26 ottobre 2007
Padre Pio: Vittorio Messori commenta il libro di Luzzatto. La reazione di Mons. Capovilla, segretario di Giovanni XXIII
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Il Padre Pio di Sergio Luzzatto è un libro importante e serio.
Per questo, non gli rendono giustizia certe anticipazioni giornalistiche che — dalle oltre 400, fitte pagine — estrapolano «rivelazioni » e «gialli», come le richieste da parte del frate di acido fenico e di veratrina, quasi fossero le sostanze con cui procurarsi stigmate truffaldine.
A questi sospetti — provenienti soprattutto da ambienti clericali — hanno già dato risposta da decenni non solo gli agiografi del frate, non solo perizie e controperizie di illustri clinici, ma anche le inchieste implacabili delle commissioni vaticane che hanno portato alla beatificazione del 1999 e alla canonizzazione del 2002. Libro serio, dicevo, che non merita presunti scoop da rotocalco; libro nato da anni di lavoro, da ricerche a tutto campo, non solo negli archivi (da cui sono emersi molti documenti inediti) ma anche nel fall out mediatico e magari spettacolare del «fenomeno padre Pio». Una serietà di indagine — unita a un gusto gradevole per la divulgazione che non disdegna l'aneddoto e la curiosità — di cui sarebbe sleale sospettare, basandosi solo su sviste sorprendenti: ad esempio, la veggente di Lourdes, Bernadette, indicata sempre e solo come Soupirous e non Soubirous, come sanno non gli specialisti, ma tutti i milioni di pellegrini alla grotta dei Pirenei.
Ci voleva, dunque, un ancor giovane ma già temprato studioso di tradizione ebraica per riempire una lacuna di informazione sul francescano che Luzzatto stesso (pur parlando di boutade, ma non troppo) definisce «l'italiano più importante del secolo scorso». In ogni caso come risulta da ogni indagine, il più pregato, accanto a Giovanni XXIII, oggetto anch'egli di un vastissimo culto popolare.
È uno dei paradossi o, se si vuole, dei molti enigmi di questa storia: sono accomunati nella devozione della gente — e nella quasi contemporanea elevazione agli altari — il «Papa buono » e «lo stigmatizzato del Gargano», i cui rapporti furono o nulli o, addirittura, di «persecuzione» da parte di un pontefice dal polso ferreo sotto l'aspetto bonario. Luzzatto non ha torto nel rivendicare di avere colmato un vuoto: da una parte una vastissima, ripetitiva, spesso acritica produzione editoriale di devoti; dall'altra, gli scherni e le sbrigative liquidazioni di un anticlericalismo come quello dei pamphlet che vanno oggi per librerie. E dai quali Luzzatto prende subito le distanze, indicando esplicitamente, come esempio da evitare, le invettive goliardiche di un ex seminarista enragé come Piergiorgio Odifreddi Un vuoto riempito, dunque. Ma come? Certamente non solo con un lavoro lungo e tenace, ma con una pietas e un rispetto lodevoli. Ci sarà tempo e luogo per confrontarsi, e magari dissentire, sulla documentazione, di prima mano ma utilizzata secondo un taglio «politico» (che si annuncia sin dal sottotitolo) che fa l'interesse del libro per i laici, ma che è estraneo alla prospettiva del santo e della folla dei suoi devoti. Una incomprensione di un certo modo di sentire e di vivere la fede cattolica che, peraltro, non è certo rimproverabile a uno storico della formazione di Luzzatto. Sembra poco presente, qui, la consapevolezza della «ambiguità» necessaria nelle cose cristiane dove, per preservare la libertà di accettare o di rifiutare, sempre vige la dialettica rilevata da Pascal: «Abbastanza luce per credere, abbastanza buio per dubitare». Alter Christus secondo i devoti, Padre Pio condivide la sorte di Gesù stesso, considerato dalla nomenklatura del tempo un impostore, un falso Messia, oltre che «un ghiottone e un bevitore».
In ogni caso, Luzzatto si è accorto e, lo scrive, che «padre Pio è ormai ovunque», che non possiamo più prescindere dalla presenza enigmatica di un frate che pur non si mosse, per mezzo secolo, da un disadorno convento nel Sud più profondo. È ovunque: nelle gigantografie dei Tir sulle autostrade e nelle cornicette d'argento sui tavoli dei Vip, nel borsellino della massaia e nel portafoglio del professore. C'è, qui, il mistero di una presenza carismatica che stringe da vicino una infinità di vite. La mia stessa, alla pari di innumerevoli altre, magari con piccoli prodigi dove brillano l'attenzione e la misericordia per le cose quotidiane. Se è lecito, dunque, (e per capire), un aneddoto personale. Una spastica grave che non ho mai visto di persona ma con la quale intrattengo da decenni un rapporto epistolare, molto imparando dal suo sensus fidei. La sua desolazione, anni fa, per il ritardo nel ricevere posta, a causa di miei viaggi e di superlavoro, il suo rivolgersi a padre Pio, di cui è ovviamente devota, e l'immediato, forte profumo di fragola che è per lei il segno di essere stata ascoltata. Il mattino dopo, ecco la lettera. Ma, dall'annullo sul francobollo, risultava spedita il giorno stesso, soltanto un'ora prima: e tra le nostre case corrono più di 300 chilometri. L'esclusione, da parte del direttore dell'ufficio, che fosse possibile un errore nel timbro, errore impensabile ma che, comunque, avrebbe portato a un ritardo, non a un anticipo della data. Poco tempo dopo, una mia visita a un convento lombardo di cappuccini, l'incontro con un vecchio frate che fu a lungo segretario del Santo, sul Gargano. Al racconto dell'episodio, nessuna sorpresa ma un gesto di condiscendenza: «Roba normale, niente da stupirsi. Quando aveva una lettera che gli stava a cuore, mi diceva di metterla nella buca in piazza: ma al recapito provvedevano gli angeli custodi. Un'ora dopo, puntualmente, arrivava».
Che fare, con un tipo così? Studiarne la storia, certo, ma consapevoli che c'è, qui, una meta-storia che, per dirla col Vangelo «è rivelata ai piccoli e ai semplici ed è nascosta ai sapienti del mondo».
© Copyright Corriere della sera, 26 ottobre 2007
LE REAZIONI
Monsignor Capovilla: «L'errore di Giovanni XXIII» Frate Belpiede: «Al pontefice informazioni malevole»
«Considerando che padre Pio è stato prima beatificato e poi canonizzato da Giovanni Paolo II ed oggi è uno dei santi più amati del mondo, mi sembra chiaro che da parte di Papa Roncalli vi sia stato un giudizio sbagliato, condizionato da tutta una serie di circostanze». A commentare così i documenti riportati nel libro di Sergio Luzzatto Padre Pio (Einaudi), e ripresi ieri da Aldo Cazzullo sul Corriere, è l'ex segretario personale di Giovanni XXIII, l'arcivescovo emerito di Loreto, monsignor Loris Capovilla. Da parte del Papa, sostiene, «non c'era alcun pregiudizio» verso il frate di Pietrelcina: «Erano gli uffici a trasmettere notizie negative su quanto avveniva a San Giovanni Rotondo, e il Papa non poteva far altro che prenderne atto». D'altronde, nota Capovilla, Giovanni XXIII «era un uomo e come tale non era infallibile, avrà commesso anche lui i suoi errori».
Ulteriori particolari vengono da frate Antonio Belpiede, portavoce della Provincia cappuccina di padre Pio, interpellato dal Corriere: «Papa Giovanni manifestò la sua preoccupazione, nel giugno del 1960, sulla base di informazioni malevole e infondate. Ma pochi mesi dopo il Pontefice incontrò monsignor Andrea Cesarano, arcivescovo di Manfredonia, diocesi di cui fa parte San Giovanni Rotondo, che lo rassicurò sul comportamento ineccepibile di padre Pio. Gli disse che i baci di cui si parlava erano del tutto innocenti: la sua stessa sorella era solita baciare le mani al frate stigmatizzato, il quale si ritraeva di fronte a simili effusioni. Ciò risulta da atti ufficiali relativi al processo di canonizzazione: com'è possibile tornare a parlare di relazioni sessuali da parte di un uomo che allora aveva più di settant'anni (padre Pio era nato nel 1887) ed era malato da sempre? Del resto fu il cardinale Pietro Parente, che in precedenza aveva comunicato a Giovanni XXIII quelle notizie inattendibili, a firmare anni dopo la prefazione di una biografia elogiativa, scritta da Fernando da Riese Pio X: Padre Pio da Pietrelcina, crocifisso senza croce ». Comunque frate Belpiede apprezza il libro di Luzzatto: «Si tratta di un lavoro serio e rigoroso. Mi sembra sbagliato soffermarsi in forma scandalistica su alcuni dettagli, rispetto a un'opera che tra l'altro analizza il grande impatto di padre Pio come icona del nostro tempo, paragonandolo a Che Guevara e alla Marilyn Monroe di Andy Warhol».
Infine c'è la vicenda dell'acido fenico richiesto riservatamente: si sospetta che il frate se ne sia servito per procurarsi le piaghe. «Macché — replica Belpiede — quell'acido era un antisettico, all'epoca usato per bollire le siringhe. Padre Pio lo adoperava per le iniezioni da praticare ai seminaristi e, diluito con acqua, anche per disinfettare le sue piaghe. Comunque fu vietato introdurre ogni sostanza chimica nella cella di padre Pio. E in seguito il professor Bignami gli sigillò le stigmate con delle bende: dopo otto giorni trovò le piaghe ancora aperte e sanguinanti, senza alcun principio di cicatrizzazione. Rimasero così per mezzo secolo e non s'infettarono mai, per poi chiudersi alla vigilia della morte di padre Pio, senza lasciare alcun segno. Tutti fenomeni che la medicina non riesce a spiegare».
© Copyright Corriere della sera, 26 ottobre 2007
Il quotidiano online Petrus pubblica una sua intervista a Mons.Capovilla consultabile qui.
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1 commento:
Sono uno studioso di esoterismo e paranormale, di formazione logico-razionale e vorrei cercare di inquadrare il problema nella sua giusta cornice, prescindendo dai concetti canonici cattolici sulla santità e sui miracoli. Innanzi tutto Padre Pio è stato un uomo, con tutti i pregi e i difetti che un essere umano può avere (anche i cosiddetti santi non sono esenti da tentazioni e peccati). Fatta questa necessaria premessa, Padre Pio ha avuto delle qualità eccezionali (facoltà latenti della mente) che ha usato, principalmente, per il bene degli altri. Oggi apprendiamo dalla psicosomatica che nello stesso effetto PLACEBO, se il medico è all’oscuro del fatto che il farmaco sia un placebo, la sua convinzione inconscia partecipa all’effetto di guarigione del paziente. Sicuramente, quindi, la convinzione conscia ed inconscia di Padre Pio nel suo operato ha enormemente contribuito, più di ogni altro santo, all’autoguarigione inconscia di migliaia di persone (se poi queste guarigioni li vogliamo chiamare “prodigi” o “miracoli” esula dal nostro problema). Sicuramente i prodigi, gli esorcismi, e l’effetto benefico delle preghiere non sono un’esclusiva della religione cattolica (o cristiana); ma la fede di Padre Pio e la sua immensa convinzione hanno indubbiamente contribuito al benessere morale e fisico di tantissime persone. E’ ovvio che se i miracoli li facesse solo Dio, il santo intermediario dovrebbe contare poco; ma notoriamente ogni cosiddetto santo ha una percentuale più o meno alta di miracoli; e Padre Pio è sicuramente ai vertici di questa classifica. Non voglio entrare nel merito delle STIMMATE, vere o false di padre Pio, anche perché sicuramente TUTTE LE STIMMATE non sono opera divina, ma di provenienza isterico-inconscia: Cristo fu crocifisso ai polsi e non nel palmo delle mani; ma la convinzione inconscia dei santi (o pseudo tali), influenzati da quadri e sculture, li fanno comparire nel palmo delle mani. Altro pregiudizio che si dovrebbe eliminare è il fatto che chi fa prodigi è sicuramente illuminato da Dio e conosce la verità: niente di più falso e forviante: tutti gli integralismi religiosi hanno avuto storicamente questa matrice. Almeno Padre Pio ha avuto l’umiltà di dire “Io sono un MISTERO soprattutto per me stesso”.
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