14 giugno 2008

Obama sta riportando il discorso religioso tra i democrats (William McGurn per il Wall Street Journal)


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Non è Kennedy

Obama sta riportando il discorso religioso tra i democrats

di William McGurn

Barack Obama non è John Kennedy. E questa potrebbe essere una buona cosa. Almeno per ciò che riguarda il rovesciamento di una delle conseguenze inaspettate di Camelot (come all'epoca veniva chiamata la Casa Bianca dei Kennedy, ndr): l’idea per cui le voci religiose non debbano trovare spazio nel dibattito pubblico.

Al primo impatto, il senatore Obama potrebbe apparire una scelta strampalata per condurre in porto un tale cambiamento. Sino a poco tempo fa frequentava una chiesa i cui predicatori guardavano all’America come qualcosa da ripudiare, mostrando un'angosciante inclinazione a farsi filmare durante questi attacchi. All’inizio delle primarie, Obama ha attirato a sé ogni genere di critica per quelle affermazioni con cui descriveva le piccole città della Pennsylvania come dei luoghi popolati da persone che ‘si aggrappano’ alla religione perché ‘tristi’. Ulteriore bersaglio di critiche è stata la sua opinione su temi caldi come l’aborto, che lo hanno messo in disaccordo con molti di quelli che pensano di rappresentare il voto religioso.
Ma in realtà c’è molto più da dire su Obama e la religione di quanto non possano suggerire i titoli dei giornali. E ciò risulta evidente soprattutto se si prende in considerazione il meditato discorso tenuto due anni or sono a una conferenza Sojournes/Call for Renewal (congregazione cristiana, ndr). In quell’occasione, Obama prese le distanze dai conservatori religiosi, e propose di smettere di usare la fede quale ‘strumento d’attacco’.
Ma le sue parole furono anche una sferzata diretta ai democratici liberal. La loro incapacità di relazionarsi con tutto ciò che è religioso, disse Obama, va contro la storia americana, e toglie ai progressisti la possibilità di parlare ai propri concittadini in termini morali.

Ecco le sue stesse parole: "I laicisti sbagliano quando chiedono ai credenti di lasciare la loro religione alla porta prima di entrare nello spazio pubblico. Frederick Douglass, Abraham Lincoln, William Jennings Bryan, Dorothy Day, Martin Luther King – insomma la maggioranza dei grandi riformatori nella storia americana – non erano semplicemente motivati dalla fede ma usarono ripetutamente il linguaggio religioso a sostegno delle proprie cause. Dire infatti che uomini e donne non dovrebbero far entrare la loro ‘moralità personale' nei dibattiti sulle politiche pubbliche, è praticamente un’assurdità. La nostra legge è, per definizione, una codificazione di moralità che per si muove per la gran parte nel solco della tradizione giudaico-cristiana”.

Affermazioni incisive che traggono origine dalla storia dell’uomo la cui fiaccola si dice sia portata da Obama. Nel suo famoso intervento presso la Greater Houston Ministerial Association nel 1960, John Kennedy fece un appello per “un’America ove la separazione tra Stato e Chiesa fosse assoluta”. Continuò affermando che la fede di un presidente dovrebbe essere “un suo affare privato”, volendo con ciò suggerire che la fede non avrebbe dovuto avere alcuna influenza nelle politiche pubbliche. Come per rimarcare ancora il punto, aggiunse infine di opporsi a qualsiasi aiuto governativo alle scuole parrocchiali così come all’assegnazione di un ambasciatore americano presso il Vaticano.
A voler essere corretti nei confronti di Kennedy, i tempi erano diversi e diverse erano le questioni da affrontare. A quel tempo, Roma non aveva riconosciuto il diritto alla libertà religiosa, e rimaneva ambivalente in relazione al concetto di democrazia. Per molti americani, l’idea di una nazione cattolica o di un leader cattolico si confondeva con le immagini della Spagna di Franco. In questo contesto per Kennedy era impellente la necessità politica di rassicurare i propri elettori del fatto che avrebbe reso conto esclusivamente ai valori americani – e che non avrebbe accettato ordini dal Papa. Tutto ciò, inoltre, senza allontanare da sé i cattolici dando l'impressione di volere ripudiare la fede dei loro padri. E a tal punto brillante fu quest’operazione politica che la sua elezione, a poco meno di due mesi di distanza, fu la prova che un cattolico poteva essere presidente.

L’altra eredità che quel discorso porta con sé è stata meno positiva. Le iniziali rassicurazioni che Kennedy diede a proposito del suo essere cattolico, a poco a poco, si trasformarono in una nuova ortodossia che ancora oggi nega uno spazio nel dibattito pubblico a tutti coloro i quali sono mossi da motivazioni religiose.

Persino uno degli intellettuali cattolici consultati da Kennedy in vista del discorso di Houston, il prete gesuita John Courtney Murray, avrebbe poi confessato che Kennedy portò i principi di laicità più lontano di quanto non avrebbe voluto fare realmente.
E ora abbiamo una più chiara idea del perché. Nelle sue memorie “Counselor: A Life at the Edge of History”, recentemente date alle stampe, Ted Sorensen ci regala qualche retroscena del discorso di Houston. Nel suo affascinante racconto, Sorensen ci fa notare che la Chiesa unitaria in cui egli era cresciuto restava agli “antipodi” rispetto alla Chiesa cattolica quanto ai significati attribuiti ai concetti di fede, dottrina, relazioni Stato-Chiesa, e così via. Sorensen prosegue confessando che “molti dei discorsi che io scrissi, riflettevano principi unitari”. E Sorensen lascia sottointeso che era la stessa maniera in cui JFK guardava a quegli scritti.

Ma a prescindere da come Kennedy li intendesse, le sue affermazioni di Houston hanno favorito una tendenza che ha condotto molti democratici fuori dal loro stesso partito. E ancora, a prescindere da come Kennedy li intendesse, Barack Obama ha preparato il terreno per un ripensamento del Concordato del 1960.

© Wall Street Journal

Traduzione di Edoardo Ferrazzani

© Copyright L'Occidentale, 14 giugno 2008

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