17 settembre 2008

Benedetto conquista la Francia (Valli)


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Benedetto conquista la Francia

ALDO MARIA VALLI LOURDES

Non ho mai visto tante suore giovani come in questi giorni a Lourdes. Giovani e (si può dire?) anche carine. Avvolte negli abiti religiosi più diversi, spesso mostrano soltanto il volto.
Ma quegli occhi parlano. Le vedi veleggiare da sole o in gruppo lungo il Gave, davanti alla grotta di Massabielle, sulla Prairie, sul sagrato della basilica di Notre Dame du Rosaire. E scopri sguardi che non è facile trovare in giro. Verrebbe da dire felici, ma di una felicità piena, alta, e nello stesso tempo disarmante.
Alcune portano lo zaino in spalla, qualcuna è armata di chitarra.
Le statistiche dicono che in Francia le vocazioni sono in netto calo, tranne quelle che riguardano gli ordini religiosi che propongono le strade più dure. È una strana Chiesa, questa di Francia.
Tutto lascia pensare a uno stato di crisi. Ma guardandola più da vicino viene da pensare alla parola crisi in senso etimologico, come un vagliare, un passare al setaccio, un lasciar perdere ciò che non conta per conservare solo l’essenziale.
Piccolo gregge, certo, ma tutt’altro che morto.
Gregge che, senza l’aiuto di concordati, cammina con le proprie gambe, fa i conti con le difficoltà, le affronta a viso aperto. Lo ha detto anche il papa, nel suo ultimo saluto prima di tornare a Roma: «Ho incontrato un popolo vivo di fedeli».
Naturalmente nella prospettiva ratzingeriana molte cose vanno sistemate.
Con i vescovi è stato chiaro: non potete benedire le unioni che per la Chiesa sono illegittime, né si pensi che a motivo della crisi di vocazioni i laici possano sostituirsi ai sacerdoti. Quanto al latino, ha tagliato corto: basta con le polemiche. «Roma locuta, causa finita», come si diceva una volta. Roma ha parlato, il caso è chiuso.
Le discussioni invece proseguiranno: lefebvriani da una parte e paladini del Concilio dall’altra. Ma Benedetto ha invitato tutti a puntare più in alto.
Lo ha fatto soprattutto al collèges des Bernardins di Parigi, il gioiello di architettura medievale all’interno del quale ha parlato a settecento rappresentanti della cultura francese sottolineando una volta ancora il legame inscindibile tra fede cristiana e ragione, vero antidoto contro i fondamentalismi.

La Francia, tutta quanta, ha ascoltato con attenzione.
Nessuno ha neppure lontanamente pensato di sbarrargli il passo o impedirgli di parlare. Benedetto va alla radice delle questioni, mi ha detto il cardinale Barbarin, arcivescovo di Lione incontrato sul sagrato di Notre Dame. Per questo ottiene ascolto.

Quando parla di libertà e verità pronuncia parole che sono state messe al bando dal pensiero debole dominante ma che nella coscienza di ogni uomo continuano a provocare domande.
La severità dimostrata verso i vescovi nasce qui.

Anziché appiattirsi sulla società secolarizzata, la Chiesa ha il compito di continuare a essere segno di contraddizione. E nella tradizione c’è il deposito di sapienza necessario per affrontare anche questa sfida.

I vescovi ne sono usciti quasi tramortiti.
«Dovremo trovare insieme gli stili e le modalità più giuste», ha balbettato l’arcivescovo di Parigi Vingt- Trois. Ma Benedetto non è stato generico. Ha raccomandato di andare all’essenziale.


Una volta disse che la riforma della Chiesa consiste in un continuo lavoro di ablatio. Come fa lo scultore con la pietra, un togliere tutto ciò che non serve per scoprire ciò che conta, il volto di Cristo. Ecco è questo che bisogna fare.

Benedetto ha affascinato e si è fatto ascoltare per questa essenzialità. Convincendo molto più di Sarkozy che, a giudizio di molti francesi, è stato troppo papista con quel suo discorso sulla laicità positiva e l’importanza della religione. Discorso tuttavia importante, perché quando un presidente francese dice che eliminare il contributo delle religioni sarebbe follia introduce motivi di riflessione utili per tutti.
A Lourdes, poi, Benedetto ha mostrato una spiritualità mariana di cui pochi erano a conoscenza e molti non sospettavano nell’ex prefetto della congregazione per la Dottrina della fede.
Quando ha detto che nel sorriso di Maria i sofferenti trovano la forza di andare avanti e i morenti il coraggio di affrontare la fine, quando ha esortato i malati gravi a non cercare la morte ma a lasciarsi abbracciare dalla madre di Gesù, quando ha confessato che gli piace pregare la vergine come «stella della speranza», abbiamo visto un Ratzinger paterno, che sa chinarsi verso il più bisognoso. Il professore che a Parigi ha fatto lezione e il pastore severo che ha bacchettato i vescovi è diventato davanti ai malati un amico che consola.

© Copyright Europa, 16 settembre 2008 consultabile online anche qui.

Bellissimo articolo anche se non condivido l'ultima frase: Benedetto e' sempre pastore anche quando insegna o illumina i vescovi.
R.

1 commento:

euge ha detto...

"Il professore che a Parigi ha fatto lezione e il pastore severo che ha bacchettato i vescovi è diventato davanti ai malati un amico che consola."

Vorrei ricordare che un buon pastore come un buon padre, deve essere anche severo quando è necessario. L'eccessiva mollezza non porta da nessuna parte.