17 settembre 2008

Il Papa convince i francesi sul terreno che gli è più caro: la laicità (Fontana)


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Il Papa convince i francesi sul terreno che gli è più caro: la laicità

di Stefano Fontana

ll papa ha convinto i francesi. Il papa convince. Ci sono due segreti per ottenere questo risultato, e Benedetto XVI li sa adoperare molto bene entrambi.

Il primo è “dare a ciascuno il suo”: alla fede ciò che è della fede, alla ragione ciò che è della ragione; all’amore quanto gli spetta e altrettanto alla verità; alla politica e alla laicità il suo e così pure alla fede e alla religione. Il papa convince perché non mescola i piani ed assegna un posto ad ognuno, chiarendo le distinzioni ma evitando le separazioni.

Non fa prediche moralistiche, non fa apologia né si abbandona alla retorica, non condanna né assolve facilmente. Esamina le cose, chiarisce i confini, stabilisce i corretti rapporti. Cosa di più “francese”?

Davanti agli intellettuali, al Collège de Bernardins, ha adoperato come filo conduttore del suo discorso il monachesimo. Ed è stata una sequenza di concetti così chiaramente concatenati e così “convincenti” da suscitare certamente l’apprezzamento dei più sottili razionalisti. I monaci si dedicavano a Dio e non ad altro. Però trovavano a prevederli la Sacra Scrittura e quindi elaborarono una “cultura della parola” che spiega gli scriptoria, le biblioteche e le scuole presenti nei loro monasteri. La ricerca delle cose essenziali motivava l’impegno per le cose secondarie. La cultura della parola è anche creatrice di comunità, perché essa va interpretata dentro una fede comune e mentre gli uomini parlano con Dio imparano come parlare tra di loro. Nella tradizione cattolica non c’è solo la Parola, ma la Parola interpretata da una comunità di fede. La Bibbia, ha detto Benedetto XVI, è un insieme di testi molti diversi, ciò che le infonde unità è la comunità che la legge e la sua tradizione. I monaci poi esprimevano la parola con il canto, che era pure un parlare con Dio e tra di loro. Infine i monaci lavoravano. Per i romani e per i greci il lavoro era cosa da servi, ma i rabbini ebraici, Gesù stesso e San Paolo lavoravano, così facevano anche i monaci. E il lavoro era visto come espressione della Parola: l’uomo pensa e lavora in quanto fatto “ad immagine di Dio”. Infatti anche Dio “opera sempre”, come dice il vangelo di San Giovanni.

In questa sequenza, tutte le cose trovano il loro giusto posto: c’è posto per il mondo e per la Chiesa, per l’aldiquà e per l’aldilà, per il lavoro e per la preghiera, come accadeva nella giornata del monaco. Benedetto distingue e non separa mai. Al contrario a separare sono il fondamentalismo e il positivismo. Se la lettura della Parola avvenisse alla lettera ci sarebbe fondamentalismo: la parola umana sarebbe veicolo cieco di quella divina e la parola del potere politico sarebbe come quella di Dio. Ma san Paolo dice che “la lettera uccide, lo Spirito dà vita”. Se, al contrario prevale il positivismo ci sono solo parole umane, la parola del potere politico è l’unica parola possibile. In ambedue le situazioni non si ha autonomia del mondo né laicità. Le cose secondarie diventano tutte essenziali, il provvisorio diventa definitivo. Nello sforzo dei monaci di fuggire a questa morsa trova corpo l’autonoma consistenza del mondo, libero perché liberato dall’essere esso il fondamento. La libertà dell’uomo ha bisogno che nelle sue parole risuoni la Parola. Anche questo approfondimento della libertà è molto francese.

Ecco qui il secondo segreto del papa: spiegare ai francesi che i lumi trovano vero spazio nell’incontro con la fede.

Nel viaggio di Benedetto XVI in Francia, la Chiesa ha rivendicato un “illuminismo cristiano” e il papa ha convinto i francesi perché si é fatto più francese di loro. Mentre sempre più spesso scienziati positivisti alla Dawkins fanno delle “prediche” religiose, è toccato ancora una volta al papa mettersi a “ragionare” e a spiegare che la laicità non viene minacciata dal cristianesimo, ma dal fondamentalismo religioso e laico, e che considerare “non scientifica” la domanda su Dio comporta la “capitolazione della ragione” e quindi un “tracollo dell’umanesimo”.

Se, infatti, l’uomo rinuncia alle possibilità più alte della ragione, a cosa si riduce egli stesso, l’uomo?

© Copyright L'Occidentale, 16 settembre 2008

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