. Invece, il libro considera il Gesù storico a partire dalla sua comunione con il Padre, lo comprende, oltre che con i criteri storico-critici, anche con quelli della fede».

Guardiamo al futuro, che in realtà è un po' presente, perché il Papa sta già scrivendo la seconda parte del libro. Dove ci porterà?

«Questo libro contiene già il nocciolo del sogno di Benedetto XVI: il tentativo di ridare unità ai cristiani. Il minimo comun denominatore c'è: credere che Cristo è il Dio fatto uomo, che si è fatto crocifiggere ed è risorto per redimerci. Le confessioni cristiane possono partire da lì. Visto che tutti ci crediamo, tutti possiamo ripartire da lì».

Avvenire, 21 aprile 2007


Il Gesù del Papa rifà i ponti con la storia

Francesco Lambiasi

Non è un'enciclica, non è un trattato, non è un catechismo, e neanche una omelia. Il «Gesù di Nazaret» del Papa è un libro, e anche ponderoso, ma ha il tono e lo stile di una conversazione: appassionata ma sempre serena, documentata ma mai pedante, impegnativa, certo, e anche ardita in vari passaggi, ma ariosa, salutare, illuminante. Insomma è come se l'attuale titolare della «cattedra di Pietro» avesse deciso di lasciare un momento i sacri palazzi per scendere a fare quattro passi al muretto, o entrare in una classe di liceo, o mettersi attorno al caminetto per «ragionare» insieme su Gesù di Nazaret. Ragionare. Ce n'è bisogno: da quasi 250 anni continua la parata del Gesù «per tutte le stagioni». Rivoluzionario, pacifista, anarchico, psicanalista, ecologista, antiebreo, addirittura anticristiano... Ed ecco il primo messaggio che porge papa Benedetto: «La situazione è drammatica per la fede, se è vago il volto di Colui che la fonda». Non è fare del terrorismo teologico. No, il caso è veramente serio: perché il cristianesimo non è una lista di dottrine o di precetti; è una storia, anzi una Persona, appunto Gesù di Nazaret. A differenza, ad esempio, dell'islàm: per un musulmano il centro della fede è Allah, non Maometto. Ma anche a differenza dell'ebraismo: Jacob Neusner - citato dal Papa come «grande erudito ebreo» - nella sua Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, si figura che al termine di una lunga giornata al seguito di Gesù, il rabbino gli chiede se Gesù insegni le stesse cose degli ebrei. Neusner: «Non precisamente, ma quasi». «Che cosa ha tralasciato?». «Nulla». «Che cosa ha aggiunto allora?». «Se stesso». È questa equiparazione di Gesù con Dio il motivo di fondo per cui Neusner dichiara che non sarebbe mai stato disposto a seguire Gesù, per rimanere fedele all'Israele eterno. Neusner non nega, anzi ammette esplicitamente che quello che Gesù richiede dai suoi seguaci «può richiederlo solo Dio». Ma negli ultimi anni si è superata la misura: si è insinuato il sospetto non solo che il Gesù della Chiesa non rassomiglierebbe affatto a quello dei Vangeli, ma che anche questo sarebbe una truffa da preti e un imbroglio della Chiesa. Di fronte a queste bordate che minano i ponti decisivi della fede cristiana - quello che salda la Chiesa ai Vangeli e l'altro che collega i Vangeli a Gesù - il Papa reagisce da… «pontefice», letteralmente «(ri)costruttore di ponti». Ma questo lo fa attraverso l'uso della critica storica, che utilizzata in modo competente ed equilibrato è in grado di approdare a due certezze serene e fondate: gli uomini che hanno testimoniato su Gesù di Nazaret sono tutt'altro che facili a credere a voci che parlano di tomba vuota e di morti che parlano; sono grezzi ma sani, con i nervi a posto; dormono senza barbiturici, anche tra le ansie della notte di passione. Inoltre, legata a questa, è la certezza che Gesù si sia ritenuto e si sia comportato da Messia e Figlio di Dio, e per questo, a differenza dei grandi fondatori di religione, sia morto sulla croce. E la ricerca storica può provare che non era né un pazzo né un esaltato. Dunque una ragione che ragioni arriva a documentare che questo Gesù di Nazaret si è veramente equiparato a Dio. Ma è veramente tale? Solo la fede può rispondere di sì. Ma non è una fede sospesa nel vuoto; certo va al di là della ragione, ma non contro. E qualche illustre professore di logica che tratta i cristiani da «cretini», ci deve ancora dimostrare che è irragionevole per la ragione andare oltre se stessa.

Avvenire, 21 aprile 2007


Bertone: «Benedetto XVI maestro di carità intellettuale Da lui un esempio per tutti i docenti di scuole e atenei»
Giovedì sera il cardinale è intervenuto all’incontro promosso dall’Ufficio di pastorale universitaria della diocesi di Roma

Da Roma Fabrizio Mastrofini

È la carità intellettuale che deve animare il ruolo del docente. Lo ha ribadito giovedì sera a Roma il cardinale Tarcisio Bertone, parlando alla festa organizzata dal Coordinamento dei collegi universitari cattolici e dalla Pastorale universitaria della diocesi di Roma per il secondo anniversario di Pontificato e in coincidenza con l'80° compleanno di Benedetto XVI.
Sul tema «Vangelo e giovani, dal mito alla realtà», si sono riuniti presso il Teatro Argentina, diverse centinaia di giovani e docenti universitari. All'evento ha partecipato anche il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, che nel suo intervento ha preso spunto dal volume «La carità intellettuale: percorsi culturali per un nuovo umanesimo» che raccoglie la testimonianza di fede di 54 docenti universitari romani, nati nel 1955, associati e ordinari di diverse discipline accademiche.
I contributi sono suddivisi in tre grandi sezioni: carità intellettuale e ricerca della verità; carità intellettuale e vita universitaria; carità intellettuale e prospettive di impegno. La presentazione del volume, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, è del cardinale Camillo Ruini, vicario per la diocesi di Roma. L'opera, curata da monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell'Ufficio per la pastorale universitaria, viene donato al Papa come segno tangibile della ricerca culturale e di fede che si compie negli atenei pontifici della città di Roma.
«La società e, in particolare, i giovani studenti - ha precisato il cardinale Bertone - attendono dai docenti universitari una guida sicura e illuminata, dove s'intrecciano onestà intellettuale e purezza di cuore, che costituiscono l'anima della carità intellettuale». «Un esempio stupendo - ha aggiunto Bertone - ce lo offre Benedetto XVI, per lunghi anni docente universitario e ora supremo maestro e pastore della Chiesa universale. L'esercizio della carità intellettuale in lui si manifesta nel modo rigoroso e chiaro con il quale sa condurre alla ragionevolezza della fede, ma anche si manifesta nel silenzio, nell'ascolto profondo e rispettoso, nella capacità di mettersi in relazione con l'interlocutore».
Del resto, ha proseguito il segretario di Stato, «il Vangelo è la notizia più bella per i giovani e questo è ben compreso da quanti continuano a studiare il Vangelo e a confrontarsi con la figura di Cristo». Ed in questo contesto, il cardinale Bertone ha annunciato che Benedetto XVI, tra i molteplici impegni, è anche al lavoro per completare il secondo volume dell'opera su Gesù di Nazaret, di cui questa settimana è uscita la prima parte.
Alla serata, ha partecipato il professor Giovanni Ferretti, docente di filosofia dell'Università di Macerata. Particolarmente apprezzati anche gli interventi musicali degli allievi del Conservatorio «Nino Rota» e del Coro Gospel Lumsa Singers che ha chiuso la manifestazione.

Avvenire, 21 aprile 2007


VATICANO - Un primo approccio al “Gesù di Nazaret” di Benedetto XVI -

a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Quattordici anni fa usciva un saggio del più noto studioso al mondo del giudaismo dei primi secoli dell’era cristiana, Jacob Neusner, dal titolo A Rabbi talks with Jesus, che l’allora Cardinale Joseph Ratzinger valutò come il più importante per il dialogo ebraico-cristiano, fra quelli pubblicati nell’ultimo decennio. Egli tra l’altro annotava che l’assoluta onestà intellettuale, la precisione dell’analisi, il rispetto per l’altra parte unito ad una ben radicata lealtà verso la propria posizione, caratterizzavano il libro e lo rendevano una sfida, specialmente per i cristiani, che avrebbero dovuto riflettere bene sul contrasto tra Mosè e Gesù. I quesiti che l’autore rivolgeva a noi cristiani sono fondati e, proprio per questo, fruttuosi. Inoltre, il cardinale aveva apprezzato l’approccio dell’autore che non si rivolgeva, in fin dei conti, a Gesù come ad una fittizia figura storica, ma poneva sempre in giusto rilievo la figura reale di Gesù, quale ci viene presentata dal Vangelo di Matteo.
A nostro avviso, questo giudizio, “mutatis mutandis”, può essere applicato al libro “Gesù di Nazaret”, sia quanto al contenuto sia quanto al metodo. Quindi, è auspicabile che l’uscita del libro del Papa induca a rivedere quell’impostazione da pluralismo relativistico, che caratterizza spesso i confronti, in quanto non è metodo scientifico, ma solo autoreferenziale e politically correct, e nemmeno metodo ecclesiale, perché non aiuta, direbbe san Pietro, “a dare risposta a chiunque chiede ragione della nostra speranza”.
Ora, poiché l’urgenza di presentare Gesù nella sua attività pubblica è volta, come dichiara l’Autore nella Premessa “al fine di favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto con Lui” (p. 20), bisogna inserire l’opera nel contesto bimillenario della riflessione su Gesù di Nazaret. Nel primo secolo della nostra era, sentir parlare della risurrezione della carne, del corpo e dell’anima dell’essere umano, era quanto di più antitetico potesse esserci, rispetto alla mentalità. E se Cristo fosse una sembianza di Dio? - dissero non pochi cristiani, quando ancora vivevano gli apostoli - è possibile che Dio sia venuto nella carne? E Giovanni risponde: «Ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto in carne, è da Dio; e ogni spirito che non confessa Gesù, non è da Dio; ed è quello dell’Anticristo, di cui avete udito che viene e che ora è già nel mondo» (1Gv 4, 2-3). Col suo Vangelo l’apostolo testimone oculare, ribatte all’eresia, chiamata docetismo (dal greco dokêin).
Due secoli dopo si dirà, da altri cristiani seguaci del prete Ario che il Cristo è soltanto uomo; altri al contrario ribatteranno che è solo Dio. Il dibattito cristologico sembrava concluso nel V secolo col concilio di Calcedonia, in realtà è continuato, a fasi alterne, fino a Bultmann e ai teologi razionalisti, e quanti altri hanno distinto e/o separato il “Gesù storico” dal “Gesù della fede”.
Ed oggi ancora si ripropone la medesima situazione. C’è chi vorrebbe abolire o ridurre l’incarnazione e la divinità di Cristo, per dialogare meglio con ebrei e musulmani. E pensare che, per sostenere la fede nell’incarnazione, Atanasio più volte fu esiliato, Cirillo, Ambrogio, Pier Crisologo hanno sopportato scherni, insulti e persecuzioni! Ora Benedetto XVI non nasconde che il suo è “il tentativo di presentare il Gesù di Vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio” (p. 18).
A questo punto è necessario dire qualcosa a proposito dell’esegesi odierna della Sacra Scrittura. E’ diffusa un’idea neognostica che per fare storia bisogna liberarsi da ogni precomprensione o interpretazione filosofica, in specie se di fede. Un uomo di fede non può essere uno storico serio! Ma la fede biblica presuppone dei fatti realmente accaduti perché non è mitica, compresi gli interventi di Dio e le teofanie: per rimanere al Nuovo Testamento, dalla nascita di Gesù dalla Vergine Maria, all’istituzione dell’eucaristia nell’ultima cena, dalla Risurrezione corporale di Gesù alla discesa dello Spirito Santo. Questo non esclude che vi siano aspetti particolari da chiarire e approfondire.
Insomma torna in gioco la domanda se la fede sia un modo per conoscere a pari merito con la ragione. Non si comprende perché non lo debba essere, dato che è ammesso nelle scienze naturali che, in base al cosiddetto principio di indeterminazione di Werner Heisenberg, l’uomo conosce la realtà sia nella sua oggettività sia dalla sua posizione soggettiva e con la sua capacità di comprensione. (1)
Pertanto anche la fede conosce. Tale fede non è solo individuale ma del popolo di Dio in cammino nella storia e gli esegeti, che spesso ne mettono in risalto il ruolo per la formazione e comprensione delle Scritture, ispirate da Dio ad autori del suo popolo, dovrebbero ragionevolmente includerla nella comprensione del Libro.
Ancora un appunto. Il beneficio dell’esegesi storico-critica e i suoi presupposti di storicità e di omogeneità finisce per paralizzare.
Ad esempio, si è giunti a ritenere che i libri biblici siano meno credibili delle iscrizioni ritrovate dei faraoni, dell’epoca di Ghilgamesh; ma le scoperte archeologiche non “provano” la Bibbia, semmai aggiungono un’evidenza tangibile a quella dei testi, senza dei quali le prime sarebbero dei massi erratici. Altrimenti si «fa della Bibbia un libro chiuso, la cui interpretazione sempre problematica richiede una competenza tecnica che ne fa un campo riservato a pochi specialisti. A costoro alcuni applicano la frase del vangelo: “Avete tolto la chiave della conoscenza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito” (Lc 11,52; cfr.: Mt 23,13)».(2)
De Lubac, in Storia e spirito, sull’opera esegetica di Origene, senza disprezzare la precisione critico storica filologica, afferma che la Bibbia non può essere ridotta alla sua lettera. E appunto Origene, come tutta la tradizione, diceva che la Scrittura è in qualche modo corpo di Cristo, parola di Dio. Come in Cristo c’è una natura umana e una divina, così nel suo corpo biblico vi è un senso letterale, “la carne”, e uno spirituale simbolico, “lo spirito”, corrispondente alla divinità della parola. Tutto il cosmo, la vita e l’uomo si originano e concentrano nell’unità del Verbo: secondo il pensiero dei padri della Chiesa, tutta la storia è una genesi di Cristo.
La Sacra Scrittura vale soprattutto per lo Spirito che nella lettera si manifesta secondo una comprensione che attraversa in diagonale lo spazio e il tempo, da quando si è formata a oggi. Essa intanto è Parola di Dio, in quanto riecheggia in un corpo vivo che è la Chiesa, dandole voce e aprendo il cammino alla comprensione dei misteri del Signore, che altrimenti rimarrebbero sigillati, chiusi e incomprensibili. Davvero «ignorare le Scritture è ignorare Cristo - dice san Girolamo, poi - …Che dirò della sua dottrina sulla fisica, sull’etica e sulla logica?».(3) Leggerle individualmente o in opposizione alla Chiesa nella storia ha portato alle correnti esoteriche e alle eresie.
All'interpretazione della Scrittura Benedetto XVI dedica questo passaggio del suo libro, nel capitolo II sulle tentazioni di Gesù: «Per attirare Gesù nella sua trappola il diavolo cita la Sacra Scrittura, [...] appare come teologo. [...] Vladimir Solov'ëv ha ripreso questo tema nel suo 'Racconto dell'Anticristo'; l'Anticristo riceve la laurea honoris causa in teologia dall'Università di Tubinga; è un grande esperto della Bibbia. Con questo racconto Solov'ëv ha voluto esprimere in modo drastico il suo scetticismo nei confronti di un certo tipo di esegesi erudita del suo tempo. Non si tratta di un no all'interpretazione scientifica della Bibbia in quanto tale, bensì di un avvertimento massimamente salutare e necessario di fronte alle strade sbagliate che essa può prendere. L'interpretazione della Bibbia può effettivamente diventare uno strumento dell'Anticristo. Non è solo Solov'ëv che lo dice, è quanto afferma implicitamente il racconto stesso delle tentazioni. I peggiori libri distruttori della figura di Gesù, smantellatori della fede, sono stati intessuti con presunti risultati dell'esegesi». (p. 57-58).
Giuseppe Ricciotti, l’autore della più celebre Vita di Gesù Cristo, scritta nel 1941 e più volte riedita e ristampata fino ad oggi, scrive: «I vangeli narrano che il Gesù sigillato nella tomba dai farisei è risorto. La storia narra che il Gesù ucciso in seguito mille volte si è dimostrato ogni volta più vivo di prima. Ora, trattandosi della stessa tattica, v’è ogni motivo di credere che lo stesso avverrà al Gesù rimesso in croce dalla critica storica».
Egli ha avuto ragione, ma non poteva immaginare che un Papa - sebbene pensatore d’eccezione - sarebbe stato tra gli artefici della nuova ‘risurrezione’, con la pubblicazione del libro Gesù di Nazaret che segnerà l’esistenza dei lettori sia dei credenti sia dei laici, favorevoli o contrari.
Dunque, Vittorio Messori ha ragione di osservare che il libro di Joseph Ratzinger «vuole essere uno strumento per “ricominciare da capo” per procedere a quella rievangelizzazione già auspicata pressantemente da Giovanni Paolo II» . Non però nell’equivoco del “nuovo inizio”, che ha spesso condizionato anche l’interpretazione del Concilio vaticano II, ma nella lieta certezza della bimillenaria continuità della Chiesa, sempre bisognosa di riforma e custode, umile e certa, della Verità di Dio. (Agenzia Fides 20/4/2007; righe 104, parole 1466)

(1) Der Teil und das Ganze. Gespräche im Umkreis der Atomphysik, München 1969, p. 117.
(2) Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Città del Vaticano 1993, p. 27.
(3) Prologo al commento del profeta Isaia, 1-2; CCL 73,1-3.

Agenzia Fides

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